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L’esagerazione delle dittature

Due ragazzini di sedici anni della Corea del Nord sono stati condannati a dodici anni di lavori forzati, per aver visto una serie televisiva della Corea del Sud.

La notizia è trapelata solo ora, ma in realtà si tratta del 2022.

Solo ora la BBC ha reso pubblica la notizia, perché non arrivano facilmente notizie attuali da una dittatura.

I poveri ragazzi sono stati umiliati pubblicamente, davanti a tutti i compagni della loro scuola.

Delle guardie li hanno ammanettati, dinanzi ad un tribunale, all’aperto, forse un piazzale simile ad uno stadio o uno spiazzo davanti alla scuola…

Che cosa accadrebbe allora se una dittatura come quella della Corea del Nord, paese comunista, si estendesse in altri paesi? E che cosa accadrebbe se si passasse dal lassismo imperante ad una rigidità estrema, come in questo caso?

Inaudito!

Speriamo mai di sperimentarlo.

Nel 2024, ancora dobbiamo stupirci di tanto!

La Storia non ha insegnato nulla a nessuno?

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ALCUNE PRECISAZIONI SULLA POLITICA

Modelli di leaders differenti

Esistono e sono esistiti nel tempo dei modelli di leaders, sia di destra sia di sinistra. Il modello di destra può variare a seconda del contesto e della nazione, ma ci sono alcune caratteristiche comuni che spesso emergono.

Molti leaders, ma soprattutto molte leaders conservatrici e di estrema destra dei nostri tempi hanno una formazione educativa e professionale, in campi tipicamente maschili, come le STEM o anche dette “scienze dure”: sono le fisiche, le chimiche, le matematiche oppure campi relativi alla difesa o alle finanze.

A. Il modello di un/a leader di destra

Tratti forti: i leaders ma anche qui, soprattutto, le leaders di destra spesso mostrano tratti aggressivi e sono in grado di riconquistare i voti delle donne. Ad esempio, più della metà dei sostenitori del partito di Meloni alle elezioni del 2018 sono donne.

Valori conservatori: sempre più le figure femminili, che aderiscono a partiti di destra e sono apprezzate dagli uomini, incarnano una concezione tradizionale della famiglia

Leadership autoritaria: molti leaders di destra prendono decisioni in modo forte, senza interpellare o considerare i loro subordinati.

Focus sulla produzione: molti leaders di destra possono enfatizzare l’importanza della produzione e desiderano che in uno Stato si mantengano gli standard produttivi.

B. Il modello di un/a leader di sinistra.

Caratteristiche generiche evidenziate in molti leaders di sinistra, almeno nel passato:

Lungo periodo di militanza: I leaders carismatici della sinistra italiana, come Togliatti, Berlinguer, Nenni, Craxi, Di Vittorio e Lama, hanno potuto prendere la guida delle proprie organizzazioni, dopo una lunga militanza, ossia facendosi conoscere dai propri compagni di partito.

Leadership democratica: Alcuni leaders di sinistra a volte possono adottare uno stile di leadership democratico, che coinvolge i membri del team nelle decisioni e incoraggia la partecipazione attiva. Si tratta del cosiddetto “centro-sinistra”.

Focus sulle persone: Alcuni leaders di sinistra possono enfatizzare l’importanza del benessere dei membri del team e lavorare per creare un ambiente di lavoro positivo. Così facendo soddisfano le aspettative dei loro compagni e vengono quindi lodati e incoraggiati a proseguire nel loro lavoro.

Visione collettiva: Alcuni leaders di sinistra possono essere visti come il riferimento di una molteplicità di persone, espressione e sintesi di pensiero collettivo. Questa visione è più vicina alle posizioni socialiste e comuniste, di altri tempi.

Quali sono le altre differenze tra la destra e la sinistra in Italia?

In Italia, la destra e la sinistra rappresentano due diversi orientamenti politici con ideologie e obiettivi distinti. Ecco alcune delle differenze principali:

Destra:

La destra politica si è caratterizzata per la difesa dei valori tradizionali, dell’economia di mercato, dell’individualismo e del nazionalismo.

In Italia, la destra è stata inevitabilmente influenzata e dominata dal fascismo come regime e dal post-fascismo come ideologia.

La destra è riconoscimento di un ordine e di una gerarchia naturale che consente alla società umana di funzionare al meglio.

In Italia, essere di destra implica anche il desiderio di avere una forte entità statale, che accentri i poteri di polizia, sicurezza, difesa, tassazione.

Sinistra:

La sinistra politica ha sostenuto l’intervento dello Stato nell’economia, la ridistribuzione delle risorse, l’uguaglianza sociale e i diritti dei lavoratori.

La sinistra tende a difendere i diritti umani, a combattere la discriminazione e a promuovere l’istruzione e la cultura. Ma ovviamente non è solo il campo della sinistra, perchè anche la destra tiene all’istruzione e soprattutto tiene al riconoscimento del merito e dell’impegno personali.

La Sinistra non accetta i rapporti di forza basati sull’accumulo di potere individuale e le diseguaglianze che si formano nella società, a causa delle diversità sociali e individuali.

Cosa significa, quindi, essere conservatori o progressisti?

Essere conservatore, in politica, significa sostenere il valore della tradizione e mirare a conservare le strutture sociali e politiche tradizionali

I conservatori tendono a difendere l’ordine costituito, la famiglia, la proprietà privata e nutrono un particolare rispetto per la tradizione

I conservatori possono essere scettici nei confronti dei cambiamenti rapidi e sostengono l’opportunità di preservare uno stato istituzionale, religioso e sociale. La prudenza nelle scelte è preponderante rispetto alla irruenza dei progressisti, soprattutto quelli più a sinistra.

D’altra parte, essere progressista significa sostenere la necessità di accelerare il progresso, cioè l’evoluzione della società, nell’ambito politico, sociale ed economico. I progressisti tendono ad avere visioni innovatrici e a sostenere lo sviluppo democratico della società. Essi sostengono l’opportunità di trasformare idee, forme e istituti politici e sociali.

Tuttavia, è importante notare che queste sono generalizzazioni e ci possono essere molte variazioni individuali all’interno di ciascuna categoria. Inoltre, le posizioni politiche possono cambiare nel tempo e variano a seconda del contesto nazionale e storico.

Quali sono i partiti conservatori e i partiti progressisti in Italia?

