L’importanza della Memoria

Credo di aver avuto la percezione del mondo intorno a me all’età di due anni.

Una volta, leggendo Freud, ossia la documentazione circa le relazioni trascritte sui suoi pazienti, mi sono resa conto che la percezione di sè e del mondo, può variare a seconda delle persone.

Ricordo la stanza da letto dei nonni materni, una culla a forma di lettino, con la grata per non cadere ed io, ad un angolo, che osservavo un grande poster, evidentemente lì per me, con un grande angelo che mi guardava sempre. Era un disegno colorato, un grosso bambinone con un ciuccio molto grande in bocca e il pannolino. Insomma era adatto alla mia età.

Poi un comò alto, dove la nonna teneva statuette e centrini, con un grande specchio.

Ricordo che mi avevano tolto il ciuccio e che stavo lì a contemplare quel bambinone che, invece, aveva il suo ciuccio.

Questa prima percezione di me credo sia importante, perchè era una sorta di raffronto con una immagine diversa da me, che non conoscevo. Io il mio ciuccio lo avrei scelto, non me lo avrebbero nè dato nè tolto.

Nella grande casa dei nonni, vi erano molte stanze e molto silenzio. Credo che la dimensione del silenzio mi appartenga, come anche quella contraria, ossia la conversazione precoce.

Ricordo che facevo tante domande, come fanno tutti i bambini o quasi e che, quando non venivo ascoltata o non ero soddisfatta delle risposte, chiedevo ad altri che non fossero i parenti.

La dimensione della ricerca è nata in quei momenti primordiali.

A casa dei nonni venivano sempre famiglie dei militari, sottoposti a mio nonno; si parlava e ricordo che i bambini, io e i figli dei militari, giocavamo sotto al tavolo. Là sotto, ascoltavamo le conversazioni come dei mozziconi di storie.

Credo che anche questo sia parte di me e della mia infinita ricerca di storie.

Erano storie di guerra, storie di conquiste e storie di vittorie o sconfitte. Alla fine i militari bevevano sempre un bicchiere di vino rosso, in ricordo dei caduti.

Una volta con un bambino di quattro anni, allungando da sotto al tavolo in su, le sue manine, prese dei bicchieri semi-vuoti e bevemmo i fondi lasciati dagli adulti.

Ricordo che ci trascinarono fuori mezzi addormentati, per via dell’alcool, e che, ognuno prese tanti colpi nel fondoschiena, forse superiori ai bicchieri usati per ubriacarci…

La Memoria della Storia, quella che oggi rincorro, nelle mie ricerche serali o notturne, è fatta di volti di persone conosciute o di nomi di persone sconosciute.

Mio zio, fratello di mia madre, mi regalò l’Enciclopedia Treccani. A sei anni, benchè ancora dovessi apprendere i rudimenti della grafia, già con lui al fianco, leggevamo il primo volume: A-Valle, A-Aaron, Abaco, Abagnale….eccetera, finchè dalla lettura nasceva altro e crescendo dovevo per obbligo leggere una pagina della Treccani, ogni sera.

Poi venne l’età dell’istruzione religiosa: ogni sera una pagine del Vangelo …poi della Bibbia dei grandi…

Mi ricordo che mia nonna, all’epoca semianalfabeta, per via della guerra, pretendeva che leggessi a voce alta a lei, in modo che anch’essa potesse ricordare.

Alle elementari esistevano ancora le gare di lettura. Vincevo quasi sempre tutti i libri. Forse mi annoiavo a leggere i libri per i bambini, dopo aver letto la Treccani, con lo zio; fatto sta che mio nonno decise che avrei dovuto leggere di più e in modo metodico, la letteratura e la storia. Fu così che arrivò un ebanista e costruì nella mia nuova camera, una biblioteca da parete di mogano nero. La paghetta settimanale andava spesa per i libri.

A otto anni mio nonno mi accompagnò presso una piccola libreria che era gestita da una signora di sessant’anni.

Questa signora mi permetteva di stare con lei qualche pomeriggio. Così mi iniziò alla lettura dei libri francesi.

La maestra di quinta elementare mi disse che dovevo conoscere la letteratura italiana … e così il nonno mi diede una paghetta maggiore. I libri iniziarono a pervenire dal Continente ogni settimana.

La biblioteca della mia camera iniziò a contenere libri stranieri con testo a lato.

Letteratura francese, letteratura inglese, tedesca, russa…

Il Ginnasio fu per me la scoperta della Letteratura Greca e Latina.

Amavo la poesia greca, la poesia di Omero…in quarto ginnasio mia nonna mi svegliava alle quattro e mezza della mattina, per ripetere l’Odissea. Alle sette dovevo poi fare colazione e andare a scuola. Ci mettevo mezz’ora a piedi a raggiungere il Regio Ginnasio Liceo G. Asproni.

Freddo, vento, neve, senza nessuno, sola con i miei libri, prima contenuti nella classica cinta, poi nella cartella di pelle nera…le mani rovinate dal freddo, il naso rosso…arrivavo alle sette e quarantacinque e il bidello mi faceva entrare nell’atrio. Le statue dei grandi letterati sulle scale principali interne del Liceo mi guardavano.

Io e le statue. Silenzio.

Ma dentro un mondo girava. Passato, presente, futuro.

Poi suonava la campana. Non era come oggi. Gli studenti entravano, io ero già dentro. Mai ne sono uscita.

La Memoria , credo, sia per me il fondamento della mia vita.

La cultura, le epoche e gli uomini del passato. Nomi scritti nell’eternità.

A chi devo tutto ciò? a chi mi ha messo un libro in mano, a chi mi ha detto: “Alzati a ripetere l’Odissea e poi vai…vai a scuola!..”

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Il Portiere di notte

Liliana Cavani:

Regista cinematografica, televisiva e teatrale, nata a Carpi (Modena) il 12 gennaio 1937. Autrice nota soprattutto per il suo primo film Francesco di Assisi (1966), e per  Il portiere di notte (1974), dove ha affrontato il tema del nazismo osservato secondo un’ottica psicanalitica, per esplorare gli abissi della storia e della psiche umana.

