Il Primo Novecento: quadro storico e letterario

Il periodo compreso tra l’ultimo scorcio dell’Ottocento e il primo ventennio del Novecento vede lo scenario internazionale trasformarsi radical- mente in seguito allo sviluppo incontrollato del capitalismo. I profondi mutamenti nell’economia mondiale condizionano sia le politiche interne dei vari Stati sia i reciproci rapporti tra uno Stato e l’altro. Il coloniali- smo prima, l’imperialismo poi concorreranno in breve a scatenare il pri- mo conflitto di dimensioni mondiali della storia umana. L’Italia non ne resterà esclusa.

1882 L’Italia sottoscrive la Triplice Alleanza che la vede schierata al fianco del- l’Austria e della Germania.
1887 La Destra storica prende il potere con l’elezione al governo di Francesco Crispi.

1892 Viene fondato a Genova il PSI.
1896 Con la sconfitta di Adua fallisce l’impresa coloniale italiana in Africa. Cri- spi si dimette.
1898 Agitazioni popolari. A Milano il generale Bava Beccaris ordina di far fuoco sulla folla dei dimostranti.

1900 Re Umberto I viene assassinato a Monza dall’anarchico Gaetano Bresci.

1903 Giovanni Giolitti è nominato Primo Ministro.

1911-12 Impresa libica: l’Italia dichiara guerra alla Turchia per il possesso co- loniale della Libia. Il 18 ottobre 1912 la vittoria italiana è sancita dalla pace di Losanna.
1912 Il governo introduce il suffragio universale maschile.

1913 Giolitti stipula il patto Gentiloni attraverso il quale si guadagna alle elezioni il voto dei cattolici in cambio della promessa di non adottare provvedimenti anti- clericali (è l’inizio del «trasformismo» politico).
1914 Giolitti si dimette cedendo il passo al Ministero Salandra. Scoppia la pri- ma guerra mondiale, ma il nostro paese, mentre si infuoca la polemica tra neu- tralisti e interventisti, si dichiara neutrale.

1915 Con un clamoroso voltafaccia l’Italia firma il patto di Londra, e si impegna a combattere al fianco della Triplice Intesa (→ L’evento). Il 24 maggio dichiara guerra all’Austria.
1916 Mentre si svolgono le battaglie sull’Isonzo, l’Italia dichiara guerra anche alla Germania.

1917 Dopo la battaglia di Vittorio Veneto, l’Austria chiede l’armistizio.
1918 La prima guerra mondiale è finita: si apre la Conferenza di pace a Parigi. L’Italia ottiene i territori irredenti (Trentino e Friuli Venezia Giulia), eccezion fat- ta per Fiume, riscattata con la forza da Gabriele D’Annunzio al capo di pochi uomini (la città, annessa all’Italia nel 1924, verrà riunita al territorio della ex Jugoslavia nel 1947).

La società 

Mentre il secolo XIX si chiude all’insegna delle rivendicazioni sociali da parte delle masse proletarie contro i soprusi dei capitalisti, il primo decennio del XX secolo passa alla storia come la Belle époque: le significative trasformazioni in campo industriale e tecnologico consentono la nascita della cosiddetta «società di massa», caratterizzata da fenomeni come il considerevole aumento della produzione e dei consumi, la burocratizzazione degli organi statali, il progressivo diffondersi della scolarizzazione, l’allargamento della base elettorale. L’Italia, almeno in apparenza, gode di un periodo di benessere (sviluppo delle industrie elettriche, meccaniche e siderurgiche, invenzione del motore a scoppio, della radio, del cinemato- grafo), in realtà limitato alle sole classi agiate e minato dall’aggravarsi dei disagi e delle agitazioni popolari (scioperi, emigrazione, sottosviluppo del Mezzogiorno).

La prima guerra mondiale

Tra le cause remote dello scoppio della prima guerra mondiale vanno consi- derati i vari irredentismi (l’Italia, ad esempio, pretendeva la restituzione dal- l’Austria del Trentino e del Friuli), tra quelle più immediate, oltre all’assassinio dell’erede al trono austro-ungarico Francesco Ferdinando e di sua moglie Sofia da parte di un nazionalista bosniaco, le velleità imperialistiche degli Stati europei, generate dall’enorme sviluppo industriale e capitalistico verificatosi tra Ottocento e Novecento in concomitanza con la cosiddetta «seconda rivoluzione industriale». È l’età delle imprese coloniali: i paesi più avanzati si danno alla conquista di nuovi territori (Asia, Africa, America centrale) alla ricerca di risorse e materie prime. Il complesso sistema delle coalizioni (Triplice Alleanza: Italia, Germania, Austria; Triplice Intesa: Francia, Inghilterra, Russia) e la comparsa sulla scena mondiale di una super-potenza come l’America fanno il resto. Dalla guerra l’Impero austro-ungarico uscirà del tutto smembrato e la mappa dell’Europa sarà in gran parte ridisegnata. Ma i futuri equilibri inter- nazionali risulteranno condizionati anche dagli eventi verificatisi, nel frat- tempo, in Russia: la Rivoluzione d’ottobre (1917), infatti, pone fine al regime zarista, sancendo la nascita dell’URSS con a capo il bolscevico Nikolaj Lenin. È il primo Stato comunista.

Il contesto culturale

Durante l’ultimo Ottocento la cultura vive un momento di crisi e di profondo smarrimento in seguito allo sgretolarsi delle certezze alimentate dal Positivismo. Il movimento culturale e letterario che esprime il malessere esistenziale di quest’epoca, in cui a primeggiare sono gli elementi irrazionali e istintivi del pensiero, è il Decadentismo (sviluppatosi a partire dall’ultimo ventennio del XIX secolo prima in Francia e poi in tutta Europa). “Decadenti” o meglio “eredi” del Decadentismo possono ritenersi Gabriele D’Annunzio e Giovanni Pascoli. In più campi del sapere, intanto, a rappresentare l’unico punto di riferimento possibile è paradossalmente la relatività: così, ad esempio, nelle scienze naturali con la «teoria della relatività» dello scienziato tedesco Albert Einstein (1879-1955), o in quelle umane con la scoperta dell’«inconscio» da parte del medico viennese Sigmund Freud. E la relatività trionfa, in un certo senso, anche in ambito letterario con scrittori del calibro di Luigi Pirandello e Italo Svevo. A partire dal pri- mo decennio del XX secolo, inoltre, si diffondono in tutta Europa le avan- guardie storiche, correnti culturali che si propongono di rompere radical- mente con la tradizione, in virtù di uno sperimentalismo volto a cercare inedite forme di espressione artistica e letteraria. Avanguardie del primo Novecento sono il Surrealismo e il Dadaismo in Francia, l’Espressionismo in Germania, il Futurismo in Italia e in Russia.

La figura dell’intellettuale 

Nell’era della “società di massa” e della mercificazione della cultura l’intellettuale vive un momento di profondo sconcerto, rispondendo agli stimoli del nuovo sistema ora assecondandolo, nel rispetto delle leggi del mercato (è il caso, ad esempio, di scrittori come Emilio Salgari, autore di numerosissimi romanzi tagliati per un pubblico medio-basso desideroso solo di intrattenersi piacevolmente), ora rendendosi attivo strumento di propaganda politico- ideologica attraverso l’esperienza giornalistica o le iniziative editoriali (si pensi agli intellettuali nazionalisti e interventisti come D’Annunzio, Prezzolini, Papini, Corradini, o a quelli di sinistra come Gobetti e Gramsci, impegnati nella difesa dei diritti dei lavoratori).

Le correnti filosofiche 

La reazione al Positivismo si configura nella ripresa delle teorie di alcuni pensatori del tardo Ottocento, primo fra tutti Friedrich Nietzsche, la cui filosofia irrazionalista e negativa è volta a demolire tanto le idee fondate sul progresso della scienza e sull’etica borghese, quanto l’intero sistema di valori della tradizione europea e cristiana («Dio è morto» – afferma emblematicamente il filosofo tedesco nella Gaia Scienza). L’ideale di un «superuomo», che con la sua «volontà di potenza» possa fondare una nuova morale, influenza tanta parte della produzione letteraria europea (in Italia Gabriele D’Annunzio).