In Italia, ci sono diversi partiti che possono essere classificati come conservatori o progressisti.

Partiti Conservatori:

  • Fratelli d’Italia
  • Forza Italia
  • Lega per Salvini Premier
  • Cambia!
  • Direzione Italia
  • Italia Reale

Partiti Progressisti:

  • Partito Democratico
  • Movimento 5 Stelle
  • Azione
  • Italia Viva
  • Alleanza Verdi e Sinistra
  • Sinistra Italiana e Possibile.
  • +Europa.
  • Articolo Uno.
  • Sinistra Italiana

Sia la sinistra sia la destra nascono tra la fine del XIX secolo con le lotte sociali.

Anche se hanno denominazioni diverse, il loro retroterra è la seconda guerra mondiale, il fascismo, il socialismo e il comunismo.

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ORIENTAMENTI POLITICI IN EUROPA*

Se vogliamo capire cosa ci aspetta a livello politico ed economico in Europa, dal 2024 in poi, almeno per un quinquennio, dobbiamo andare a vedere i singoli paesi europei e fare una sintesi:

In Europa, i governi dei 27 Paesi membri dell’Unione Europea possono essere suddivisi in cinque categorie principali:

1. Governi guidati dal centrodestra

2. Governi guidati dalla destra

3.Governi guidati da coalizioni

4.Governi guidati dal centro

5. Governi di centrosinistra

I governi di centrodestra

I tre che sono allineati a centrodestra sono Italia, Polonia e Ungheria.

Tra gli altri 24 Paesi dell’UE, sei hanno governi di centrosinistra, altri sei hanno governi di centrodestra, nove hanno governi di coalizione, con partiti che vanno dal centrosinistra al centrodestra, in due Paesi dove si è votato da poco si stanno formando i due nuovi governi, mentre in Francia c’è un governo centrista.

I governi di destra

Governi di centrodestra, formati da coalizioni con partiti più o meno di centrodestra o centristi, sono al potere nei Paesi Bassi, in Croazia, in Grecia, a Cipro, in Lituania, in Slovacchia.

In Lettonia, il Paese continuerà a essere governato dal centrodestra. Anche in Svezia vi è un governo di centrodestra.

I governi di coalizione

Nove governi di altrettanti Paesi Ue sono al momento composti da coalizioni tra partiti che spaziano dal centrosinistra al centrodestra. In Austria, il governo federale conservatore sta in piedi grazie al sostegno dei Verdi. In Germania, il governo socialista è a capo di una coalizione con i Verdi e i Liberaldemocratici. Governi di coalizione ci sono anche in Irlanda, in Lussemburgo, in Bulgaria, in Romania, in Estonia e in Repubblica Ceca.

I governi centristi e di centrosinistra.

In Francia c’è invece un governo centrista. Infine, governi con uno o più partiti di centrosinistra, alleati con quelli di centro o di sinistra, sono alla guida della Spagna, del Portogallo, di Malta, della Finlandia, della Slovenia e della Danimarca.

Undici a centro o centrodestra, otto di coalizione, sette di centro-sinistra.

Secondo le statistiche prevalgono quindi posizioni moderate o conservatrici. Ossia il modello occidentale regge, contro il modello di centrosinistra, riformista o anche innovatore.

Ovviamente sono esonerati dai calcoli i paesi extraeuropei, dell’area orientale, che sono sotto influenza russa o asiatica.

*I dati sono aggiornati a fine novembre 2023

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UN CAMMINO, UN DESTINO, UNA DESTINAZIONE

Dio, nel suo imperscrutabile disegno di salvezza, ha scelto di incarnarsi in un figlio.

Non ha scelto di venire al mondo isolato, ma ha scelto la famiglia.

Il mistero dell’Incarnazione di Gesù avvenne e avviene in una famiglia. Anche se “non è di moda”, detto ironicamente per non ledere i diritti e le scelte di nessuno, Dio sceglie un nido familiare.

Un padre una madre un figlio.

Una madre, un padre e la Potenza divina!

Una madre, Miriam, figlia secondo la tradizione di Joaquim e Hanna, della tribù di Giuda, della discendenza di Davide.

Un padre legale, Joseph, della stirpe di Davide.

Entrambi di stirpe davidica, la stirpe di Israele, quella scelta da Dio.

Miriam e Joseph: due promessi sposi.

Dio vuole realizzare il suo progetto universale di salvezza, attraverso questi due ebrei giusti.

Gesù ossia Joshua, “Dio salva”, nascerà per la potenza dello Spirito Santo, in una famiglia umana.

Dio si serve delle cose umane per farne cose divine, perché tutto discende da LUI.

Il sì di Maria e il sì di Giuseppe, -chiamiamoli d’ora in poi in italiano- hanno permesso a Dio la realizzazione umana del suo progetto eterno. Dio vuole la nostra collaborazione.

Ognuno di noi viene da due esseri umani: un uomo ed una donna.

Non esiste proprio che si possa modificare questo progetto!

Ognuno di noi porta in sé, nel proprio essere la storia dei propri genitori e dei propri antenati.

Ognuno ha un suo cammino, un suo destino e una sua destinazione.

Un cammino fatto di infanzia, giovinezza e maturità, fino alla mèta; un destino, ossia un suo svolgimento -non secondo il mondo classico, il fato stabilito dagli dei, ma una libera scelta personale-; una sua destinazione, ossia un punto di arrivo – che non coincide esattamente con la morte fisica, ma può coincidere con ideali, passioni, scelte e realizzazioni-.

La morte fisica non è tutto. Dio ha stabilito per ognuno cammini di salvezza. La Vita Eterna non si può buttar via per quattro spiccioli.

Così il cammino umano di Gesù ha incrociato il nostro, il suo destino può essere il nostro e la sua destinazione, ossia il Regno di Dio sarà la nostra speranza e il nostro desiderio. Non da soli però: ma con tutte le nostre famiglie, i vivi e i trapassati che riabbracceremo quando Dio vorrà.

Il bilancio di un anno che si conclude si può far bene partendo dalla storia della salvezza che si immette … in una storia umana, fatta di sfide, di luci e di ombre, che ognuno sa.

Alziamo lo sguardo verso l’alto e protendiamolo al futuro, augurando per ognuno di realizzare il Bene per sé e per tutta l’Umanità.