Laureata in lettere antiche all’Università di Bologna, diplomata al Centro sperimentale di cinematografia di Roma, nel 1962 fu assunta in RAI come regista nel secondo canale, dove realizzò programmi dalle tematiche forti e coinvolgenti, fra i quali Storia del Terzo Reich (1962), L’età di Stalin (1963), La casa in Italia (1964), Philippe Pétain, col quale ottenne il Leone d’oro nella sezione documentari della Mostra del cinema di Venezia nel 1965 e, nello stesso anno, La donna nella Resistenza e Gesù mio fratello. Seguono Galileo (1968) e I cannibali (1970), con al centro la figura greca di Antigone, sul potere e la rivoluzione. Dopo l’insuccesso commerciale di quest’ultimo film, la regista tornò a lavorare per la RAI, realizzando L’ospite (1972), sul tema della sofferenza psichica, e specialmente Milarepa (1974), film sull’illuminazione del sé, secondo una visione orientale della salvezza contrapposta alla visione capitalistica.

Seguì poi Il portiere di notte, un’idea maturata sin dal periodo dei programmi televisivi sul Terzo Reich, che rappresentò il grande successo della C. presso il pubblico e la critica, divisa comunque sul giudizio. Il rapporto sadomasochista tra Max e Lucia, un torturatore delle SS e una prigioniera ebrea, vissuto nuovamente dodici anni dopo la fine della guerra, fa affiorare il nucleo tematico dominante del cinema della C., cioè un’analisi del potere che conduce direttamente all’ambiguità insita nella natura umana.

In questa direzione sono confluite anche le opere successive: Al di là del bene e del male (1977); La pelle (1981), tratto dal romanzo di C. Malaparte; Oltre la porta (1982); Interno berlinese (1985), tratto da un romanzo dello scrittore giapponese Tanizaki Jun’ichirō; Francesco (1989), in cui Mickey Rourke cerca di rinnovare l’interpretazione che aveva offerto Lou Castel nel precedente Francesco di Assisi; Dove siete? Io sono qui (1993), dedicato al mondo dei sordi. La C. si è dedicata anche alla regia di opere liriche, di cui spesso ha curato la messa in onda televisiva (La traviata, 1992; Cavalleria rusticana, 1996; Manon Lescaut, 1999; Un ballo in maschera, 2001).

Il portiere di notte -ovvero- I FANTASMI DEL PASSATO

(Italia 1974, colore, 115m); regia: Liliana Cavani; produzione: Robert Gordon Edwards per Lotar; soggetto: Barbara Alberti, Amedeo Pagani, Liliana Cavani; sceneggiatura: Liliana Cavani, Italo Moscati; fotografia: Alfio Contini;montaggio: Franco Arcalli; scenografia: Nedo Azzini, Jean-Marie Simon; costumi: Piero Tosi; musica: Danièle Paris.

Interpreti e personaggi: Dirk Bogarde (Max), Charlotte Rampling (Lucia), Philippe Leroy (Klaus), Gabriele Ferzetti (Hans), Nora Ricci (frau Holler), Isa Miranda (contessa Erika Stein), Giuseppe Addobbati (Stumm), Amedeo Amodio (Bert), Marino Masé (Atherton, marito di Lucia), Ugo Cardea (Mario), Nino Bignamini (Adolph), Piero Mazzinghi (portiere di giorno), Geoffrey Copleston (Kurt), Manfred Freyberger (Dobson).

Trama e contenuto – Vienna, 1957. Dietro il bancone dell’Hotel der Oper c’è il portiere Max: silenzioso, elegante, servile come il ruolo richiede e pronto anche a soddisfare le esigenze più insolite degli ospiti. Mentre un gruppo di clienti affolla la hall dell’albergo, il suo sguardo incrocia quello di un’affascinante signora. I due si riconoscono, e un primo flashback ci tuffa nel passato di un lager dove Max l’aguzzino sceglie Lucia, ebrea all’epoca ragazzina, come vittima di un gioco erotico al massacro. Poco alla volta lo spettatore capisce che il lavoro di portiere era una copertura ed era stato procurato a Max da un’associazione di ex nazisti che si occupa di ‘ripulire’ l’identità dei carnefici di un tempo, per ridare loro una facciata di rispettabilità sociale. Max è turbato dal ritorno di quel fantasma del suo passato, così come Lucia è spaventata ma al tempo stesso nuovamente attratta verso l’uomo che l’aveva assoggettata in tutti i sensi. Il marito di Lucia, direttore d’orchestra, lascia Vienna; lei, con una scusa, sceglie di rimanere. La storia tra Lucia e Max rinasce violentemente, sotto gli occhi sempre più preoccupati degli ex nazisti che vedono nella donna un testimone oculare pericoloso e ne esigono l’eliminazione. Max, per proteggerla, lascia l’albergo e si chiude con lei nel proprio appartamento, dove di nuovo prende forma l’antico rapporto vittima-carnefice. L’appartamento diventa una trappola quando i membri dell’associazione li individuano e li isolano. Ormai stremati e affamati, in una livida alba, Max e Lucia indossano nuovamente i panni di un tempo e si incamminano nella città, dove, al ponte sul Danubio, li attende l’inevitabile ‘plotone d’esecuzione’.

Siamo nell’anno 1957, che in qualche modo risente ancora della guerra. Quella messa in scena del Portiere di notte è una terra di nessuno (anche se tutto accade a Vienna e la scritta in sovrimpressione ce lo comunica con certezza), una sorta di purgatorio dove si muovono fantasmi evocati dal buio degli anni del nazismo. Anime in pena, siano esse ‘buone’ o ‘cattive’, in cerca di redenzione o di fuga verso un forse impossibile altrove. Il più grande successo commerciale e mediatico di Liliana Cavani, il film che più di ogni altro influirà sulla carriera della regista emiliana, e in qualche modo sembrerà condizionarla negli anni a venire e nelle opere successive, è questo: un’analisi più interiore che esteriore, non tanto del fenomeno storico, che è stato il nazismo, quanto del ‘nazista che è in noi’, – e qui sta lo scandalo forse inaccettabile ma vero!-dove il termine nazismo si dilata fino a coincidere con un allargato concetto di male.

Accompagnato dallo scandalo d’epocaIl portiere di notte compie un lungo viaggio dentro la notte della psiche umana, dove i concetti definitivi che piacciono ai manichei, vengono infranti con violenza, dove le linee di confine si confondono e le catalogazioni risultano impossibili. L’ex nazista Max, ora portiere di notte in un decadente albergo (riconoscibile, già nell’atmosfera e nel décor, la traccia viscontiana), e Lucia, sofisticata moglie di un direttore d’orchestra ma un tempo vittima bambina di Max in un campo di concentramento, sono destinati (dalla Storia e da questa storia) a incontrarsi ancora.