L’intuizionismo e la riflessione sul tempo sono invece i punti cardine della riflessione filosofica del francese Henri Bergson (1859-1941). L’intuizione, strumento conoscitivo estraneo alla ragione, viene considerata l’unica fonte attendibile della conoscenza (tale idea influenza i decadenti), mentre il tempo non è più inteso quale successione di istanti quantitativamente omogenei, ma in termini di «durata» qualitativa, diversa in ogni individuo. Bergson eser- cita grande fascino sugli scrittori contemporanei, primo fra tutti il francese Marcel Proust, autore di un’opera monumentale: Alla ricerca del tempo perduto, in cui è il tempo del- la coscienza a scandire la trama del romanzo.

Un cenno particolare merita infine la nascita della psicoanalisi, a opera di Sigmund Freud (1856-1939), sebbene le sue ricerche vadano ascritte al campo delle scienze umane, piuttosto che all’ambito filosofico. Freud sostiene l’esistenza, nella psiche di ogni uomo, di una particolare dimensione interiore detta «inconscio», la quale, sfug- gendo a ogni controllo, determinerebbe le azioni e i comportamenti dell’individuo. In sintesi, la vita cosciente (Io) non sarebbe altro che una “razionalizzazione”, in termini di adeguamento alla morale comune (Super-Io), di quella inconscia (Es).

Le correnti letterarie 

Nel corso degli anni Ottanta del secolo XIX un gruppo di intellettuali francesi, con a capo Paul Verlaine, ispirandosi alla poesia di Baudelaire, manifesta il proprio disagio esistenziale e i propri intenti provocatori verso la

mentalità e i valori della borghesia, tanto efficacemente interpretati dalla cultura positivista. La nascita del Decadentismo è sancita nel 1886 dalla fondazione della rivista «Le Décadent» a opera di Anatole Baju. Ma i decadenti, anziché sostanziare la propria visione antiborghese con un modello sociale alternativo, sembrano piuttosto com- piacersi in un inguaribile scontento, in un senso diffuso di abbandono e sfiducia.

L’unico loro obiettivo è salvare dalla distruzione generale quanto di bello, raffinato ed elegante sopravvive nella società. L’Estetismo si rivela così la nota dominante di questo nuovo movi- mento artistico e soprattutto letterario. Esteti sono, ad esempio, il francese Des Esseintes nel romanzo A ritroso (A rebours) di Joris- Karl Huysmans e l’inglese Dorian Gray nel libro Il ritratto di Dorian Gray (The picture of Dorian Gray) di Oscar Wilde o, in Italia, Andrea Sperelli nel Piacere di Gabriele D’Annunzio.

A ereditare il senso generale di frattura tra l’individuo e la società borghese espresso dai decadenti è, tra il primo e il secondo decennio del Novecento, il Futurismo, avanguardia storica italiana. Il Manifesto del Futurismo, pubblicato da Filippo Tommaso Ma- rinetti sul quotidiano parigino «Le Figaro» nel 1909, contiene il singolare programma ideologico del movimento: la critica alla tradizione e al passato in genere, la lode del progresso tecnologico e industriale, l’esigenza di rinnovare la società e l’arte, la folle esaltazione della guerra («sola igiene del mondo»). Il Futurismo crea e celebra il mito della “modernità”, di un mondo violentemente proiettato verso il futuro, e tanto nell’arte quanto nella letteratura cerca di promuovere innovazioni tematiche e stilistiche capaci di rendere tale aspirazione di fondo.

La lingua 

A partire dall’ultimo Ottocento si assiste a una graduale italianizzazione dei dialetti, fenomeno per cui le varie parlate della penisola accolgono forme, costrutti e lessico dell’italiano. Negli anni a cavallo tra i due secoli i dialetti sono a loro volta coinvolti da un processo di regionalizzazione, in seguito al quale in ogni singola regione si afferma il dialetto della città più importante. Nel frattempo nei centri urbani è sempre più frequente il ricorso alla lingua italiana; singolare prodotto delle interferenze tra italiano e dialetti è il co- siddetto «italiano popolare», che riceve una forte accelerazione du- rante la prima guerra mondiale, quando al fronte soldati provenienti dall’intera penisola, spesso scarsamente alfabetizzati, scrivono ai propri cari e, combattendo fianco a fianco, avvertono la necessità di comunicare attraverso una lingua “comune”.

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Luigi Pirandello

Vita e opere

Secondogenito di Stefano, commerciante di zolfo, e Caterina Ricci Gramitto, nacque a Girgenti (Agrigento dal 1927) il 28 giugno 1867, in una cascina detta ‘il Caos’ dal nome di un intricato bosco (u vuscu du Càvusu), per cui amò autodefinirsi «figlio del Caos». 

Il padre, palermitano e ultimo di una numerosissima famiglia di ascendenze liguri (di Prà), fu con Giuseppe Garibaldi insieme al fratello della futura sposa, Rocco Ricci Gramitto, il cui padre, Giovan Battista, avvocato e poeta, dopo la rivoluzione del ’48, per le sue posizioni antiborboniche e separatiste, era morto in esilio a Malta. 

Luigi trascorse l’infanzia a Girgenti, tra un padre sanguigno e autoritario, una madre affettuosa e una domestica (Maria Stella) aperta alla dimensione spiritica. Inizialmente molto religioso, si allontanò dalla Chiesa per un evento da lui traumaticamente vissuto come segno di ipocrisia e poi narrato in una novella del 1913, La Madonnina.

Dalla lettura delle tragedie di Silvio Pellico prese avvio la sua passione teatrale, con la stesura di una tragedia (perduta), Barbaro, e l’allestimento di un teatrino fra coetanei. Dopo l’istruzione elementare impartitagli privatamente, nel 1878 fu iscritto dal padre alla regia scuola tecnica di Girgenti, ma durante un’estate preparò, all’insaputa del padre, il passaggio agli studi classici. In seguito a un dissesto economico, la famiglia si trasferì a Palermo, dove il quattordicenne Luigi frequentò il regio ginnasio liceo Vittorio Emanuele II e dove rimase anche dopo il rientro dei suoi, nel 1885, a Porto Empedocle, iscrivendosi, nel 1886, contemporaneamente alle facoltà di lettere e di legge. A Palermo si innamorò di una cugina maggiore di lui, Lina Pirandello, per amore della quale tentò anche di lavorare un’estate con il padre nelle zolfare di Porto Empedocle. 

Il soggiorno a Palermo fino al 1887, con la sua vivace attività teatrale, fu importante nella formazione intellettuale del giovane per i maestri che frequentò e gli incontri che vi fece, come quelli con Girolamo Ragusa Moleti, tra l’altro studioso di tradizioni popolari, e con il letterato ed erudito Giuseppe Pipitone Federico. Oltre agli interessi drammaturgici, coltivò la vena lirica, all’inizio sulle orme di Carducci, Rapisardi e Stecchetti, ma gran parte degli scritti di allora o furono perduti o finirono bruciati in un rogo delle sue carte nel marzo 1887, compresa una commedia, Gli uccelli dell’alto, in cui gli spettatori erano coinvolti nella recita. 

Nel novembre 1887 passò alla facoltà di lettere della Sapienza di Roma, abitando nella zona del porto di Ripetta (scenario poi del Fu Mattia Pascal), inizialmente presso lo zio materno Rocco Ricci Gramitto, modello quindi per la delusa figura di patriota di Roberto Auriti ne I vecchi e i giovani. Falliti i tentativi di far rappresentare altri suoi lavori drammatici, licenziò la sua prima raccolta di versi ispirata, nell’antinomico titolo, alle Stanze del Poliziano: Mal giocondo (Palermo 1889), che, oltre a Giosue Carducci, Gabriele D’Annunzio e gli scapigliati, aveva fra i principali modelli Arturo Graf e Giacomo Leopardi, autore, quest’ultimo, destinato a lasciar traccia nel pensiero e nell’intera opera di Pirandello. 