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L’ATTENZIONE E IL SILENZIO

Viviamo in un processo d’ordine generale in cui l’attenzione lascia il posto alla fretta, alla cosiddetta “efficienza” e “rapidità” e non ci accorgiamo che stiamo perdendo la cognizione della realtà e del suo contenuto.

Se pensiamo al concetto di “zapping” ossia del continuo cambiare canale, forse capiamo meglio. Da quando sono entrati nella nostra quotidianità i mass media: dalla tv allo smartphone, dall’ipod all’apple watch, dal suono 4D a quello 8D, insomma da quando non siamo più soli con il nostro silenzio e con la nostra riflessione, abbiamo perso il potere di selezionare le fette della nostra realtà.

Esiste una realtà condivisa, ossia quella trascorsa in mezzo alla gente, nel tran tran del nostro lavoro e delle relazioni ed esiste una realtà personale, fatta di ricordi, conoscenze, consapevolezze razionali e irrazionali.

L’attenzione è una selezione: prima percepiamo quello che ci sta intorno o che fa parte di noi, poi successivamente comprendiamo le sequenze date da pensieri, azioni e intuizioni.

Credo che fino a trent’anni fa la nostra mente fosse più strutturata, così come le nostre giornate.

Ora le nuove generazioni sono certamente più veloci ma meno profonde: dinanzi ad una pagina di studio sembra che abbiano più intuizione, ma dinanzi al suo significato sono lenti a comprendere perché hanno perso ciò che per la generazione del secolo scorso era la forza dell’attenzione.

Certamente non possiamo demonizzare ciò che lo sviluppo umano sia riuscito a fare, con la genialità delle persone: ora si può conoscere ciò che si è prodotto da quando esiste la scrittura e anche prima…però manca quello che è basilare.

A che porta la fretta? Una persona può vivere fino a ottanta novanta cent’anni, ma la qualità delle sue cognizioni non ha la stessa età biologica.

Una persona è distinta dall’altra, ognuno di noi ha percezioni della realtà distinte e molteplici.

Molto fa il DNA e molto fa il modo in cui abbiamo applicato la nostra mente a conoscerci e a conoscere.

Se all’improvviso sparissero tutti i mezzi di comunicazione sociale, sono quasi certa che molte persone andrebbero in crisi, perché si troverebbero all’improvviso dinanzi al silenzio e non sarebbero in grado di gestirlo, perché esso fa paura.

Però il silenzio e l’attenzione ai propri vissuti e alla giusta ed obiettiva conoscenza del mondo sono la chiave vincente per procedere bene nella vita e soprattutto aprono tunnel di conoscenza che nessuna Intelligenza Artificiale potrebbe distruggere.

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IL DIO NASCOSTO

Leggendo un commento al Vangelo della nascita di Gesù, riguardante l’incarnazione, ho avuto una intuizione.

Dio si è fatto piccolo. Quando ha vissuto storicamente ha condotto una vita nascosta e si è manifestato. Ci sono coloro che gli hanno creduto e altri no. È stato messo a morte come un impostore e nell’Eucaristia è tornato presente a noi, ogni giorno della vita del mondo.

In questo suo nascondimento ci sta dicendo che dobbiamo avere occhi diversi per vederlo e ricercarlo negli anfratti della vita: in quelle situazioni inspiegabili o incomprensibili, nel mistero e soprattutto in quelle vicende intime e personali che non vogliamo riconoscere come rivelatrici.

Dio Onnipotente si fa trovare da chi vuole cercarlo.

Cerchiamo Dio allora, tra gli anfratti della vita!

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LA STASI

Esiste una storia che pochi conoscono e che ha influenzato in modo notevole le vite di tante persone, durante il secondo dopoguerra, fino alla caduta del Comunismo: la polizia segreta dell’Est, detta Stasi.

La Stasi è stato l’apparato di polizia segreta della DDR, Repubblica democratica tedesca, fondato nel 1950 per assicurare il potere del Partito socialista tedesco, e disciolto nel 1990. La Stasi contava, al suo nascere, su circa ottantacinquemila dipendenti, con unità a struttura militare, con centrali per il controllo dell’intera rete telefonica e su un numero elevato di spie e di infiltrati, in ogni istituzione e in ogni ambiente, detti ufficiali in missione speciale.

La Stasi spiava i cittadini per mantenere la distinzione delle due Germanie e la divisione dei due blocchi protagonisti della guerra fredda.

Quando nel 1989 il Muro di Berlino crollò, la Stasi contava 274mila spie al suo servizio.

Il loro compito era portare a termine un preciso obiettivo: quello di “sapere tutto”, al fine di tutelare la sopravvivenza del regime comunista mediante lo spionaggio e la repressione.

La Stasi, in realtà nacque in URSS nel 1917, ed era dentro la Ceka, temibile organo di sicurezza sovietico. La Stasi svolse un ruolo parallelo a quello del KGB, organo successore della Ceka in URSS.

Nel 1953 ci fu una rivolta al comunismo a Berlino Est e questo spinse la Stasi a reprimere ogni tipo di sommossa con brutalità, richiedendo anche l’intervento delle truppe sovietiche.

Dal 1957 al 1980 gli addetti segreti crebbero a dismisura, fino alle centomila unità.

La gente aveva paura anche della sua stessa ombra.

La Stasi si dimostrò essere al pari, se non più crudele, della Gestapo nazista.

Vennero reclutate spie anche tra i liceali, che venivano pagati molto bene per svolgere lavori di ascolto di coetanei, che poi sparivano

Tutto era sotto controllo: scuole, università, ospedali, uffici avevano infiltrati dai vertici alla base, affinché nulla potesse sfuggire al Ministero. Gli stessi professori si rivelarono informatori della Stasi, com’è il caso di Heinrich Fink, professore di teologia all’università di Berlino. Questo fa capire come la stessa religione fosse un mezzo demoniaco per propagandare al rovescio, il credo…comunista!

La sede della Stasi a Berlino Est era in un quartiere popolare, insospettabile edificio enorme e tetro dove vivevano gli operai.

Il 15 gennaio 1989, negli ultimi mesi prima della riunificazione, quegli stessi giovani che avevano vissuto nella paura o che avevano aiutato la Stasi nelle sue ricerche segrete sui cittadini, presero d’assalto l’enorme edificio popolare e lo occuparono. La Centrale dalla gente era nominata a bassa voce, tale era il timore che incuteva.