Lui, in divisa con la croce uncinata, l’aveva filmata e studiata, poi violentata. Lei aveva subito come un agnello sacrificale. Ma la spirale vittima-carnefice era stata sconvolta e interrotta da un evento imprevisto e imprevedibile come l’amore. Poi le macerie della caduta del Reich, la caotica rinascita, fino al nuovo incontro nei nuovi ruoli d’una normalità (e d’una diversa gerarchia) borghese. In anni successivi gli psicologi avrebbero definito ‘sindrome di Stoccolma’ (da un caso di cronaca nera accaduto proprio nella capitale svedese) il rapporto morboso che può venirsi a creare fra i sequestrati e i loro sequestratori, rapporto non basato sull’odio e sul senso di ribellione, ma su una totale e quasi morbosa sudditanza delle vittime. La ‘sindrome di Vienna’ descritta da Liliana Cavani è tuttavia differente, attinge a sfere più profonde della psiche per confondere ogni ruolo e spiegare come dentro ognuno di noi ci sia una parte di vittima e una di carnefice, una tensione sadica e una tensione masochista che rispondono a uno stesso cuore e a uno stesso cervello, come gemelli siamesi che un semplice bisturi non può separare. Si può anche tentare l’operazione, ma è più facile che alla fine entrambi soccombano. Come accade fatalmente nel finale, livido, sul ponte.

Il film è calato in un’atmosfera irrealistica, in una città che ha i colori dell’aldilà, rarefatta, immersa in una zona franca spazio-temporale. Il cammino di Max e Lucia ha una sola via d’uscita e tutta la costruzione drammaturgica del film è tesa verso questa inevitabile ‘soluzione finale’, tra l’esplicito teatro psicoanalitico (le sedute effettuate dal ‘tribunale’ degli ex nazisti) e le esplosioni di autodistruzione e distruzione reciproca (in particolare nei flashback, tagliente arma narrativa che riporta lo spettatore agli eventi accaduti nel lager), in sequenze che sconvolsero il pubblico e seppero imporsi nell’immaginario degli anni 70 e oltre, fino a noi: basti pensare all’immagine di Charlotte Rampling, con il cappello della divisa nazista, il torso nudo e le bretelle a coprire-scoprire il seno, mentre canta per gli aguzzini.

Se la fonte d’ispirazione più diretta per il film resta probabilmente La caduta degli dei (1969) di Luchino ViscontiIl portiere di notte ha involontariamente generato un numero spropositato di film che nulla hanno a che fare con l’originale e con le intenzioni della regista.

BIBLIOGRAFIA

C. Tiso, Liliana Cavani, Firenze 1975.

A. García del Vall, Liliana Cavani, Madrid 1980.

Lo sguardo libero: il cinema di Liliana Cavani, a cura di P. Tallarigo, L. Gasparini, Firenze 1990.

Il cinema di Liliana Cavani, Atti del convegno, Carpi 25 febbraio-3 marzo 1990, a cura di P. Goldoni, Casalecchio di Reno (Bologna) 1993.

F. Buscemi, Invito al cinema di Liliana Cavani, Milano 1996.

G. Marrone, The gaze and the labyrinth: the cinema of Liliana Cavani, Princeton 2000.

R. Prédal, Portier de nuit, in “Jeune cinéma”, n. 79, juin 1974.

G. Minish, Last Tango in Auschwitz, in “Take One”, n. 5, September 1974.

C. Tiso, L’ambiguità filmica e il suo equivoco, in “Filmcritica”, n. 248, ottobre 1974.

S. Daney, Anti-rétro (suite). Fonction critique (fin), in “Cahiers du cinéma”, n. 253, octobre-novembre 1974.

J. Rosenbaum, Il portiere di notte, in “Monthly film bulletin”, n. 490, November 1974.

L.J. Keyser, Three faces of evil: Fascism in recent movies, in “Journal of popular film and television”, n. 1, 1975.

B. Houston, M. Kinder, ‘The Night Porter’ as Daydream, in “Literature/Film quarterly”, n. 4, Fall 1975.

T. De Lauretis, Cavani’s ‘Night Porter’: a Woman’s Film?, in “Film quarterly”, n. 2, Winter 1976/77.

K. Silverman, Masochism and Subjectivity, in “Framework”, n. 12, 1980.

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Tutto era stato scritto

Dinanzi a quanto vediamo e sentiamo in tv o sui mass media, forse per i profani, le vicende di guerre e di sopraffazione, di stragi e di barbarie, di paura e di inganno, lasciano sgomento e sono foriere di tensione… ma per chi conosce la Scrittura e i segni premonitori di sconvolgimenti, tutto è già stato scritto!

Il popolo ebraico conosce da millenni le profezie di Dio, noi cristiani conosciamo le stesse profezie e le applichiamo al Cristo; i musulmani attraverso il Corano hanno le stesse profezie, certamente derivanti dalle comuni radici etniche e culturali.

Eppure pochi tra uomini e donne fanno caso alla Scrittura, fanno caso alla Parola di Dio e a quanto essa dice.

La Parola di Dio, il Verbo di Dio, ossia Cristo stesso con la sua Potenza, dall’eternità esistente con il Padre Creatore, ha parlato di una Storia umana che è foriera di Vita o di Morte eterna.

Nell’Apocalisse di San Giovanni Apostolo, come in tutta la Sacra Scrittura, il compimento dei tempi di Dio va di pari passo alla Storia umana.

In questa Storia così sempre foriera di morte e di ingiustizia, di popoli in contrasto e in guerra per il potere terreno, bisogna stare attenti a non lasciarci travolgere, perché il Compimento dei Tempi verrà e non sarà di speranza contro chi non avrà saputo guardare.

Perciò dinanzi a quanto accade è bene mettersi dinanzi a Dio nel sacrario della propria coscienza e fare Pace con l’Eterno.

Non sappiamo l’estensione temporale della nostra vita sulla terra, ma è certo che ciò che conta non sono le cose terrene.

È bene considerare che ogni momento potrebbe essere quello decisivo per trovarci al cospetto di Dio!

L’Apocalisse è presente ora! Chi si vuole salvare deve scegliere chi servire: se il Dio della Vita o il suo avversario!

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Mala tempora currunt

Nell’estate del 2009 venni inviata in Siria per trascorrere un mese laggiù e conoscere la missione.

Sinceramente non mi sono mai fidata di quei luoghi e di quelle genti, però per obbedienza andai.

Passai quindici giorni ai confini con la Turchia per un campo scuola di bambini. Non capivo una parola di arabo.