Nel novembre 1889, dopo uno scontro con il professore di latino, Onorato Occioni, si trasferì all’Università di Bonn con una lettera di presentazione di Ernesto Monaci, docente di filologia romanza, per il professor Wendelin Förster. Un nuovo amore nacque con Jenny Schultz-Lander, figlia della sua padrona di casa, cui dedicò la sua seconda raccolta lirica, Pasqua di Gea (Milano 1891), ispirata alla rinascita primaverile ma non priva di accenti funebri. Da Bonn collaborò con il settimanale fiorentino Vita Nuova di Angiolo e Adolfo Orvieto, dove, tra l’altro, rifacendosi al Proemio di Graziadio Isaia Ascoli, polemizzò con il manzonista Pietro Mastri (anagramma di Pirro Masetti) sulla scelta del fiorentino quale lingua nazionale (Per la solita quistione della lingua, 9 novembre 1890).

Il 21 marzo 1891 si laureò con una tesi sul dialetto di Girgenti, Laute und Lautentwickelung der Mundart von Girgenti (Halle 1891). 

Abbandonata la prospettiva di una carriera accademica a Bonn, si stabilì a Roma, dove, nell’agosto 1891, decise di rompere definitivamente il fidanzamento con Lina. Entrato in contatto, tramite Ugo Fleres, con l’ambiente letterario romano, avviò una fervida attività creativa: in una lettera ai familiari del febbraio 1893 elencò addirittura ventuno lavori, pronti, in preparazione o in corso, tra romanzi, novelle, versi e lavori teatrali, non tutti identificabili in opere poi edite. 

Indirizzato da Luigi Capuana sulla via della prosa, scrisse, nell’estate 1893, il primo romanzo, Marta Ajala, storia di una donna siciliana cacciata di casa dal marito per un adulterio non commesso e riaccolta quando invece il ‘fatto’ è accaduto. Nato sotto il segno della novella Ribrezzo e del romanzo Giacinta di Capuana, il romanzo, con il titolo L’esclusa, fu pubblicato solo nel 1901 a puntate nella Tribuna e in volume da Treves (Milano 1908), con una lettera dedicatoria a Capuana che ne sottolineava l’originale carattere umoristico, sotteso alla rappresentazione oggettiva di casi e persone: lettera poi soppressa nella riveduta edizione Bemporad (Firenze 1927). 

Al 27 gennaio 1894 data il matrimonio a Girgenti, combinato dalle rispettive famiglie, con la figlia di un socio del padre, Calogero Portolano: Maria Antonietta (Nietta), nata nel 1872 e, morta la madre di parto, cresciuta sotto la gelosa sorveglianza di padre e fratelli. La coppia si stabilì a Roma; nel giugno 1895 nacque il primo figlio, Stefano, cui seguirono Rosalia (Lietta) nel giugno 1897 e nello stesso mese, due anni dopo, Fausto Calogero (detto, in famiglia, Lulù). 

Nel 1894 uscirono sia la prima raccolta di novelle, Amori senza amore (Roma), i cui tre testi furono esclusi dalle successive raccolte, sia il poemetto Pier Gudrò (Roma), di tematica risorgimentale, riveduto nelle successive edizioni del 1906 e del 1922. Nell’arco di una fitta e varia collaborazione a giornali e riviste, aveva pubblicato nel settembre 1893 su La Nazione letteraria di Firenze il saggio Arte e coscienza d’oggi, importante per la sua riflessione etica ed estetica, nel confronto con il suo tempo e con testi come Entartung (1892) di Max Nordau e Genio e follia (1864) di Cesare Lombroso.

Al 1895 risalgono la stesura del secondo romanzo, Il turno, centrato su uno dei grandi temi pirandelliani, il caso-caos, qui declinato nella più riduttiva ottica da vaudeville di imprevedibili avvicendamenti coniugali, segnati da colpi di scena, e la pubblicazione delle Elegie renane (Roma), composte negli anni di Bonn, su suggestione di Goethe, con il titolo Elegie boreali. Nel corso del 1896, anno in cui avviò anche la collaborazione al fiorentino Marzocco dei fratelli Orvieto, pubblicò la traduzione in distici delle Elegie romane di Goethe (Livorno), intrapresa sempre nel periodo tedesco, e, in rivista, una scelta di pagine tradotte dalle conversazioni di Eckermann con Goethe, precedute da un’introduzione intitolata Goethe ed Eckermann

Con un gruppo di amici, tra cui Fleres, Giuseppe Mantica, Italo Carlo Falbo, Italo Palmarini, Paolo Orano e altri, Pirandello collaborò alla nascita di una rivista settimanale di titolo shakespeariano, Ariel, il cui primo numero uscì il 18 dicembre 1897, ma che chiuse con il numero del 5 giugno 1898 e in cui, tra l’altro, pubblicò l’atto unico L’epilogo, di cui è stato ritrovato il manoscritto risalente al 1892. Nell’aprile 1898 divenne professore incaricato, come scrisse ai familiari, di estetica e stilistica all’istituto superiore femminile di magistero a Roma, allora diretto da Giuseppe Aurelio Costanzo: l’attività di insegnante, che mantenne fino al 1922, gli pesò tuttavia sempre, e ancor più con l’infittirsi degli impegni teatrali e il crescente successo. 

Nel 1901 apparve la raccolta di liriche Zampogna (Roma), di suggestione pascoliana, cui seguirono Il turno (Catania 1902) e due raccolte di novelle, Beffe della morte e della vita (Firenze 1902), con una seconda serie nel 1903, e Quand’ero matto… (Torino 1902). Nel gennaio 1902 avviò la collaborazione a Nuova Antologia con la lunga novella Lontano che, nella figura di un marinaio norvegese trapiantato in Sicilia, affronta una delle tematiche più care allo scrittore: quella dell’emarginazione sociale e di una sofferta diversità. 

Nel 1903 l’allagamento della miniera di zolfo di Aragona, in provincia di Agrigento, in cui Stefano Pirandello perse il patrimonio familiare, comportò una grave crisi economica e psicologica: Antonietta, la cui dote era stata lì investita, soffrì a lungo di una paresi alle gambe e cadde quindi sempre più preda di una insanabile forma di paranoia. Pirandello, pur fortemente depresso e con pensieri suicidi, intensificò la sua attività, sollecitando compensi per le sue, anche passate, collaborazioni: nel 1904, oltre alla raccolta di novelle Bianche e nere(Torino), uscì a puntate in Nuova Antologia, con l’anticipo di 1000 lire offerto dal suo redattore capo, Giovanni Cena, Il fu Mattia Pascal, edito poi in estratto. 

Romanzo centrato sul tema del doppio, e in gran parte debitore alla tradizione fantastica tedesca (Hoffmann, Chamisso e, in particolare, il Siebenkäs di Jean Paul), ma con richiami a novelle di Émile Zola (La mort d’Olivier Bécaille Jacques Damour) e al nostro Emilio De Marchi (Redivivo, 1895), fu la sua prima decisiva affermazione, rivelandone, di là dai modelli, piena originalità di voce. Subito tradotto in tedesco nel 1905, gli consentì l’ingresso nella casa editrice Treves che, l’anno dopo, gli pubblicò la nuova raccolta di novelle, Erma bifronte, e nel 1910 e nel 1918 due nuove edizioni del romanzo, poi ristampato nel 1921 presso Bemporad, con aggiunta un’Avvertenza sugli scrupoli della fantasia: atto di difesa contro le accuse di inverosimiglianza mossegli anche per i Sei personaggi in cerca d’autore. Sulla suggestione delle traduzioni di classici greci dell’amico Ettore Romagnoli, apparvero in rivista, nel corso del 1906, la prima e seconda parte del poemetto Laòmache (in versione integrale nel 1916 e poi nel 1928) e il poemetto dialogato Scamandro (in volume nel 1909). 

In vista del concorso a cattedra, Pirandello pubblicò due importanti volumi di saggi, Arte e scienza e L’umorismo (rispettivamente Roma e Lanciano 1908), suo fondamentale testo di poetica, dedicato «Alla buon’anima di Mattia Pascal bibliotecario» e destinato ad avviare una polemica con Benedetto Croce che lo stroncò su La Critica (20 maggio 1909), negando la possibilità di definizione filosofica dell’umorismo come genere. 