Tredici piani di uffici e labirintici corridoi, stanze per gli interrogatori, locali degli archivi lunghi e larghi come piscine olimpioniche e vi sono, ancora, schedature di un intero popolo: cinque milioni e centomila fascicoli sono a Berlino.

Il capo della Stasi era il generale Erich Mielke, vecchio comunista, ex volontario in Spagna.

Il suo motto era: «Fidarsi è bene, ma controllare è meglio: noi dobbiamo sempre sapere tutto». Era temutissimo anche dai capi del regime e gli altri Partiti comunisti al potere all’Est lo temevano.

Secondo un racconto di un agente della polizia segreta le cimici erano in tutte le case.

Dinanzi al modello dell’Ovest, libero e sotto l’egida degli Stati Uniti, Francia e Gran Bretagna,

la gente voleva fuggire e le fughe, gli espatri illegali furono sempre il problema principale della Stasi. Fu la venuta di Gorbaciov, in URSS, a portare alla necessità di una svolta.

Le idee di Gorbaciov contagiarono i giovani. La Stasi avrebbe potuto fermare la caduta del Muro con la forza, ma la velocità degli eventi fece il resto. Finalmente la libertà dal cappio comunista!

I dossier della Stasi sono ancora un mistero che grava sul presente della Germania.

https://www.raiplay.it/video/2018/01/Passato-e-presente—LA-STASI-locchio-segreto-della-DDR-533b29b1-a87d-44a0-a709-f16e56640fc4.html

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IL NATALE DELLA MIA INFANZIA

Via Santa Barbara, 61: la casa della mia infanzia. Un appartamento di sette vani, per militari. Sobria, fredda, senza riscaldamenti. Mura spesse, finestre che davano su un viale alberato. Dalla mia camera vedevo la caserma. Quella dei pompieri. Nessuna differenza tra la caserma di mio nonno e quella. I cartelli visibili dicevano solo una cosa: “Divieto di accesso”. Dall’altro lato della cucina, un cortile freddo e senza altro che cemento. Grigio. I bambini dei militari, tra cui io, unica femmina tra maschi più piccoli, giocavamo ad acchiapparella o alla guerra. Le mamme e le nonne apparivano alla finestra delle case solo per urlare: “A casa. E’ pronto il pranzo. E’ pronta la cena”. D’inverno si rincasava presto, tenuto conto che alle cinque già era scuro. A casa si stava a studiare nella camera e quando era ora si andava a cena.

A Natale però era già diverso. Fuori le luminarie brillavano. Nel viale passavano le vetture dei militari e pochi altri. Per andare a passeggiare si poteva fino alla fine del viale e viceversa. Era la regola. Mio nonno rincasava alle sette della sera e lo sentivo che metteva nella toppa la chiave di casa. Allora si poteva uscire allo scoperto, andargli incontro. Per il resto silenzio. L’otto di dicembre avevo l’autorizzazione di fare il presepe in salotto e l’albero di Natale. Potevo scrivere in una lettera i desideri: “Caro Gesù Bambino, mi piacerebbe avere….una penna, un diario, i colori e i libri che mi hai promesso. Non mi portare bambole perchè le ho e non mi piacciono, perchè sono già grande e poi se le rompo vengo punita. Portami se puoi anche gli stivaletti, perchè c’è freddo per andare a scuola” …Poi, puntualmente arrivavano i regali il quindici di dicembre ma non si potevano aprire… stavo seduta sul tappeto a guardarli e a pensare se davvero Gesù Bambino portasse i regali indicati. Poi sì, ne portava altri oppure cose nuove e inaspettate.

Lo zio metteva la musica di Chopin in sottofondo, mentre studiavo e così faccio ancora per ricordare quegli eventi.

Poi i nonni uscivano e andavano a fare spese. Io rimanevo con lo zio che stava a preparare i suoi studi di matematica e di tecnologia, per essere ammesso a Ivrea all’Olivetti. Così fu. L’inverno del 1979 andò a lavorare lassù. Rimasi sola con i nonni. Contavo i giorni per l’arrivo della mia mamma e della mia zia. Lavoravano, ci sentivamo la domenica al telefono. Pensavo a come fosse bello averle a casa dei nonni e come fosse desiderabile che Natale durasse per sempre.

L’ atmosfera natalizia era diversa. La sera si stava davanti all’albero a parlare. Erano discorsi di famiglia, erano ricordi di mio nonno. Mia nonna, da buona sarda, ascoltava. Io facevo domande e poi sapevo già le risposte.

A scuola la maestra era severa. Maestra Ermenegilda era fascista e non amava i fronzoli. Diceva che non è normale che si esca con i fronzoli. La gente seria non li usa.

Siccome era la Maestra io le davo ragione e le do ragione ora perchè mi pare che gli addobbi siano utili solo a Natale.

La sobrietà e la ferrea disciplina non erano delle apparenze e chi non cresce così, come eravamo io ed i miei compagni di scuola, non può capire cosa significhi. Era uno stile di vita significativo.

Natale era il momento però dell’amore. Sentivo che quel Bambino che tutti noi aspettavamo era il Messia, era il Nostro Signore. Eravamo bambini essenziali.

Poi la Maestra Ermenegilda si commuoveva solo a Natale e …anche noi.

Il ventiquattro dicembre quando stava per arrivare il taxi che conduceva mia mamma e mia zia, stavo alla finestra che dava sul viale. Ecco il taxi giallo che arrivava. Il mio cuore a mille. Poi l’emozione sobria che accompagnava i loro passi verso la porta d’ingresso.

Mia madre era una donna bellissima: bionda, occhi azzurri, un’attrice. Lavorava per un grande regista di teatro. Mia zia era bruna, occhi verdi. Due bellezze e due caratteri diversi. Mia madre prendeva la scena.

I bambini del piazzale venivano a vederla, intimoriti. Io la lodavo come se fosse una dea.

La notte di Natale si andava in parrocchia e poi all’una e trenta, potevo aprire i regali.

Baci, abbracci e canti. Alle due e mezza a nanna. Abbracciavo i miei cari e sotto le coperte. I sogni erano quelli di un Gesù Bambino della mia età che mi diceva: “Brava S., hai meritato i doni e anche più. Ora dormi serena.”

Il mio Natale non lo cambierei per nulla al mondo. Ora che la mia famiglia è quasi tutta in Paradiso, sogno sempre un Natale così.