C’era solo un sacerdote che parlava francese e questo mi salvò.

Terminato il campo scuola, rimasi una settimana ad Aleppo e poi andai a Damasco. Approfittai di fare visita ai luoghi di San Paolo. Però sempre stavo sul chi va là … vedevo un clima ostile e sinceramente non vedevo l’ora di tornare in Italia.

Nell’ultima settimana di agosto insieme ad altre tre persone, da Aleppo prendemmo un pullman notturno per passare la frontiera.

Ci tolsero i documenti e ci dissero che era per dei controlli.

All’improvviso alle 3.15 circa del mattino il pullman fu fatto fermare e salirono dei miliziani a mitra spianato. Urlavano. Io non capivo nulla della lingua ma capivo che avevano i mitra. Ci fecero scendere. Tutti erano siriani frontalieri che andavano in Libano per lavorare e di straniera c’ero solo io.

Mi portarono dentro una caserma e mi urlarono per un’ora con il mitra sulla schiena. Volevano che scrivessi chissà che. Ma io non sapevo l’arabo.

Pregai che chiamassero una delle persone che erano con me. Quella entrò e sbiancò per me. In francese le dissi che mi urlavano addosso di scrivere ma io non sapevo cosa.

Parlarono e poi la mia conoscente scrisse per me. Volevano sapere perché ero lì e dove andavo.

Terminate le urla e le dispute ritornammo sul pullman e gli altri iniziarono a urlare verso di noi, finché riprendendo il cammino, sul far del giorno, le acque si calmarono ma non io. Giurai a me stessa che non avrei mai più obbedito ad andare là, in Siria e Libano.

Arrivati a Beirut dissi che volevo ritornare in Italia ma non mi fecero partire fino allo scadere del mese.

Quello stesso inverno l’Isis iniziò le sue azioni.

Credo che la mia esperienza sia stata un attimo. Non voglio pensare cosa sia vivere sempre sotto attacco terroristico.

Ora se non si frena questa grande ondata di odio, sarà difficile credere che gente senza sprezzo della morte, rinunci alla sua vendetta sulla gente normale.

In quanto alla missione … noi cristiani lì siamo le loro zecche.

Valiamo poco meno di nulla.

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HAMAS CONTRO ISRAELE

Hamas è un’organizzazione islamica con un’ala militare nata nel 1987 dalla Fratellanza Musulmana, un gruppo islamico sunnita fondato alla fine degli anni ’20 in Egitto. La parola “Hamas” significa Movimento di Resistenza Islamica. Il gruppo insiste sul fatto che Israele è una potenza occupante e che sta cercando di liberare i territori palestinesi. Considera Israele uno stato illegittimo.

Il suo rifiuto di riconoscere Israele è una delle ragioni per cui in passato ha rifiutato i colloqui di pace. Nel 1993 si oppose agli Accordi di Oslo, un patto di pace tra Israele e l’Organizzazione per la Liberazione della Palestina (OLP). Il gruppo si presenta come un’alternativa all’Autorità Palestinese (AP), che ha riconosciuto Israele e si è impegnata con esso in molteplici iniziative di pace fallite. L’Autorità Palestinese è oggi guidata da Mahmoud Abbas e ha sede nella Cisgiordania occupata da Israele. Nel corso degli anni Hamas ha rivendicato numerosi attacchi contro Israele ed è stata designata come organizzazione terroristica dagli Stati Uniti, dall’Unione Europea e da Israele. Israele accusa il suo acerrimo nemico, l’Iran, di sostenere Hamas.

L’ attacco di Hamas è avvenuto all’improvviso. L’offensiva ha provocato la morte di centinaia di israeliani, con promesse di ritorsione da parte del primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu e una serie di attacchi aerei israeliani.

«Cittadini di Israele, siamo in guerra – non in un’operazione – in guerra», poco dopo che il gruppo militante, da Gaza, ha lanciato una raffica di razzi e ha inviato uomini armati in Israele.

Intorno alle 6:30 (ora locale) di sabato 7 ottobre 2023 si sono sentite le sirene fino a nord di Tel Aviv, a est fino a Beer Sheba. I militanti di Gaza sono entrati nel territorio israeliano via terra, mare e aria. Diversi uomini armati, mascherati, in un camioncino, percorrevano una strada nella città israeliana di Sderot, che si trova vicino al confine di Gaza. 

L’IDF (Forze di difesa israeliane) ha detto che sono stati lanciati contro Israele 2.200 razzi. 

Israele ha risposto nella notte tra sabato 7 e domenica 8 ottobre; gli attacchi aerei israeliani hanno provocato la morte di centinaia di palestinesi e ferito oltre 1.600. Ancora sconosciuta è la sorte di diversi ostaggi, tra cui soldati israeliani, che Hamas sostiene di aver catturato.

Il comandante militare di Hamas Muhammad Al-Deif ha chiamato l’operazione “Alluvione Al-Aqsa” e ha affermato che l’assalto a Israele era una risposta agli attacchi contro le donne, alla profanazione della moschea di al-Aqsa a Gerusalemme e all’assedio in corso di Gaza. Hamas ha affermato di aver catturato soldati israeliani, pubblicando video dei soldati presumibilmente catturati sui social. Video geolocalizzati e autenticati dalla CNN suggeriscono che almeno un soldato israeliano sia stato fatto prigioniero dal gruppo.

In risposta all’attacco, Israele ha lanciato l’Operazione Spade di Ferro, colpendo una serie di obiettivi nella Striscia di Gaza.  L’IDF ha descritto l’attacco come «massiccio». 

Intorno a mezzogiorno, ora locale, si sono verificati combattimenti sul terreno in almeno sette località del paese. Decine di migliaia di riservisti israeliani sono stati chiamati in aiuto. Ai palestinesi è stato impedito di attraversare i checkpoint per raggiungere Gerusalemme dalla Cisgiordania e Israele ha dichiarato che domenica chiuderà tutte le strutture educative.

Le tensioni tra Israele e i palestinesi esistono da prima della fondazione della nazione nel 1948.

Israele ha conquistato Gaza dall’Egitto nella guerra del 1967, per poi ritirarsi nel 2005.