Fra gennaio e novembre 1909 apparve, nella Rassegna contemporanea, la prima parte del romanzo di impianto storico, ma di matrice esistenziale, I vecchi e i giovani, poi in volume da Treves (Milano 1913). Dedicato a un duplice fallimento generazionale e alla caduta degli ideali sia risorgimentali sia socialisti, sullo sfondo dei Fasci siciliani e dello scandalo della Banca romana, il romanzo è un vasto affresco corale, memore della novella Libertà di Verga e dei Viceré di De Roberto, e in linea con l’antiparlamentarismo diffuso nella narrativa postunitaria. 

Nell’ottobre 1909 iniziò, con la novella Mondo di carta, allusiva sin dal titolo al rischio di separatezza della letteratura dalla realtà, la collaborazione con il Corriere della sera, protratta, con intervalli, fino al 9 dicembre 1936. La morte del suocero nel maggio 1909 peggiorò la situazione emotiva di Antonietta con gravi ricadute in famiglia, in particolare su Lietta che nell’aprile 1916 giunse a un tentativo di suicidio. Si aprì intanto la via del teatro: grazie all’amico e commediografo catanese Nino Martoglio, fondatore del teatro Minimo, il 9 dicembre 1910 al Metastasio di Roma andarono in scena due atti unici pirandelliani: Lumie di Sicilia e La morsa, nuova titolazione de L’epilogo, centrato sul tragico esito di un adulterio. 

Treves pubblicò nel 1910 la raccolta di novelle La vita nuda, ma rifiutò il romanzo Suo marito, edito da Quattrini (Firenze 1911) che, nel 1914, fece uscire anche la raccolta di novelle Le due maschere (poi, col titolo Tu ridi, Milano 1920). La diffusione di Suo marito fu del resto limitata per non offendere Grazia Deledda riconosciutasi nella vicenda: la storia di una scrittrice, Silvia Roncella, in parte alter ego d’autore, il cui marito, Giustino Boggiòlo, ne diventa a tempo pieno l’infaticabile e da tutti irriso agente letterario, in una dicotomia dunque tra l’arte e la sua commercializzazione. Il romanzo fu ripubblicato postumo nel 1941 da Stefano Pirandello, nella parziale revisione operatane dal padre, con l’umoristico titolo Giustino Roncella nato Boggiòlo. Nel 1912 andò in scena l’atto unico Il dovere del medico e uscì da Treves la raccolta di novelle Terzetti, mentre a Genova da Formiggini apparve l’ultimo volume di versi, Fuori di chiave, di registro ironico e prosastico, con accostamenti lessicali quotidiani e letterari sul modello di Gozzano, e il cui titolo rinvia all’amara comicità, già esplicitata ne L’umorismo, di un uomo che si trova a essere a un tempo violino e contrabbasso. 

La sua prima commedia in tre atti, Se non così (divenuta, nel 1919, La ragione degli altri) andò in scena senza successo a Milano il 19 aprile 1915: nata da una novella del 1895, Il nido, era stata in origine titolata Il nibbio, metafora della sottrazione dal nido materno di una bambina, frutto di adulterio. Nel 1915, controcorrente rispetto all’apologia futuristica e dannunziana della tecnologia e della velocità, apparve a puntate nella Nuova Antologia il romanzo Si gira, denuncia della mercificazione insita nel nascente mondo del cinema e dell’alienazione indotta dalla macchina nella vita umana: in volume da Treves (Milano 1916), ebbe una nuova edizione da Bemporad (Firenze 1925) con il titolo, più rispondente alla sua struttura diaristica, Quaderni di Serafino Gubbio operatore. Contemporaneamente uscirono due altre raccolte di novelle, La trappola e Erba del nostro orto (entrambe Milano 1915), e, nel dicembre, andò in scena a Roma l’atto unico Cecè

Il figlio Stefano, il più vicino al padre per i suoi interessi letterari, si arruolò volontario nel 1915 e a novembre fu fatto prigioniero e internato dapprima a Mauthausen, poi a Plan, in Boemia, mantenendo tuttavia con il padre un intenso rapporto epistolare. Il 13 agosto 1915 a Girgenti era morta la madre Caterina, da Luigi molto amata: nacque così la struggente seconda parte della novella Colloquii coi personaggi a lei dedicata. Grazie a Nino Martoglio, cui aveva anche dato l’idea di una commedia di successo, L’aria del continente, Pirandello si persuase a collaborare con il famoso attore siciliano Angelo Musco, con il quale però i rapporti sarebbero stati burrascosi. Tra il 1915 e il 1916 Musco rappresentò in dialetto Lumie di SiciliaPensaci, Giacuminu! e Liolà, commedia campestre dall’autore molto amata per la sua solare vitalità e apprezzata da critici come Antonio Gramsci e Piero Gobetti, e, nel 1917, ’A birritta ccu ’i ciancianeddi, e l’atto unico ’A giarra

Ma il 1917 fu anche anno di svolta per il teatro pirandelliano, con le rappresentazioni in lingua di Così è (se vi pare), assurto, già nel titolo bipartito, a testo emblematico del relativismo pirandelliano, e de Il piacere dell’onestà, cui seguirono, nel 1918, La patenteMa non è una cosa seriaIl giuoco delle parti: testi ispirati tutti a precedenti novelle, secondo un procedimento che rimase peculiare del teatro pirandelliano. «All’amico Ruggero Ruggeri, maestro d’ogni composto ardire sulla scena», Pirandello dedicò il primo volume della prima raccolta in quattro volumi di Maschere nude, uscito da Treves. Su spinta di Pirandello, andò in scena nel 1918 la commedia Marionette, che passione!, del suo più giovane amico siciliano Pier Maria Rosso di San Secondo, con il cui teatro, e con quello del grottesco in genere, la drammaturgia pirandelliana si intersecò nella volontà di scardinare il dramma borghese. La vena narrativa rimase viva in quelle novelle che furono non solo la primaria fonte d’ispirazione del suo teatro, ma un genere in cui eccelse e che molto amò, tanto da tornare continuamente sopra quei testi con successive varianti: tra il 1917 e il 1918 uscirono presso Treves le nuove raccolte E domani, lunedì… e Un cavallo nella luna

Nel novembre 1918 fece ritorno dalla prigionia il figlio Stefano e nel gennaio 1919 si giunse all’internamento di Antonietta in una casa di cura sulla via Nomentana, Villa Giuseppina, dove la donna rimase fino alla morte, nel dicembre 1959. Lietta, rientrata in famiglia dopo esser stata ospite della zia Lina a Firenze, si sposò nel luglio 1921 con Manuel Aguirre, addetto militare dell’ambasciata del Cile, Paese per cui partì con il marito nel febbraio 1922. Nel marzo, Stefano sposò una musicista, Maria Olinda Labroca: la coppia andò dapprima ad abitare insieme al padre Luigi, in via Pietralata, dove si era trasferito dalla Sicilia anche il nonno Stefano che a Roma morì nel giugno 1924. 

Frattanto proseguirono le rappresentazioni teatrali: nel 1919 andarono in scena, oltre a una versione siciliana del Ciclope di Euripide, tratta dalla traduzione di Romagnoli (’U Ciclopu), L’innesto L’uomo, la bestia e la virtù,che andò incontro tuttavia a un clamoroso insuccesso. Apparvero, nel corso del 1919, altri due volumi di novelle: Berecche e la guerra (Milano), la cui lunga novella eponima esplicita tutte le perplessità pirandelliane sulla Grande Guerra, e Il carnevale dei morti (Firenze), il cui titolo ossimorico ribadisce un’originaria e fondamentale tematica della poetica pirandelliana, giocata sulla complementarietà degli opposti. Iniziarono anche le versioni cinematografiche delle sue opere, la prima delle quali, tratta dalla novella Il lume dell’altra casa, con la regia di Ugo Gracci, realizzata nel 1918, fu distribuita solo nel 1921 per problemi di censura. 