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DAVIDE CONTRO GOLIA

LA CREAZIONE DELLO STATO DI ISRAELE

ORIGINE E NASCITA DELLO STATO DI ISRAELE

Verso la fine dell’Ottocento, la diffusione del sionismo (movimento ebraico transnazionale che voleva far valere la situazione degli ebrei dispersi nel mondo, ossia il desiderio di essere una Nazione come le altre, con una sua Terra) alimentò varie ondate migratorie ebraiche dall’Europa in Palestina. Dopo la fine del primo conflitto mondiale e lo smembramento dell’impero ottomano, quando la regione fu affidata in mandato alla Gran Bretagna, lo statuto del mandato recepì gli impegni da questa assunti con la dichiarazione Balfour del 1917 in favore della creazione di un «focolare nazionale ebraico» in Palestina.

La crescita della presenza ebraica, intensificatasi negli anni Trenta con gli arrivi provenienti soprattutto dall’Europa centrale e orientale, acuì l’opposizione araba, che sfociò nel 1936 in una rivolta, protrattasi fino al 1939.

Con il Libro bianco del 1939 la Gran Bretagna formulò un progetto che prevedeva la nascita entro 10 anni di un unico Stato indipendente, che garantisse gli interessi essenziali di entrambe le comunità; limitava inoltre l’immigrazione e gli acquisti di terre da parte ebraica.

Durante la Seconda guerra mondiale la situazione restò di fatto congelata.

Dopo il 1945 la crisi riesplose con violenza, connessa anche all’immigrazione clandestina dei superstiti della Shoah e alle azioni dei movimenti paramilitari ebraici.

La Gran Bretagna rimise la questione alle Nazioni unite: nel 1947 l’Assemblea generale approvò un piano di spartizione della Palestina fra uno Stato ebraico, uno arabo e una zona, comprendente Gerusalemme, da sottoporre ad amministrazione fiduciaria dell’ONU. Immediatamente respinta dagli arabi, la risoluzione 181 stabilì anche la cessazione del mandato britannico entro il 1° ag. 1948.

Mentre già dal novembre precedente infuriavano i combattimenti tra le due comunità, il 15 maggio 1948 fu proclamato lo Stato d’Israele: il giorno successivo gli eserciti di Egitto, Siria, Transgiordania, Iraq e Libano invasero il territorio del nuovo Stato, nella prima di una serie di guerre che coinvolsero Israele e i Paesi arabi confinanti tra il 1948 e il 1973.

Il conflitto portò alla conquista da parte di Israele – cui era stato assegnato il 56% del territorio del mandato – di una grande fetta di quello spettante ai palestinesi (compreso il settore occidentale di Gerusalemme); la Striscia di Gaza fu occupata dall’Egitto, mentre la Cisgiordania (compreso il settore orientale di Gerusalemme) fu annessa dalla Giordania e il previsto Stato palestinese non vide la luce. Gli oltre 850.000 arabi già residenti nell’area acquisita da Israele furono nella grande maggioranza costretti alla fuga dalle operazioni belliche (circa 750.000 profughi affluirono in Cisgiordania, a Gaza e nei Paesi arabi vicini).

I LABURISTI AL GOVERNO: 1948-77

Dopo la creazione (maggio 1948) di un governo provvisorio, presieduto dal leader laburista D. Ben Gurion, nel 1949 fu eletta la prima knesset («parlamento») e C. Weizmann divenne presidente della Repubblica. La supremazia laburista, confermata dalle prime elezioni parlamentari del 1949, si tradusse nella sua permanenza fino agli anni Settanta alla testa di tutte le coalizioni di governo. Nella carica di primo ministro si succedettero D. Ben Gurion (1948-53; 1955-63), M. Sharett (1953-55), L. Eshkol (1963-69), G. Meir (1969-74) e I. Rabin (1974-77).

Nello schieramento di destra, dall’alleanza dell’Herut (Libertà), fondato da M. Begin nel 1948, con l’adesione dei liberali, nacque nel 1965 il Gahal (acronimo di Gush Herut-Libralim), che fondendosi con altri partiti nel 1973 avrebbe dato vita al Likud (Unione), con un allargamento dell’area d’influenza della destra nazionalista.

Nessuno Stato arabo riconobbe Israele.

La conflittualità con i vicini e soprattutto la loro avversione indusse lo Stato di Israele a perseguire una permanente superiorità militare su di essi; lo sforzo necessario per assicurare tale obiettivo, accanto all’assorbimento degli immigrati e allo sviluppo del Paese, fu sostenuto grazie agli ingenti aiuti provenienti dall’estero, in particolare dagli Stati Uniti, cui si aggiunsero, dal 1952, le riparazioni per i crimini nazisti pagate fino al 1966 dalla Repubblica federale di Germania.

La Legge del ritorno, che conferiva la cittadinanza israeliana a tutti gli ebrei immigrati, e quella sulla proprietà degli assenti, palestinesi, gettarono le basi per l’edificazione di uno Stato a netta maggioranza ebraica.

L’integrazione della minoranza palestinese fu difficile e le condizioni degli arabi israeliani restarono nettamente inferiori a quelle della maggioranza ebraica.

La permanente tensione nei rapporti con i Paesi arabi confinanti (formalmente regolati dagli armistizi conclusi nel 1949) fu alimentata dallo sviluppo di una guerriglia palestinese i cui attacchi, a partire dalle zone di raccolta dei profughi, generarono a più riprese nuove esplosioni di conflitto armato.

Nel 1956, Israele si alleò con Gran Bretagna e Francia nell’attacco all’Egitto, che aveva nazionalizzato il Canale di Suez, con il conseguente divieto di transito ai mercantili israeliani e il blocco degli stretti di Tiran (accesso di Israele al Mar Rosso).

Il secondo conflitto arabo-israeliano si concluse con una schiacciante vittoria militare israeliana, ma sul piano politico Israele ebbe la condanna dell’ONU e della comunità internazionale, compresi gli Stati Uniti.

Pertanto nel 1957 Israele dovette restituire il Sinai all’Egitto, ottenendo in cambio l’apertura del Golfo di Aqaba.

La guerra dei Sei giorni (giugno 1967) segnò una cesura nella storia del Paese. Il passaggio dell’intera Palestina sotto il controllo di Israele inaugurò una fase caratterizzata da un’accresciuta centralità della questione palestinese, dall’estensione dell’amministrazione israeliana a un’ampia popolazione araba (quasi un milione di persone nel 1967) e dai riflessi di tale situazione all’interno dello Stato di Israele.