Il territorio, che ospita circa 2 milioni di palestinesi, è caduto sotto il controllo di Hamas nel 2007. Dopo che Hamas ha preso il controllo di Gaza, Israele ed Egitto hanno imposto un rigido assedio sul territorio, che è tuttora in corso. Israele mantiene anche un blocco aereo e navale su Gaza. Prima dell’operazione di sabato, l’ultima guerra tra Hamas e Israele risale al 2021, uccidendo almeno 250 persone a Gaza e 13 in Israele. L’assalto di sabato è avvenuto nel cinquantesimo anniversario della guerra del 1973, quando i vicini arabi di Israele lanciarono un attacco a sorpresa contro Israele durante lo Yom Kippur, il giorno sacro del calendario ebraico, il 6 ottobre 1973.

Hamas è un gruppo terrorista. Contro i terroristi non esistono più metodi “dolci”.

Israele negli anni ha imparato la lezione di Davide contro Golia.

Ma chi fermerà la spirale di violenza nella Terra martoriata dello Shalom, ossia della “Pace”?

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Le fonti del Male

La ricerca psicanalitica aiuta a capire le fonti del Male

Alla fine dell’Ottocento, grazie alla psicoanalisi, si iniziò a studiare la mente umana, in modo più attento di quanto fosse accaduto in passato e facendolo in modo scientifico.

La morale, nella stragrande maggioranza dei paesi dell’occidente europeo, era associata alla religione e non si pensava ai comportamenti umani al di fuori dell’ottica del bene e del male, del peccato e della purezza. Ad esempio, male e perversione erano ritenute due parole che indicavano la stessa cosa: la trasgressione e quindi il peccato appunto.

Le persone perverse, ossia quelle che l’opinione pubblica vedeva come disadattate e fuori dalla norma, venivano dette “delinquenti” e venivano catalogate come riprovevoli.

Sebbene questa originaria convinzione negativa si sia rivelata antiscientifica, essa appare in parte legittima se viene rapportata alla natura stessa della perversione.
La nozione di peccato è, infatti, centrale nella perversione, perchè sottolinea la percezione soggettiva dell’azione trasgressiva e malevola da cui nasce il piacere. 
Il desiderio di trasgredire l’ordine morale, di umiliare, di sovvertire o di essere crudele, avvertiti come “naturali” nel perverso, costituiscono infatti per persone del genere, l’unico immaginario comportamentale e sessuale possibile, che permette il raggiungimento del piacere.
Gli individui perversi non negano affatto la loro “perversità”. Anche se si riconoscono come diversi, essi si trovano in sintonia con la loro condotta; la mancanza di un conflitto interiore nella loro psiche, impedisce la percezione del disagio. Dal di fuori, invece, le persone ritenute depravate e quindi perverse, sono ritenute (forse anche a giusta ragione) immorali o amorali…anormali.

Ma siamo sicuri che si possa dire così del tutto e per una sola categoria di persone? Vedremo.

Un metodo idoneo e abitualmente adottato nello studio psicoanalitico della perversione è quello che la confronta con la relazione d’amore.

L’amore relazionale consiste in un incontro armonioso ed equilibrato, tra ricerca di gratificazione personale e senso altruistico di attenzione e di rispetto per il piacere dell’altro.

In altre situazioni, ad esempio come nel caso delle persone perverse, l’impulso sessuale esige invece un soddisfacimento immediato, con ciò rivelando una disgiunzione tra sessualità e amore.

Nei soggetti narcisistici e amorali, dall’amore tenero e appassionato si passa ad una sessualità dominata da componenti aggressive, all’universo sessuale sadico.

La sessualità deviante appartiene al mondo dell’eccitazione e della pornografia e ha le sue radici nella fantasia aggressiva e di possesso. Non solo: gli individui perversi sono fermi ad un bisogno di soddisfacimento primario, tipico dei primi anni di vita, quando un bambino ancora non razionalizza e cerca la madre o il padre, affinchè lo sostentino o lo accontentino. Laddove, nel perverso, questo desiderio primario non sia stato soddisfatto a suo tempo, rimane sempre un fondo oscuro di ricerca…anche per tutta la vita.

Aggressività e distruttività


L’aggressività è espressione di un’emozione come, ad esempio, nel caso dell’odio che scatena la violenza contro un nemico. 
La distruttività non esprime un’emozione: essa è fredda e indifferente. È puro piacere nel distruggere, un piacere che si alimenta dall’atto stesso. Si può essere distruttivi senza odiare; odiare, infatti, è spiacevole e implica un conflitto, mentre il sadismo distruttivo è piacevole. 
L’aggressore può identificarsi con la vittima e mettere fine alla violenza.

La distruttività, invece, non permette alcuna identificazione con la vittima, anzi la sua eventuale sofferenza incrementa il piacere. 
Nella sfera psichica la distruttività è alla base di alcuni quadri psicopatologici quali la perversione, le sindromi anoressiche e borderline, le tossicomanie e le psicosi.

Nel campo sociale e politico la distruttività ha animato le più grandi tragedie del secolo scorso come quelle del nazismo e del comunismo ideologico.

Il piacere del male

L’atteggiamento distruttivo si accompagna a una speciale forma di piacere, che rende il male preferibile e più potente del bene.

Nei casi patologici gravi, il male induce verso una forma di orgasmo mentale che consente di agire al di fuori di ogni consapevolezza e responsabilità. Nel caso specifico e nelle forme estreme del piacere perverso, come nelle perversioni criminali, il fascino del dominio assoluto sulla vittima produce un piacere devastante come una droga. 

Come avviene per le droghe che producono assuefazione, l’azione distruttiva, per mantenere vivo l’eccitamento, deve aumentare continuamente le dosi di “cattiveria”

La differenza tra il male ordinario e il Male assoluto della perversione, consiste nel fatto che, mentre nel caso del male ordinario, il soggetto agisce perché accecato dall’odio e dal risentimento, nel caso del Male assoluto non esistono emozioni o sentimenti negativi ma domina l’indifferenza.

Si cerca il male per il piacere del male. Per il sadico l’importante è poter dominare un soggetto completamente acquiescente. Il Male assoluto, proprio per la sua assenza di passione, ha delle regole, che caratterizzano la scalata progressiva verso il piacere. Il perverso è un “recidivo” ossia un individuo che ripete sempre le stesse azioni quando se ne offre la possibilità.

Il Male assoluto della perversione coincide con il raggiungimento del Potere Assoluto, che è possibile spesso nella fantasia del perverso dove i ruoli sono stabiliti all’inizio.

Il potere della fantasia è, infatti, centrale nella perversione.

Criminalità e perversione

La fantasia perversa può non solo spingere ad azioni criminali, ma anche strutturare in questo caso una condizione di coscienza dissociata, di tipo ipnoide.
I perversi dopo aver compiute le loro azioni criminali le cancellano o allontanano dal ricordo, quasi seppellendole.