Un contratto decennale del 5 settembre 1919 con la casa editrice Bemporad avviò alla stampa sia una seconda raccolta delle opere teatrali (Maschere nude) sia i primi tredici volumi dell’intero corpus delle novelle, rielaborato sotto il titolo Novelle per un anno, nel progetto di dare alle sue novelle, da rivedere e ampliare, nelle intenzioni, fino al numero di trecentosessantacinque, un’organicità che le ponesse nel solco di opere come Le mille e una notte e il Decameron. Pur rinunciando a una cornice metanarrativa, Novelle per un anno si profila comunque opera unitaria, rielaborando con straordinaria inventiva alcuni polemici temi di fondo (tra cui, la condizione femminile), in un’impietosa radiografia della nostra società rurale e borghese tra fine e principio di secolo, ritratta negli emblematici poli di un’arcaica Sicilia e di una Roma antidannunziana. Nel 1920 si ebbe la prima di Tutto per bene, di cui Pirandello fece per Musco un adattamento siciliano, Ccu ’i nguanti gialli, suo ultimo testo dialettale, in scena a Palermo nel settembre 1921. Dopo il trionfo veneziano, nel marzo 1920, di Come prima, meglio di prima, nel novembre, a Roma, Emma Gramatica fu l’interprete de La signora Morli, una e due

Per gli ottant’anni di Giovanni Verga, il 2 settembre 1920 a Catania, Pirandello pronunciò un discorso in cui polemicamente distingueva tra «scrittori di cose», come Verga, e «scrittori di parole», come D’Annunzio: quel D’Annunzio, allora impegnato sul palcoscenico storico di Fiume, di cui qui si denunciava l’alto rischio dell’affascinante retorica. Omologo a questo fu, nel dicembre 1931, per il cinquantenario dei Malavoglia, un altro discorso verghiano pronunciato all’Accademia d’Italia, dove Pirandello era stato chiamato nel marzo 1929. 

Sei personaggi in cerca d’autore, caduti clamorosamente al teatro Valle di Roma il 9 maggio 1921, trionfarono il 27 settembre al teatro Manzoni di Milano e avviarono, con l’Enrico IV (1922), tragedia della follia e della fissazione dell’uomo in maschera, la fortuna pirandelliana all’estero: famosa la trovata registica parigina di George e Ludmilla Pitoëff, nell’aprile 1923, presente l’autore, in cui i sei personaggi furono calati dall’alto sulla scena con un montacarichi. Caddero così le pareti del «mondo di carta» dell’ex professore Pirandello: nel dicembre 1923 si imbarcò per gli 

Stati Uniti, invitato a New York dall’impresario Brock Pemberton che istituì una ‘Pirandello’s Season’. Oltre alle rappresentazioni nel 1922 del «mistero profano» All’uscita, leopardiano dialogo dei morti sulle soglie di un cimitero, dell’atto unico L’imbecille e di Vestire gli ignudi, altre prime italiane furono, nel 1923, due atti unici, L’uomo dal fiore in bocca e L’altro figlio, nonché la tragedia La vita che ti diedi. Nel maggio 1924, andò in scena a Milano la commedia, ispirata alla trama di Si gira…Ciascuno a suo modo: ulteriore tappa, dopo i Sei personaggi, di destrutturazione drammaturgica, sia nella multipla dislocazione scenica (lo spiazzo davanti al teatro, il palcoscenico, la platea, il ridotto teatrale), sia nella caotica interruzione della pièce alla fine del secondo atto. 

Il 19 settembre 1924 L’Impero pubblicò un telegramma di Pirandello a Mussolini con la richiesta di iscrizione al Partito nazionale fascista (PNF): un gesto spiegato dallo scrittore, in un’intervista a Telesio Interlandi nel medesimo giornale (23 settembre), con la parola «Matteotti», come reazione dunque alla speculazione politica nata su quell’assassinio. Ne seguì un’accesa polemica sulle colonne de Il Mondo, con accusatori di opportunismo (Giovanni Amendola) e difensori (Corrado Alvaro): Adriano Tilgher, critico teatrale de Il Mondo, intervenne dichiarando di scindere il drammaturgo dall’uomo politico, avviando così il progressivo divorzio dal ‘suo’ autore che, da parte sua, era ormai insofferente del binomio vita-forma in cui si sentiva ingabbiato dal critico che molto aveva contribuito all’interpretazione filosofica del suo teatro. 

Nel 1924 Pirandello assunse anche la direzione di quel Teatro d’Arte nato sotto l’iniziale spinta di Stefano Landi (pseudonimo del figlio Stefano) e di Orio Vergani, e che vide all’inizio dodici promotori. La stagione si inaugurò il 2 aprile 1925, nel piccolo teatro di palazzo Odescalchi, sapientemente ristrutturato dall’architetto futurista Virgilio Marchi, con, oltre a Gli dèi della montagna di Edward Dunsany, un atto unico dello stesso Pirandello, dall’eccezionale messinscena, affine al simultaneismo futurista e alle esperienze registiche espressioniste: Sagra del Signore della Nave, ispirata alla degenerazione del sacro (e dunque anche del teatro come rito) in profano e al leopardiano contrasto tra la cosiddetta civiltà umana e la serena rispondenza alla natura degli animali. Molto attento alla recitazione e all’immedesimazione dell’attore nel personaggio, su suggerimenti del Théâtre libre di André Antoine e della scuola di regia russa di Konstantin Sergeevič Stanislavskij, Pirandello regista scritturò come primo attore della compagnia Lamberto Picasso e come prima attrice la giovane Marta Abba, destinata a divenire l’ispiratrice del suo successivo teatro. Nel programma della compagnia fu compresa una nuova edizione dei Sei personaggi, con sostanziali modifiche strutturali inserite nella nuova edizione del testo pubblicata proprio nel 1925 con un’importante Prefazione di autoesegesi dell’autore. In giugno iniziarono le tournées all’estero: prima tappa Londra (dove Pirandello incontrò George Bernard Shaw, da lui molto ammirato), poi in luglio Parigi e, fra ottobre e novembre, varie città della Germania, a partire da Berlino. 

Di ritorno dalla Germania, i propositi di creare un teatro stabile di Stato furono ben presto frustrati da difficoltà economiche. Una lunga polemica con l’avvocato e impresario teatrale Paolo Giordani, accusato da Pirandello di monopolizzare i teatri italiani, ebbe anche un breve momento di riconciliazione che portò nel 1926 a un progetto comune presentato a Mussolini per la creazione di un teatro drammatico nazionale di Stato, tuttavia senza seguito. La compagnia pirandelliana, divenuta di giro, rimase in vita grazie anche agli esborsi personali del suo capocomico, fin quasi alla bancarotta. Seguirono dissidi familiari, tra le cui cause fu il villino romano di via Panvinio fatto costruire dal genero Manuel Aguirre, nominato da Pirandello suo segretario e procuratore, dopo il ritorno dal Cile con la famiglia nel gennaio 1925. I contrasti tra i figli portarono al ritorno in Cile nel 1927 di Lietta con il marito e le due figlie, Rosalia-Lietta e Maria Luisa. Accanto al padre riprese il suo ruolo Stefano; più defilato si pose Fausto che, immerso nella pittura, sposò una modella di un paesino laziale frequentato da artisti, Pompilia d’Aprile, da cui ebbe due figli, Pier Luigi (1928) e Antonio (1937). 

Tra il 1926 e il 1927 furono rappresentati i primi testi scritti appositamente per Marta Abba: la tragedia Diana e la Tuda (in prima mondiale, in tedesco, nel novembre 1926 a Zurigo) e L’amica delle mogli, tratta da una novella della giovanile raccolta Amori senza amore. In una lunga tournée, tra il giugno e il settembre 1927, in Argentina, Uruguay e Brasile, Pirandello, fatto segno di attacchi provocatori da parte della stampa antifascista argentina, volle sottolineare la sua apoliticità di artista. Dopo l’ultimo successo con la prima, nel marzo 1928, del «mito» di impronta sociale La nuova colonia, dove l’utopia di una società alternativa, democraticamente solidale, si risolve nel fallimento, con la salvezza della sola figura della donna-madre, la compagnia di Pirandello concluse la stagione nell’agosto al Politeama di Viareggio, con lo scioglimento del Teatro d’Arte. Nel frattempo altre compagnie avevano rappresentato, nel 1927, l’atto unico Bellavita e nel 1928 il vecchio poemetto drammatico Scamandro e la pantomima La salamandra, «sogno mimico» di Pirandello (probabilmente del 1924), con musica di Bontempelli. 