La risoluzione 242 approvata dal Consiglio di sicurezza dell’ONU (1967), che subordinava al conseguimento della pace la restituzione dei territori occupati e il reciproco riconoscimento della sovranità di tutti gli Stati della regione, cadde di fatto nel vuoto.

Israele procedette all’annessione del settore orientale di Gerusalemme (sancita nel 1980), mentre negli altri territori, sottoposti ad amministrazione militare, fu avviata un’intensa opera di colonizzazione. La situazione di stallo fra Israele e i Paesi confinanti fu interrotta dall’attacco improvviso lanciato da Egitto e Siria il 6 ott. 1973 contro Israele nel giorno della festività ebraica del Kippur.

La guerra del Kippur, sebbene vinta, rappresentò un trauma per la società israeliana, infrangendo l’immagine di sicurezza acquisita nel 1967; nel 1974 Golda Meir si dimise.

DA BEGIN A RABIN: 1977-95

Nel 1977 la guida del governo passò al Likud guidato da M. Begin.

Gli accordi di Camp David (1978) tra Begin e il presidente egiziano A. Sadat per avviare un piano di pace in cambio della restituzione del Sinai (completata nel 1982), dissociò l’Egitto dal fronte arabo antisraeliano. La pace separata con l’Egitto fu siglata a Washington l’anno successivo, ma l’annessione del Golan (1981), così come l’intransigenza di Tel Aviv verso la costituzione di uno Stato indipendente palestinese rivendicata dall’OLP (Organizzazione per la liberazione della Palestina) confermarono la difficoltà di estendere il processo di pace agli altri interlocutori.

Per eliminare le basi della guerriglia palestinese in Libano, nel 1982 le forze israeliane invasero il Paese, giungendo fino a Beirut. Seguì l’occupazione del Libano meridionale fino al 1985, quando le forze israeliane completarono il ritiro mantenendo solo il controllo di una «fascia di sicurezza» a ridosso del confine, ma l’intervento armato fallì nello scopo di annientare le organizzazioni palestinesi né riuscì il tentativo di insediare a Beirut un governo alleato. Una crescente incertezza politica portò, dopo le dimissioni di Begin (1983), alla formazione di governi di unità nazionale caratterizzati dall’alternanza tra S. Peres e Y. Shamir nella carica di primo ministro. Nel contempo, dalla fine del 1987 il Paese dovette affrontare uno stato di rivolta semi permanente nei territori palestinesi occupati (prima intifada), mentre i negoziati fra Israele, Libano, Siria, Giordania e palestinesi (non rappresentati ufficialmente dall’OLP per l’opposizione del governo di Shamir) alla Conferenza di Madrid (1991) si arenavano sulla questione di Gerusalemme e le divergenze circa il futuro della Cisgiordania e di Gaza.

Nel 1992, dopo 15 anni, il ritorno dei laburisti alla guida del Paese con un governo guidato da I. Rabin favorì la ripresa del dialogo, con l’accantonamento però delle questioni di fondo (destino di Gerusalemme Est e dei profughi palestinesi, problema degli insediamenti israeliani, confini e sicurezza), rinviate alle trattative sullo status finale della Cisgiordania e di Gaza. Nel 1993, gli accordi di Oslo sancirono il riconoscimento reciproco tra Israele e OLP e consentirono la firma di una dichiarazione congiunta per lo sviluppo del processo di pace tra i due popoli; nel 1994 fu sottoscritto al Cairo il primo accordo sull’avvio di un’autonomia palestinese nella Striscia di Gaza e a Gerico (costituzione dell’Autorità nazionale palestinese); nello stesso anno fu firmato il trattato di pace con la Giordania. Ma poi l’andamento insoddisfacente dei negoziati favorì la ripresa del malcontento nei territori occupati e la crescita di formazioni di ispirazione islamica, protagoniste di ripetute azioni terroristiche antisraeliane; al tempo stesso, il problema della sicurezza della popolazione palestinese fu messo in risalto dall’oltranzismo dei coloni israeliani. Il 1995 registrò comunque un progresso con il ritiro israeliano dalle principali città della Cisgiordania dopo la firma dell’accordo noto come Oslo II. L’intesa fu condannata dalla destra, che si mobilitò contro il governo Rabin in un clima di tensione generale culminato nell’assassinio del premier (4 nov.) per mano di un estremista ebreo israeliano.

 DA NETANYAHU A BARAK: 1996-2001

Dopo un’ondata di attentati terroristici palestinesi (febbr.-marzo 1996), B. Netanyahu riportò il Likud al governo del Paese con un’instabile coalizione di estrema destra.

Il mancato procedere degli accordi di pace e le pesanti misure di sicurezza, unitamente all’intensificarsi degli insediamenti israeliani, produssero, in un clima politico interno sempre più teso, un susseguirsi di crisi nelle relazioni israelo-palestinesi.

Ciononostante, nell’ott. 1998 gli incontri di Wye Plantation (Maryland) tra B. Clinton, Y. ̔Arafat e Netanyahu, con il contributo di re Husain di Giordania, portarono alla firma di un’intesa che stabilì il ritiro di Israele dal 13,1% del territorio della Cisgiordania.

In un Paese profondamente diviso tra una parte favorevole alla creazione di uno Stato palestinese e l’altra incerta sulla restituzione dei territori occupati e condizionata dai settori religiosi, alle elezioni anticipate del 1999 lo Shas, formazione ultraortodossa di estrema destra, divenne il terzo partito in Israele, entrando in forze nel nuovo governo (1999) presieduto dal laburista E. Barak.

Nel luglio 2000, al vertice di Camp David fortemente voluto da Barak e Clinton, il premier israeliano presentò ad  ̔Arafat la più avanzata proposta mai offerta per porre termine al conflitto: per la prima volta fu messo in discussione il controllo di Israele sulla totalità di Gerusalemme e Barak si mostrò disponibile ad ampliare la percentuale di territorio della Cisgiordania da cedere ai palestinesi, ma ileader palestinese rifiutò, rinchiudendosi sulle questioni di principio.

In questo contesto, mentre languiva la campagna di laicizzazione lanciata dal governo, scoppiò (sett. 2000) la cosiddetta seconda intifada, che mise ancora più a repentaglio l’ormai precaria coalizione politica che sosteneva Barak in Parlamento.