Nella letteratura psicoanalitica si è molto riflettuto sulla criminalità e sulla perversione, su ciò che le lega e ciò che le distingue. 
Secondo una delle tesi correnti nella criminalità la distruttività si manifesterebbe allo stato puro, mentre nella perversione sarebbe legata e mitigata dalla sessualità.
L’osservazione che il soggetto perverso di solito concorda con il partner il gioco aggressivo ha indotto a pensare che l’amore o l’interesse sessuale riduca il desiderio di fare male. La consensualità tra violentatore sadico e vittima masochistica è sancita dal contratto stabilito tra i due, per cui la sottomissione volontaria di chi subisce limita l’estensione del danno. Nella criminalità perversa, al contrario, il violentatore agisce contro e indipendentemente dalla vittima.
Secondo un’altra interpretazione dei fatti tra perversione e criminalità ci sarebbero differenze solo quantitative: la perversione sarebbe un fatto privato che diventa pubblico, e quindi criminale, nel momento in cui l’atto sessuale viene agito e produce danni tali da rientrare nei delitti punibili dalla legge. Non sappiamo perché la crudeltà agita e la sofferenza inflitta producano un eccitamento orgiastico mentale. Possiamo solo registrare il fatto che il legame con l’estasi sessuale rende sempre più devastante e pericolosa la crudeltà. La distruttività trionfa attraverso l’atto criminale perché è in grado di provocare questo tipo di piacere mentale.

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Chi era Napolitano

Giorgio Napolitano è stato uno dei personaggi politici più influenti della storia italiana.

Nato il 29 giugno 1925 a Napoli, Napolitano ha avuto una carriera politica lunga e di successo, che lo ha portato a diventare il Presidente della Repubblica Italiana dal 2006 al 2015.

Durante il suo mandato, ha lasciato un’impronta indelebile sulla politica italiana e ha contribuito a plasmare il futuro del paese.

La carriera politica di Giorgio Napolitano ha avuto inizio negli anni ’40, quando si unì al Partito Comunista Italiano (PCI).
Negli anni successivi, ha ricoperto numerosi incarichi politici a livello nazionale e internazionale. È stato membro della Camera dei Deputati e del Senato, e ha ricoperto diversi incarichi ministeriali, tra cui quello di Ministro dell’Interno e Ministro degli Esteri.

La sua vasta esperienza politica e la sua competenza gli hanno guadagnato rispetto e ammirazione da parte di colleghi e avversari politici.
Uno dei suoi maggiori contributi è stato quello di favorire la stabilità politica nel paese.

Durante la sua presidenza, l’Italia ha attraversato una fase di crisi economica e politica, ma grazie alla sua leadership e alla sua capacità di mediazione, Napolitano è riuscito a mantenere l’unità del governo e a promuovere riforme necessarie per il progresso del paese.

L’impatto di Giorgio Napolitano sulla politica italiana è stato profondo e duraturo. Durante il suo mandato, ha svolto un ruolo chiave nella promozione della democrazia e nel consolidamento delle istituzioni democratiche in Italia. Ha lavorato per garantire l’indipendenza della magistratura, per promuovere l’uguaglianza di genere e per sostenere i diritti delle minoranze. Inoltre, ha lavorato per riformare il sistema elettorale italiano, al fine di renderlo più equo e rappresentativo.

Una delle riforme più importanti è stata la riforma del sistema pensionistico, che ha contribuito a garantire la sostenibilità del sistema e a garantire una maggiore equità tra le diverse categorie di lavoratori. Inoltre, Napolitano ha promosso la riforma del sistema giudiziario, al fine di garantire una maggiore efficienza e tempestività nella giustizia italiana.

Nonostante i suoi numerosi successi, la presidenza di Giorgio Napolitano non è stata immune da critiche e controversie.
Alcuni hanno criticato la sua gestione della crisi economica, sostenendo che non abbia adottato misure sufficienti per affrontare la recessione.

Altri hanno sollevato dubbi sulla sua imparzialità politica, sostenendo che abbia favorito alcuni partiti politici rispetto ad altri. Tuttavia, è importante sottolineare che gran parte delle critiche rivolte a Napolitano sono state mosse da posizioni politiche avverse e non tengono conto dei suoi numerosi successi e contributi.

Il lascito di Giorgio Napolitano

Il lascito di Giorgio Napolitano è stato significativo e duraturo. Durante il suo mandato, ha contribuito a consolidare la democrazia in Italia e a promuovere il progresso del paese. Il suo impegno per l’unità e la stabilità politica ha avuto un impatto positivo sulla società italiana, e molte delle riforme da lui promosse sono ancora in vigore oggi. Inoltre, il suo ruolo di mediatore e di promotore del dialogo ha contribuito a garantire la coesione sociale e politica nel paese.

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UOMINI COMUNI

Da poco è uscito su Netflix un documentario, intitolato Uomini comuni, in lingua inglese (con sottotitoli in italiano) che parla di un Battaglione 101, ossia coloro che vennero arruolati tra la Polizia nazista, negli ultimi due anni della seconda guerra mondiale.

Si può ascoltare la voce di uno psicologo, un certo Harald Oldenburg e di alcuni storici tedeschi.

Tra gli altri speakers parla anche un avvocato centenario ungherese di nome Benjamin Ferencz, che aveva accusato di crimini contro l’umanità tutti i gerarchi nazisti a Norimberga. All’epoca dei fatti era un giovane avvocato alle prime armi…divenne un pubblico ministero instancabile nella cattura e nel giudizio dei criminali nazisti.

Ci sono in questo documentario filmati rari d’epoca, addirittura la ripresa filmata della morte di donne e bambini ebrei in una foresta polacca…raccapricciante!

La cosa che più stupisce è come si possa parlare di quei criminali come se il loro agire fosse una normalità!

Si parla anche di qualche capo del battaglione 101 che quando doveva dare gli ordini per uccidere donne e bambini, diceva ai soldati che potevano anche ritirarsi dal farlo…alcuni soltanto dissero no. Non erano obbligati a farlo e non gli sarebbe successo granchè… eccetto che subire dagli altri soldati, affronti e vituperi, un nulla di fronte a quanto avrebbero portato dentro, se avessero ucciso…

Eppure solo pochi si rifiutarono. Cosa spinse dei soldati ad uccidere migliaia e migliaia di persone innocenti? Il loro senso del dovere? La loro adesione ad una visione demoniaca della vita, a fianco al loro capo, Hitler? La loro depravazione? Il loro spirito di corpo?