Nel 1926 uscì da Bemporad, dopo essere apparso a puntate tra il 1925 e il 1926 nella Fiera letteraria, un romanzo di quindicennale gestazione, Uno, nessuno e centomila, che chiuse, dopo Il fu Mattia Pascal e i Quaderni di Serafino Gubbio operatore, la trilogia dei romanzi in prima persona. Sul modello di struttura digressiva del Tristram Shandy di Sterne, testo di riferimento per l’umorismo pirandelliano, il romanzo esplicita e consacra la poetica di scomposizione del reale e di frammentazione della personalità fino all’evanescenza, nell’abdicazione a ogni maschera sociale e nella liberatoria immersione panica nella natura. 

Persuaso della necessità di lasciare l’Italia, Pirandello dall’ottobre 1928 si spostò a Berlino, con Marta Abba e sua sorella Cele, contando su possibili collaborazioni cinematografiche, per cui stese con lo sceneggiatore Adolf Lantz un adattamento dei Sei personaggi, primo dei falliti tentativi di trasposizione filmica del testo. La lontananza da Marta, rientrata in Italia, fu compensata da un fittissimo epistolario che ripercorre questi anni pirandelliani di volontario esilio. Seguì la drammaturgia tedesca, apprezzando Georg Kaiser e Ferdinand Bruckner, e frequentò cabaret e ritrovi intellettuali, intercalando il soggiorno berlinese con rientri in Italia e con altri viaggi, come, nell’aprile 1929, a Londra, dove espresse un giudizio negativo sui film parlati a favore di un connubio cinema-musica («cinemelografia»). Nell’ottobre fu finalmente venduto il villino di via Panvinio, sistemando così debiti e pendenze, e allo stesso anno data il passaggio al suo definitivo editore, Mondadori. 

Nel 1929 furono rappresentati O di uno o di nessuno e, senza successo, il secondo «mito», Lazzaro, centrato sulle diverse modalità di vivere la fede religiosa, in una scissione fra ottusa ortodossia e vitale sintonia con la natura, mentre nel febbraio 1930 trionfò con Marta Abba Come tu mi vuoi, da cui nel 1932 fu tratto As you desire me di George Fitzmaurice un film hollywoodiano con Greta Garbo ed Erich von Stroheim. 

Questa sera si recita a soggetto (1930), testo polemico contro gli eccessi registici, accolto sfavorevolmente a Berlino e riunito in volume nel 1933 con i Sei personaggi Ciascuno a suo modo, concluse la trilogia del «teatro nel teatro», focalizzata sull’interdipendenza palcoscenico-platea e sui rapporti autore-personaggi-attori, attori-personaggi-spettatori, autore-regista-attori. Lasciata Berlino, dopo un rientro in Italia e viaggi a Parigi e Londra, Pirandello si stabilì, nel dicembre 1930, a Parigi, dove nel giugno 1931 lo raggiunse Marta Abba, in vista anche di incontri londinesi di lavoro con Irving Thalberg e Lee Shubert finalizzati al lancio americano dell’attrice. Altre prime degli anni Trenta furono l’atto unico, tra il ‘grottesco’ e il surreale, Sogno (ma forse no), in prima portoghese a Lisbona nel settembre 1931, e due commedie ispirate da Marta Abba, Trovarsi (1932), centrata sulla totale identificazione di un’attrice con il proprio lavoro, e Quando si è qualcuno (1933), autobiografica proiezione del rinnovamento artistico di un anziano e innominato poeta (alias Domenico Gnoli) nell’incontro con una giovane donna. Nell’ottobre 1930, tratto dalla novella In silenzio (1905), uscì il primo film parlato del cinema italiano, La canzone dell’amore, con la regia di Gennaro Righelli, cui fu data, grazie al nome di Pirandello, la precedenza di distribuzione rispetto ad altri film sonori.

Nel 1931 si ebbe un ritorno alla novellistica, avviata, con Soffio, a una nuova, felicissima stagione nel segno del surreale; nel 1932 riprese la collaborazione al Corriere della sera, interrotta nel 1926. Il ritorno di interesse verso la narrativa si estese a progetti romanzeschi più volte annunciati ma restati inevasi, come il romanzo Adamo ed Eva, parabola di una sparizione e rifondazione del genere umano, ideata già da molti anni, ma infine riassorbita da un ulteriore e mai scritto romanzo testamentario: Informazioni sul mio involontario soggiorno sulla Terra. Nel febbraio 1932, restato solo a Parigi dopo il rientro in Italia di Marta Abba, Pirandello ebbe un secondo attacco cardiaco, dopo il primo avuto nel 1927; sollecitato da Stefano, il definitivo ritorno a Roma si ebbe, sul finire del 1933, nel villino di via Bosio. Dietro richiesta di Mussolini, nel giugno 1932 lo scrittore firmò un contratto per un film sulle acciaierie di Terni, girato da Walter Ruttmann con il titolo Acciaio, il cui soggetto, dal titolo Gioca, Pietro!, fu tuttavia steso dal figlio Stefano. Nell’agosto del 1933, in compagnia di Bontempelli, si imbarcò per la seconda volta per il Sudamerica: a Buenos Aires, dove lo raggiunse la figlia Lietta, diresse le prove di Quando si è qualcuno, rivoluzionando la distribuzione dei ruoli e portandolo al successo. Nel gennaio 1934, anno in cui venne insignito del premio Nobel, otto anni prima ottenuto da Grazia Deledda, la prima, in tedesco, di La favola del figlio cambiato, musicata da Gian Francesco Malipiero e demistificatrice del mito del potere, ebbe grande successo di critica e pubblico, ma successive rappresentazioni in Germania furono sospese d’autorità; a Roma, nel marzo, ci furono scontri in sala alla presenza di Mussolini che ne vietò le repliche. 

In occasione del IV Convegno della Fondazione Volta sul teatro drammatico, da lui presieduto nell’ottobre 1934, curò la regia della dannunziana Figlia di Iorio all’Argentina di Roma, con scene di Giorgio De Chirico. Per il suo ultimo lavoro teatrale, Non si sa come(1934), si parlò di influenze freudiane, negate da un autore che si era del resto ispirato a novelle di diversa datazione (Cinci del 1932, ma anche Nel gorgo del 1913 e La realtà del sogno del 1914), ma tutte, comunque, attente alla dimensione dell’inconscio. Tra il luglio e l’ottobre 1935 fu nuovamente negli Stati Uniti, dove si espresse a favore della politica coloniale italiana ed ebbe una fitta rete di incontri (tra cui quello con Albert Einstein, già conosciuto in Germania), tentando varie trattative cinematografiche, con un senso tuttavia di disgusto per quella imperante società dello spettacolo e per la stessa New York, che gli apparve gigantesca città di cartone. Al ritorno, sbarcando a Napoli, ebbe un ulteriore attacco cardiaco. 

Gli anni Trenta, con il ritorno in Italia, segnarono anche la ripresa delle villeggiature estive, antica consuetudine della famiglia Pirandello: villeggiature, come quelle a Coazze, a Chianciano, a Soriano nel Cimino, a San Marcello Pistoiese, in cui Pirandello scriveva e dipingeva, gareggiando anche con l’amata sorella maggiore, Lina, nel ritrarre gli stessi soggetti. Ora si divise tra la Versilia (tra il villino della sorella Lina a Viareggio e quello di Marta Abba al Lido di Camaiore) e Castiglioncello, con la presenza di figli, nipoti e amici. 