LA SCELTA UNILATERALE DI SHARON

Le elezioni per il rinnovo del premier del 2001 registrarono la più bassa percentuale di votanti mai avuta in Israele. A. Sharon, leader del Likud dopo le dimissioni di Netanyahu nel 1999, formò un ampio governo di unità nazionale, cui aderirono anche i laburisti. Dopo gli attentati terroristici dell’11 sett. 2001 a New York e a Washington il governo impresse una dura linea politica e militare alla sua azione, rispondendo all’ondata di attacchi suicidi lanciata dai palestinesi contro le città e le colonie israeliane con un blocco alla Cisgiordania e alla Striscia di Gaza, con offensive sulle città e i villaggi palestinesi, e intensificando le esecuzioni mirate contro i leader palestinesi.

Nel 2002 iniziò la costruzione di una barriera difensiva di sicurezza (IL MURO) lungo tutta la Cisgiordania, che avrebbe poi comportato la netta diminuzione del numero degli attentati suicidi in territorio israeliano. La fine del 2002 segnò un punto morto nel processo di pace.

La società civile israeliana era costretta a fare quotidianamente i conti con la realtà del terrorismo, che assorbiva ogni istanza del dibattito politico interno.

La vittoria schiacciante di Sharon alle elezioni del 2003 pose ai margini il Partito laburista, che non entrò nel nuovo governo di coalizione.

Nell’apr. 2003 la Road Map, il piano concordato dall’amministrazione Bush con Russia, ONU e Unione Europea che prevedeva una serie di passi graduali di pacificazione fino alla nascita di uno Stato palestinese, fu approvata da entrambe le parti, ma le riserve espresse da Israele, non convinto dall’adesione palestinese, sembrarono archiviarla come inattuabile.

Nel 2004, la decisione di Sharon di ritirare le truppe israeliane da Gaza e di smantellare gli insediamenti ebraici fu anche connessa con il dibattito sviluppatosi nel Paese sull’identità ebraica e democratica dello Stato, minacciata dalla pressione demografica araba, da cui la necessità di assicurare a Israele una maggioranza ebraica.

Nel 2005 l’attuazione del disimpegno da Gaza e lo smantellamento degli insediamenti nella Striscia (e di 4 nel Nord della Cisgiordania) lacerò il Paese e fu boicottata dal suo stesso partito; non favorì, inoltre, la ripresa delle trattative con i palestinesi, che ravvisarono nell’iniziativa la volontà israeliana di agire unilateralmente. Dinanzi alla crescente opposizione nelle file del Likud, Sharon si dimise e rese nota la decisione di costruire una nuova forza politica con l’obiettivo di percorrere le tappe della Road Map anche senza la collaborazione palestinese.

FRAMMENTAZIONE DEL QUADRO POLITICO

Le elezioni anticipate del 2006 furono vinte dal nuovo partito, Kadima («Avanti»), non più guidato dal suo fondatore Sharon, colpito da un ictus e costretto a uscire dalla vita politica, ma da E. Olmert. I propositi di dialogo con i palestinesi del governo di coalizione ricevettero un duro colpo dalla vittoria di Hamas nelle elezioni palestinesi. Nei mesi successivi, a causa della critica situazione di Gaza, si ebbe il ritorno dell’esercito israeliano nella Striscia, sottoposta anche a embargo.

Nel luglio 2006, in risposta alla cattura di militari israeliani da parte di miliziani di Hizbullah, Israele attaccò il Libano; per porre termine al conflitto l’ONU inviò nel Sud del Libano una forza di pace (ag. 2006). Olmert, indebolito dalle critiche mossegli per la conduzione della guerra in Libano – costata molto in termini di perdite umane – e coinvolto inoltre in uno scandalo finanziario, nel sett. 2008 perse la guida di Kadima, passata al ministro degli Esteri Tzipi Livni, e rassegnò le dimissioni.

In uno scenario politico frammentato e inasprito, specchio delle divisioni nella società israeliana, la Livni non riuscì a formare un governo di coalizione, ed elezioni anticipate furono indette per febbr. 2009. Le elezioni ebbero esito incerto (28 seggi a Kadima, 27 al Likud) e solo dopo lunghe trattative si giunse a formare un nuovo esecutivo guidato da Netanyahu e nato da un accordo con i laburisti di Barak.