Cosa? Addirittura documentavano come trofei queste uccisioni di massa.

Uno dei responsabili, addirittura, aveva condotto sua moglie incinta a vedere quello che facevano!

Un obbrobrio. Eppure in tutto ciò Dio li ha tenuti in vita. Ha dato loro fino alla fine la libertà di lasciare le armi, di non andare a uccidere.

Gli uomini di questo famoso Battaglione 101 erano uomini semplici reclutati per necessità, quando il nazismo stava perdendo di fronte all’arrivo degli Alleati e dei Russi.

Non erano fanatici, non erano antisemiti…eppure divennero carnefici più spietati dei loro commilitoni degli anni precedenti, perché quando uccisero 38.000 persone nella foresta polacca e 45.000 vicino a Treblinka, lo fecero a fuoco ravvicinato.

L’autore di un libro su questi commilitoni tedeschi del Battaglione 101, un certo Christopher Browning, https://www.einaudi.it/autori/christopher-r-browning/ disse che un uomo qualsiasi può diventare uno spietato assassino per non essere diverso dagli altri commilitoni, per non sentirsi preso in giro, per non essere ritenuto un codardo e per fare carriera nell’esercito.

Tutto ciò, a mio parere, chiama in causa Dio e la sua ira.

Riflettiamo bene quando pensiamo all’omologazione delle persone e alla coercizione.

Insegniamo ai nostri ragazzi a proteggere la coscienza personale da qualsiasi “invasione” derivante dall’intruppamento.

Personalmente ritengo che dinanzi ad ogni tipo di efferatezza del genere: passata, presente e futura, per chi la compie e non si pente o redime prima, NON CI SIA SALVEZZA.

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UN’AMICIZIA LUNGA UNA VITA E OLTRE LA MORTE

Fred Uhlman è stato uno scrittore tedesco di religione ebraica vissuto durante il nazismo.

Nacque in Germania, a Stoccarda, nel 1901 da una famiglia ebrea; studiò a Friburgo, Monaco e Tubinga dove, nel 1923, si laureò in Legge.

Il 23 marzo 1933, poco prima che Hitler prendesse il potere, Uhlman ricevette una telefonata da un amico che lo invitava a scappare a Parigi, subito.

Compreso il messaggio, il 24 marzo Uhlman fuggì in Francia, e il 25 si stabilì a Parigi per iniziare una nuova vita. Qui, tuttavia, incontrò molte difficoltà. Per vivere Uhlman si mantenne come pittore e pescatore.

Nell’aprile del 1936 si trasferì a Tossa de Mar, un piccolo villaggio di pescatori sulla Costa Brava in Spagna, ma di lì a poco scoppiò la guerra civile spagnola e quindi in agosto Uhlman decise di tornare a Parigi, passando per Marsiglia. Mentre stava facendo una telefonata da un caffè a Diana Croft, un’amica londinese conosciuta a Tossa de Mar, gli venne rubato il portafogli, contenente la maggior parte dei suoi soldi e il suo passaporto. Uno straniero in Francia senza passaporto diventava di fatto un apolide soggetto ufficialmente a persecuzioni, all’arresto ed a una possibile espulsione. Demoralizzato e in preda alla disperazione, diede il suo numero di telefono di Parigi al titolare del bar, e continuò il suo viaggio verso la capitale. Il giorno dopo ricevette una telefonata dal suo albergo; il chiamante lo informò che aveva il portafogli e il passaporto e li avrebbe inviati a Uhlman il giorno seguente.

Il portafogli e il passaporto arrivarono l’indomani.

Il 3 settembre 1936, Fred Uhlman sbarcò in Inghilterra senza soldi e senza conoscere una parola d’inglese. Due mesi dopo, il 4 novembre 1936, sposò Diana Croft.

Nove mesi dopo lo scoppio della Seconda Guerra Mondiale, nel giugno 1940, Uhlman, insieme a migliaia di stranieri originari di paesi nemici, fu confinato dal governo britannico sull’Isola di Man. Fu rilasciato sei mesi dopo e si poté ricongiungere con la moglie Diana Croft e la figlia, nata durante l’internamento.

Uhlman fece la sua prima mostra personale presso la Galerie Le Niveau a Parigi nel 1935. A Londra, espose alla Zwemmer Gallery nel 1938, e da allora cominciò ad esporre regolarmente in mostre personali e collettive in tutta la Gran Bretagna. Nel 1971 pubblicò la sua opera più famosa: il romanzo L’amico ritrovato (Reunion). Iniziò così la Trilogia del ritorno, che comprende anche Un’anima non vile e Niente resurrezioni, per favore. Inoltre pubblicò l’opera autobiografica Storia di un uomo.

L’amico ritrovato ebbe un immediato successo ed è stato tradotto in diciannove lingue; nel 1989, ne è stato tratto l’omonimo film di Jerry Schatzberg.

L’amico ritrovato è un romanzo breve che racconta l’amicizia tra un ragazzino ebreo, di nome Hans Schwarz, e il coetaneo tedesco Konradin von Hohenfels.

Il libro è ambientato durante la dittatura nazista in Germania (1933-1945) ed è ispirato alla vita dell’autore: l’amicizia tra Hans e Konradin è messa a dura prova dalle leggi razziali, tanto che Hans dovrà fuggire all’estero e scoprirà la verità sul destino dell’amico solo dopo la Seconda guerra mondiale.

Siamo nel 1932 a Stoccarda e la narrazione si apre con Hans Schwarz, un ragazzino ebreo appartenente a una famiglia borghese e colta. Il padre di Hans è un medico e un ex soldato insignito durante la Prima guerra mondiale con la Croce di Ferro e nutre un forte sentimento nei confronti della patria.

Un giorno nella sua classe arriva un ragazzino di famiglia nobile, Konradin von Hohenfels, che mantiene un atteggiamento sostenuto e non lega con nessuno dei compagni; la famiglia gli ha infatti trasmesso un sentimento di superiorità rispetto agli altri, che deriva dall’onore di appartenere ad una delle famiglie più importanti del Paese. Tuttavia, Hans si sente attratto da Konradin e un giorno riesce a vincerne la timidezza mostrando in classe la sua collezione di monete. Grazie a questa, i due ragazzi diventano amici, e Konradin si reca spesso a casa di Hans, di cui conosce i genitori e che frequenta quotidianamente.