Nell’estate 1936, visitando ad Anticoli la famiglia di Fausto, dipinse i suoi ultimi quadri; nel ferragosto presiedette il premio letterario Viareggio, battendosi per l’assegnazione a Il rabdomante di Riccardo Bacchelli che non era iscritto al PNF. Il 1936 segnò il definitivo accantonamento del sogno di un teatro di Stato e la partenza in settembre di Marta Abba per gli Stati Uniti: nel mese di ottobre si ebbe il suo trionfale debutto a Broadway, mentre in Italia Pirandello accolse la figlia Lietta rientrata dal Cile. Negli stabilimenti romani della Caesar, dove seguiva un nuovo adattamento cinematografico de Il fu Mattia Pascal, per la regia di Pierre Chenal (dopo quello del 1925 di Marcel L’Herbier con Ivan Mosjoukine protagonista), venne acceso alle spalle di Pirandello, per riscaldarlo, un padellone da 5000 Watt che compromise in maniera definitiva la sua già precaria salute. 

Morì di broncopolmonite la mattina del 10 dicembre 1936 nella sua casa di via Antonio Bosio 15, ora sede dell’Istituto di studi pirandelliani. 

Secondo le sue ultime volontà, fu cremato e il funerale si svolse in totale povertà, su un carro d’infima classe, senza accompagnamento alcuno. Le sue ceneri, dopo più spostamenti, sono ora tumulate ad Agrigento, sotto il pino della Villa del Caos. 

Lasciò incompiuto l’ultimo dei tre «miti» teatrali, I giganti della montagna, centrato sull’emarginata e rischiosa sopravvivenza dell’arte nell’epoca della trionfante tecnologia, e messo in scena da Renato Simoni nel 1937 a Firenze, al giardino di Boboli. I giganti, allarmato e potente atto d’accusa verso una cultura che ha smarrito il fondante valore sociale dell’arte, divenne a più riprese banco di prova per il regista Giorgio Strehler, con diverse messe in scena dislocate nel tempo, dall’immediato dopoguerra agli anni Sessanta della contestazione giovanile, fino alla sua penultima stagione teatrale degli anni Novanta. 

Opere. Nata sull’esigenza di una revisione filologica è, nella collana «i Meridiani» di Mondadori, l’edizione delle Opere di L. P., diretta da G. Macchia, comprensiva di Tutti i romanzi (I-II, Milano 1973), Novelle per un anno (I-III, 6 tomi, Milano 1985-90), Maschere nude (I-IV, Milano 1986-2007), Saggi e interventi (Milano 2006). Nella stessa collana sono: Album Pirandello (Milano 1992), curato da M.L. Aguirre d’Amico, e Lettere a Marta Abba, a cura di B. Ortolani (Milano 1995). La produzione lirica è compresa in Saggi, poesie, scritti varii, a cura di M. Lo Vecchio-Musti, Milano, 1960. 

Dell’epistolario si segnalano i principali volumi, tra i quali, a cura di E. Providenti: Lettere da Bonn (1889-1891), Roma 1984; Epistolario familiare giovanile (1886-1898), Firenze 1986; Lettere giovanili da Palermo e da Roma (1886-1889), Roma 1993; Lettere della formazione, 1891-1898 con appendice di lettere sparse 1899-1919, Roma, 1996. Per cura di S. Zappulla Muscarà sono: Pirandello-Martoglio: carteggio inedito, Catania 1979; L. Pirandello, Carteggi inediti con Ojetti-Albertini-Orvieto-Novaro-De Gubernatis-De Filippo, Roma 1980; L. Pirandello – S. Pirandello, Nel tempo della lontananza (1919-1936), Caltanissetta-Roma 2005. Fra gli ulteriori carteggi: L. P. intimo. Lettere e documenti inediti, a cura di R. Marsili Antonetti, Roma 1998; L. Pirandello, Lettere a Lietta, trascritte da M.L. Aguirre d’Amico, Milano 1999; Il figlio prigioniero. Carteggio tra Luigi e il figlio Stefano durante la guerra 1915-1918, a cura di A. Pirandello, Milano 2005. Tra gli scritti sparsi: Taccuino segreto, a cura di A. Andreoli, Milano 1997, e Taccuino di Harvard, a cura di O. Frau – C. Gragnani, Milano 2002, cui si aggiungono Provenzale: Bonn a/Rh. 1889-90: manoscritto, Palermo 1998; Taccuino di Coazze: manoscritto, Palermo 1998. Per la tesi di laurea in traduzione italiana: Fonetica e sviluppo fonico del dialetto di Girgenti, con introd. di G. Nencioni e trad. di E. Cetrangolo, Roma 1984. Per le traduzioni delle conversazioni con Goethe di Eckermann: G. Corsinovi, La persistenza e la metamorfosi, Pirandello e Goethe, Caltanissetta-Roma 1997, e A. Barbina, L’ombra e lo specchio. Pirandello e l’arte del tradurre, Roma 1998. Una selezione delle interviste è in Interviste a Pirandello «Parole da dire, uomo, agli altri uomini», a cura di I. Pupo, Soveria Mannelli 2002. Per gli inediti presenti nel friulano Fondo Torre Gherson: G. Paron – G.S. Pedersoli, Un amico di Pirandello: il periodo parigino del premio Nobel, Latisana 2008. 

Fonti e Bibl.: Tra le biografie e gli album iconografici si vedano: F.V. Nardelli, L’uomo segretoVita e croci di L. P., Milano 1932 (infine, con il titolo Pirandello. L’uomo segreto, a cura di M. Abba, Milano 1986); G. Giudice, L. P., Torino 1963; E. Lauretta, L. P.: storia di un personaggio «fuori di chiave», Milano 1980; M.L. Aguirre d’Amico, Vivere con Pirandello, Milano 1989; L. P. Biografia per immagini, a cura di R. Marsili Antonetti – F. Pierangeli – S.N. Tesè, Cavallermaggiore 2001; M. Collura, Il gioco delle parti. Vita straordinaria di L. P., Milano 2010; S. Zappulla Muscarà – E. Zappulla, I Pirandello. La famiglia e l’epoca per immagini, Catania 2013. 