Anche dopo le elezioni del 2013 la knesset si è divisa in due schieramenti di pari forza, centrodestra e centrosinistra, e Netanyahu è stato chiamato a formare un nuovo governo, dovendo intavolare trattative con partiti che non facevano parte del precedente esecutivo ma che si sono imposti alle elezioni, come il partito di centro Yesh Atid (“C’è un futuro”). Dopo l’elezione nel giugno 2014 del decimo presidente del Paese, R. Rivlin, appartenente al Likud, nel dicembre successivo accese divergenze interne su questioni centrali di politica economica e sull’approvazione di una legge, voluta da Netanyahu, che avrebbe definito Israele come «stato-nazione degli ebrei», hanno spinto il premier a sciogliere la coalizione e a indire elezioni anticipate per allargare la base dei consensi; le consultazioni, tenutesi nel marzo 2015, hanno registrato la netta affermazione del Likud, che ha ottenuto 30 dei 120 seggi della knesset, mentre la formazione dei Sionisti uniti, composta dai laburisti e dai centristi di Livni, ne ha guadagnati 24. Il partito del premier uscente ha riportato la vittoria anche alle elezioni per il rinnovo della Knesset svoltesi nell’aprile 2019, conquistando 35 seggi allo stesso modo della formazione politica Blu e Bianco dell’ex capo di Stato maggiore B. Gantz, mentre i laburisti hanno ottenuto solo 6 seggi, il risultato peggiore di sempre. Non essendo Netanyahu riuscito a raggiungere la maggioranza di 61 deputati per formare un nuovo governo entro i termini del mandato esplorativo, nel mese di maggio la Knesset ha votato il proprio autoscioglimento e la convocazione di nuove elezioni, fissate al settembre successivo. Sebbene alle consultazioni il Likud sia stato superato di un seggio (32 contro 33) dal partito Blu e Bianco, constatata l’impossibilità di formare un governo di unità nazionale il presidente Rivlin ha affidato al premier uscente, che può contare su una coalizione più ampia di quella di Gantz, l’incarico di guidare il nuovo esecutivo. Dopo un ulteriore, infruttuoso tentativo del premier uscente di formare il governo, nell’ottobre 2019 Rivlin ha affidato a Gantz l’incarico di trovare una maggioranza alla Knesset, ma il mese successivo, constatata l’impossibilità di raggiungere larghe intese, l’uomo politico ha rinunciato a formare una coalizione di governo e rimesso il mandato; le nuove consultazioni del marzo 2020 hanno visto il Likud tornare primo partito del Paese con 37 seggi, comunque non sufficienti a evitare coalizioni di governo, mentre i centristi del partito Blu e Bianco di Gantz hanno ottenuto 32 seggi. Nello stesso mese di marzo Rivlin ha affidato l’incarico di formare il governo a Gantz, il cui partito nelle consultazioni ha ricevuto l’endorsement di 61 deputati contro i 58 ottenuti da Netanyahu; fallito anche tale tentativo, ad aprile Netanyahu e Gantz si sono accordati per alternarsi alla guida del Paese, il primo rivestendo la carica di premier per i primi 18 mesi, il secondo subentrandogli per la seconda parte della legislatura, ma a dicembre l’ennesima crisi politica ha portato all’indizione di nuove consultazioni. Non avendo neanche le elezioni del marzo 2021 consentito di ottenere una maggioranza di governo, il mese successivo Rivlin ha affidato a Netanyahu l’incarico di formare un nuovo esecutivo, ma l’uomo politico ha rimesso il mandato inducendo il presidente del Paese ad affidarlo a Y. Lapid del partito Yesh Atid. La firma nel maggio 2021 di un accordo di coalizione tra Lapid, il leader della coalizione di destra Yamina N. Bennett e il capo della formazione islamica M. Abbas, ricevuto il voto di fiducia della Knesset, di fatto ha estromesso Netanyahu dalla scena politica; dal mese di giugno e per un biennio la carica di premier è ricoperta da Bennett, con un’alternanza di Lapid per il biennio successivo.

Lo stallo politico e il riaccendersi del conflitto israelo-palestinese

In una perdurante situazione di stallo politico, i violenti scontri scoppiati nel maggio 2021 a seguito dell’allontanamento di alcune famiglie palestinesi da un quartiere di Gerusalemme hanno provocato una recrudescenza del conflitto israelo-palestinese, nel corso della quale i reciproci scontri di artiglieria e i protratti attacchi aerei hanno provocato la morte di circa 200 individui. La tregua tra Hamas e Israele è stata raggiunta alla fine di maggio, quando è stato concordato tra le due parti il cessate il fuoco, reclamando entrambe la vittoria. Nello stesso mese la Knesset ha eletto presidente del Paese con 87 voti il laburista I. Herzog. Nel giugno 2022, in ragione del fallimento della coalizione di governo, il premier Bennett ha rassegnato le dimissioni; le nuove consultazioni tenutesi a novembre hanno registrato la vittoria del blocco di partiti guidato dal Likud di Netanyahu, che ha ottenuto una maggioranza di 65 seggi su 120, seguito dai centristi di Lapid (24 seggi) e dalla formazione Partito sionista religioso (14 seggi), terza forza politica del Paese. Nello stesso mese Netanyahu ha nuovamente assunto la carica di premier, ciò suscitando ampie proteste contro la riforma giudiziaria sostenuta dal nuovo esecutivo; nel luglio 2023 l’approvazione in Parlamento del primo provvedimento, che prevede misure per sottrarre alcuni poteri alla Corte Suprema e affidarli al governo, ha prodotto una ferma reazione dell’opposizione, suscitando violenti scontri di piazza e manifestazioni contro l’esecutivo.

Sul fronte delle relazioni esterne, nell’agosto 2020 è stata raggiunta una storica intesa con lo scopo di stabilire legami diplomatici formali tra gli Emirati Arabi Uniti e il Paese, che ha accettato di sospendere il processo di annessione di parte della Cisgiordania.

Il mese successivo Israele, Emirati Uniti e Bahrain hanno firmato alla Casa Bianca gli Accordi di Abramo per la normalizzazione delle relazioni diplomatiche e la cooperazione commerciale ed economica tra Israele e i due Paesi del Golfo; nella medesima prospettiva di distensione va letta la decisione dell’Arabia Saudita di consentire dal luglio 2022 i voli aerei da e per Israele, aprendo inoltre i suoi cieli a tutte le compagnie che soddisfino i requisiti stabiliti dall’Autorità. Nell’ottobre dello stesso anno il Paese ha raggiunto con la mediazione degli Stati Uniti un’intesa con il Libano per porre fine alla disputa sui confini territoriali nelle acque del Mediterraneo orientale e sulla gestione dei giacimenti di gas naturale di Karish e Qana.

Al tentativo di ostacolare il processo di normalizzazione delle relazioni con i Paesi arabi intrapreso nel 2020 con la firma degli accordi di Abramo va ascritta l’offensiva lanciata senza precedenti nella storia del conflitto nell’ottobre 2023 da Hamas contro diverse città israeliane attraverso incursioni via terra e raid aerei dei miliziani palestinesi dalla Striscia di Gaza – supportati dal Libano con reiterati lanci di razzi di Hezbollah –, cui Israele ha risposto con un assedio totale dell’area della Striscia; dopo la dichiarazione dello stato di guerra, i partiti della maggioranza di governo hanno dato mandato a Netanyahu di formare un governo di emergenza nazionale con esponenti dell’opposizione. La violentissima fase del conflitto apertasi il 27 ottobre con l’inizio della più volte annunciata offensiva di terra delle forze speciali israeliane, ha provocato nella Striscia di Gaza almeno 14.000 morti e una crisi umanitaria senza precedenti, mentre nel Paese i consensi accordati a Netanyahu sono stati parzialmente erosi da accuse quali quelle di aver sottostimato il rischio rappresentato da Hamas, e depotenziato forze armate e intelligence al fine di incrementare la propria leadership. Un decisivo ruolo di mediazione nei negoziati per porre fine al conflitto è stato svolto nel mese di novembre dal Qatar, affiancato dagli Stati Uniti e dall’Egitto, grazie al quale sono stati concordati giorni di tregua dei combattimenti e la liberazione di parte degli ostaggi israeliani in cambio di prigionieri palestinesi.


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