I due stringono un legame particolarmente forte, che li porta a conversare sia di argomenti leggeri e spensierati sia di temi impegnativi, come l’esistenza di Dio o il significato della morte.

L’unico punto oscuro nel loro rapporto è relativo all’atteggiamento di Konradin nei confronti dei propri genitori: egli infatti invita Hans a casa propria solo quando questi sono assenti. Una sera, in occasione di una rappresentazione teatrale, Konradin, in compagnia della madre, ignora addirittura l’amico, fingendo di non conoscerlo.

Quando Hans chiede il perché di questo atteggiamento a Konradin, egli spiega che i genitori – e la madre in particolare – hanno idee antisemite e non vogliono che il figlio frequenti ragazzini ebrei. La situazione peggiora con l’avvento di Adolf Hitler al potere, nel 1933: a scuola si diffondono pregiudizi ostili agli ebrei (anche da parte degli stessi professori) e tesi a sostegno della superiorità della razza ariana. In un’occasione, Hans viene anche alle mani con dei compagni di classe che l’hanno insultato in quanto ebreo. Hans e Konradin vedono così allentarsi i loro rapporti. Intuendo il pericolo per il figlio, i genitori di Hans lo mandano da dei parenti in America; Hans abbandona così la scuola poco prima di Natale. Appena prima della partenza di Hans, Konradin scrive all’amico e, sebbene nella sua lettera attesti la stima nei suoi confronti, egli ammette la fascinazione per Hitler. I genitori di Hans, poco dopo la sua partenza, si suicidano.

Negli Stati Uniti Hans studia legge in prestigiose università e si ricostruisce una vita, rifiutando di tornare in Germania e di sapere qualsiasi cosa sul destino di Konradin, in un misto di paura e di dolore per ciò che è successo. Molti anni dopo riceve un opuscolo del suo vecchio liceo di Stoccarda con la richiesta di un contributo per la costruzione di un memoriale agli studenti caduti in guerra. Hans ha il coraggio di scoprire cosa è successo a Konradin ma, poco prima di stracciare l’elenco, si fa coraggio e lo apre alla lettera “H”. Qui legge che Konradin von Hohenfels è stato giustiziato perché implicato nel piano per uccidere Hitler.

Il romanzo breve di Uhlman affronta molti temi importanti, come l’amicizia adolescenziale, il peso delle differenze sociali, l’insensatezza delle discriminazioni razziali, il coraggio di compiere scelte scomode, l’orrore della guerra e del regime nazista.

La narrazione è in prima persona, in quanto è Hans che ci racconta direttamente con la sua voce ciò che è stata la sua vita, concentrandosi sugli eventi drammatici che lo hanno allontanato dalla Germania e dal suo amico Konradin. Questa scelta favorisce l’immedesimazione del lettore negli eventi e nella psicologia dei personaggi, permettendo di seguire dall’intervento l’evolversi delle vicende e di venire sorpresi dal “colpo di scena” finale, che ricongiunge, a distanza di anni, Hans e Konradin.

Tema centrale dell’opera è quindi l’amicizia che nasce, si consolida, si spezza e si ricompone tra i due protagonisti principali; questo sentimento si dimostra più forte e duraturo sia degli eventi storici che separano Hans e Konradin che dell’odio strisciante verso gli ebrei alimentato dal regime nazista. Ciò non toglie che i due amici siano diversi tra loro: Hans, di estrazione sociale borghese, è un ragazzo semplice e timido; è subito colpito dalla differenza di Konradin rispetto agli altri compagni di classe e ne desidera l’amicizia e la confidenza. Konradin invece è una figura certamente più complessa: egli è altero e solitario, consapevole della sua diversità sociale, rispetto agli altri, ma al tempo stesso avido di affetti genuini. La scoperta finale di Hans indica che, nonostante la delusione di Hans, il legame tra i due era davvero profondo ad autentico: Konradin, resosi conto dell’errore commesso, non esiterà a sacrificare la propria vita nel tentativo eroico di far cessare l’incubo nazista.

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LE LOBBIES E L’INFORMAZIONE

Per noi tutti è importante informarsi.

Ogni momento è quello buono per guardare le notizie dal cellulare, dal tablet, dal pc o dalla televisione.

Negli ultimi vent’anni, la necessità è cresciuta visto l’uso di internet.

Ma ci siamo mai chiesti chi manipola le notizie?

E le notizie che ci arrivano sono davvero oggettive?

Premesso che mai nulla potrà essere del tutto oggettivo, perché nessuno detiene la verità assoluta di persone ed eventi, è necessario stare allerta circa le lobbies, ossia quei gruppi di pressione (aziende, associazioni di categoria, ordini professionali, organizzazioni ambientali e ogni altra tipologia di agente collettivo) che, per il perseguimento delle proprie finalità, manifestano la necessità di un’attività di relazione con l’informazione e la politica.

Si parla di influencers, per i video o i brevi articoli che, magari di sfuggita guardiamo o leggiamo, ma anche le lobbies sono degli influencers, più o meno occulti.

I principali elementi delle lobbies sono quelli di essere un gruppo che ha interessi particolari circa la società civile, nella quale non hanno potere ma che vorrebbero averne, bisognose di attirare l’attenzione dell’opinione pubblica, in modo da ottenere risalto.

Più le lobbies creano audience, più è possibile che attirino attenzione e quindi visibilità. Infatti è ciò che vogliono, ma in modo occulto, impercettibile, ma decisivo.

Perché al giorno d’oggi noi, pur essendo rispetto al passato istruiti, non ci rendiamo conto della veridicità delle notizie? Perché prendiamo tutto come oro colato?

Semplicemente perché “ci fidiamo”.

Un buon cittadino, una persona che vuole essere cosciente di quanto accade intorno a sé, per contribuire al meglio alla sua funzione sociale, ha però il dovere di informarsi, non come desiderano le lobbies, ma in modo il più possibile critico.

Il modo migliore è sempre quello di confrontare la stessa notizia.

Insomma, agere contra (agire contro) la preponderanza delle lobbies.

Queste ultime spesso concentrano le proprie strategie occulte cercando di convincere l’opinione pubblica in un solo senso.

L’azione nascosta si basa proprio sulla nostra cosiddetta “fiducia” in quello che ci viene detto o scritto o taciuto…; dovremmo essere quindi più accorti a non lasciarci manipolare da nessuno, facendoci un’idea nostra, che nasce però dalla contrapposizione di notizie.

Spesso le notizie o i fatti più veri sono proprio quelli che sono esenti da troppa pubblicità.

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