Nella vastissima bibliografia critica pirandelliana, si segnalano alcuni riferimenti di base: A. Tilgher, Studi sul teatro contemporaneo, Roma 1923 [ma 1922]; F. Fergusson, The Idea of a Theatre, Princeton, NJ, 1949 (trad. it., Idea di un teatro, a cura di R. Soderini, Parma 1957); C. Salinari, Miti e coscienza del decadentismo italiano, Milano 1960; A. Leone de Castris, Storia di Pirandello, Bari 1962; F. Rauhut, Der junge Pirandello oder das Werden eines existentiellen Geistes, München 1964; G. Andersson, Arte e teoria. Studi sulla poetica del giovane L. P., Stockholm 1966; B. Terracini, Analisi stilistica. Teoria, storia, problemi, Milano 1966; L. Lugnani, Pirandello. Letteratura e teatro, Firenze 1970; L. Sciascia, La corda pazza, Torino 1970; C. Vicentini, L’estetica di Pirandello, Milano 1970; G. Debenedetti, Il romanzo del Novecento, Milano 1971; J.M. Gardair, Pirandello, fantasmes et logique du double, Paris 1972 (trad. it., Pirandello e il suo doppio, a cura di G. Ferroni, Roma 1977); A. Pagliaro, Forma e tradizione, Palermo 1972; G. Guglielmi, Ironia e negazione, Torino 1974; P. Mazzamuto, L’arrovello dell’arcolaio. Studi su Pirandello agrigentino e dialettale, Palermo 1974; G.P. Biasin, Malattie letterarie, Milano 1976; E. Ferrario, L’occhio di Mattia Pascal. Poetica e estetica in Pirandello, Roma 1978; P. Puppa, Fantasmi contro giganti. Scena e immaginario in Pirandello, Bologna 1978; M.L. Altieri Biagi, La lingua in scena, Bologna 1980; A. Barbina, La biblioteca di L. P., Roma 1980; G. Macchia, Pirandello o la stanza della tortura, Milano 1981; G. Nencioni, Di scritto e di parlato. Discorsi linguistici, Bologna 1983; Id., Tra grammatica e retorica. Da Dante a Pirandello, Torino 1983; B. Alfonzetti, Il trionfo dello specchio: le poetiche teatrali di Pirandello, Catania 1984; R. Barilli, Pirandello. Una rivoluzione culturale [1986], Milano 2005; G. Cappello, Quando Pirandello cambia titolo: occasionalità o strategia?, Milano 1986; M. 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Providenti, Archeologie pirandelliane, Catania 1990; V. Spinazzola, Il romanzo antistorico, Roma 1990; N. Borsellino, Ritratto e immagini di Pirandello, Roma-Bari 1991; F. Càllari, Pirandello e il cinema. Con una raccolta completa degli scritti teorici e creativi, Venezia 1991; R. Luperini, Pirandello, Roma-Bari 1992; M.A. Grignani, Retoriche pirandelliane, Napoli 1993; P. Puppa, La parola altaSul teatro di Pirandello e D’Annunzio, Roma-Bari 1993; C. Vicentini, Pirandello. Il disagio del teatro, Venezia 1993; R. Alonge, L. P., Roma-Bari 1997; Id., Madri, baldracche, amanti. La figura femminile nel teatro di Pirandello, Genova 1997; P. Casella, Strumenti di filologia pirandelliana. Complemento all’edizione critica delle «Novelle per un anno», Ravenna 1997; E. Gioanola, Pirandello, la follia, Milano 1997; G. Mazzacurati, Stagioni dell’apocalisse. Verga, Pirandello e Svevo, Torino 1998; E. Providenti, Pirandello impolitico (dal radicalismo al fascismo), Roma 2000; U. Artioli, Pirandello allegorico. I fantasmi dell’immaginario cristiano, Roma-Bari 2001; P. Casella, L’Umorismo di Pirandello, ragioni intra- e intertestuali, Fiesole 2002; R. Alonge, Donne terrifiche e fragili maschi. La linea teatrale D’Annunzio – Pirandello, Roma-Bari 2004; N. Borsellino, Il dio di Pirandello. Creazione e sperimentazione, Palermo 2004; D. Budor, Mattia Pascal, tra parola e immagine. Dal romanzo di Pirandello a Dylan Dog, Roma 2004; P. Guaragnella, Il pensatore e l’artista. Prosa del moderno in Antonio Labriola e L. P., Roma 2005; B. Porcelli, In principio o in fine il nome. Studi onomastici su Verga, Pirandello e altro Novecento, Pisa 2005; A. Sichera, Ecce Homo! Nomi, cifre e figure di Pirandello, Firenze 2005; M. Guglielminetti, Pirandello, Roma 2006; V. Masiello, Icone della modernità inquieta. Storie di vinti e di vite mancate. Riletture e restauri di Verga e Pirandello, Bari 2006; N. Merola, La linea siciliana nella narrativa moderna. Verga, Pirandello & C., Soveria Mannelli 2006; E. Ghidetti, Malattia, coscienza e destino. Per una mitografia del decadentismo, Roma 2007; P. Marzano, Quando il nome è «cosa seria». L’onomastica nelle novelle di L. P. Con un regesto di nomi e personaggi, Pisa 2008; A.R. Pupino, Pirandello o l’arte della dissonanza. Saggio sui romanzi, Roma 2008; E. Providenti, Nuove archeologie. Pirandello e altri scritti, Firenze 2009; P. Gibellini, Verga, Pirandello e altri siciliani, Lecce 2011; A.R. Pupino, Pirandello: poetiche e pratiche di umorismo, Roma 2013; A. Sorrentino, L. P. e l’«altro». Una lettura critica postcoloniale, prefazione di D. Budor, Roma 2013; R. Castellana, Storie di figli cambiati. Fate, demoni e sostituzioni magiche tra folklore e letteratura, Pisa 2014. 

Oltre ai molti cataloghi, sono inoltre numerosissimi gli Atti di Convegni, fra i quali si segnalano almeno le pubblicazioni del Centro nazionale di studi pirandelliani di Agrigento, legate a una fitta attività congressuale avviata nel 1974.

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Italo Svevo-La Coscienza di Zeno

Trama

La coscienza di Zeno è il terzo romanzo di Italo Svevo, scritto dal 1919 al 1922 e pubblicato nel 1923, dopo il lungo silenzio letterario dell’autore. Raggiunge il successo nazionale e internazionale grazie a Eugenio Montale, che in un articolo del 1925 tesse le lodi del romanzo, e a James Joyce, amico di Svevo, che fa conoscere il romanzo in Francia.

Innovativa è la struttura del romanzo, costruito ad episodi e non secondo una successione cronologica precisa e lineare.

Il narratore è il protagonista, Zeno Cosini, che ripercorre sei momenti della sua vita all’interno di una terapia di psicoanalisi. La Coscienza si apre con la Prefazione del dottore psicoanalista (identifica dall’ironicamente beffarda etichetta di “dottor S.”, con un sotterraneo richiamo al cognome dell’autore reale) che ha avuto in cura Zeno e che l’ha indotto a scrivere la sua autobiografia. Il protagonista si è sottratto alla psicoanalisi e il medico per vendetta decide di pubblicare la sue memorie. I sei episodi della vita di Zeno Cosini sono:Il fumoLa morte di mio padreLa storia del mio matrimonio, La moglie e l’amanteStoria di un’associazione commerciale e Psico-analisi

Ogni episodio è narrato dal punto di vista del protagonista, e il suo resoconto degli eventi risulta spesso inattendibile; egli presenta la sua versione dei fatti, modificata e resa come innocua in un atto inconscio di autodifesa, per apparire migliore agli occhi del dottor S. (una sorta di secondo padre, sotto i cui occhi recitare la parte del “figlio buono”), dei lettori e forse anche ai propri).

Dopo una Prefazione e un Preambolo sulla propria infanzia, nel terzo capitolo Zeno scrive del suo vizio del fumo (Il fumo): fin da ragazzino il protagonista è dedito a questo vizio, da cui cerca inutilmente di liberarsi con diversi tentativi infruttuosi, testimoniati dalle pagine di diari e dai libri (noché dai muri…) su cui vengono scritte la data e la sigla u.s. (ultima sigaretta). Infine per liberarsi dal fumo il protagonista si fa ricoverare in una clinica, da cui fugge, corrompendo con una bottiglia di cognac l’infermiera che lo sorveglia. L’episodio del fumo permette a Zeno di riflettere sulla propria mancanza di forza di volontà e sull’incapacità di perseguire un fine con forza e decisione. Tale debolezza è attribuibile al senso di vuoto che egli sente nella sua vita, e all’assenza nella sua infanzia di una figura paterna che fornisca regole e norme comportamentali.

Il secondo episodio (La morte di mio padre) è appunto incentrato sulla figura del padre di Zeno. Il protagonista-narratore analizza il difficile rapporto con il genitore, che non riesce a identificare come figura di riferimento e guida. Zeno infatti non ha mai tentato di stabilire un rapporto affettivo e di reciproca intesa con il padre. Quando quest’ultimo è colto da paralisi, il figlio, in cerca di approvazione e giustificazione, prova ad accudirlo prima che sia troppo tardi. Ma durante la notte, il padre viene colpito da un edema cerebrale. Ormai incapace di intendere e volere l’uomo è destinato a morte certa, e Zeno spera, per evitare ulteriori sofferenze al padre e soprattutto fatiche per se stesso, in una fine rapida e indolore. Nell’estremo momento della morte in un gesto incontrollato il padre schiaffeggia il figlio, per poi spegnersi; gesto che segnerà irremediabilmente il protagonista e ne orienterà tutti i malcelati tentativi di spiegare quel gesto, o di giustificare il proprio atteggiamento.

Terzo evento del romanzo (La storia del mio matrimonio) è la storia del matrimonio di Zeno. Il protagonista, dopo aver conosciuto Giovanni Malfenti, uomo d’affari triestino, inizia a frequentare la sua casa e la sua famiglia. Zeno si innamora di una delle quattro figlie di Malfenti, Ada, la più bella, che però è innamorata di un altro, Guido Speier. Il protagonista si dichiara ad Ada, da cui viene rifiutato. Si rivolge allora anche alle tre sorelle con la stessa proposta di matrimonio, ma tale proposta viene accolta solo dalla meno affascinante, Augusta, che tuttavia sa garantire all’uomo un matrimonio borghese ed apparentemente felice, dato che entrambi i coniugi vedono realizzati i loro desideri inconsci (e cioè, trovare una seconda “madre” per il protagonista, o trovare un marito per Augusta). In questo capitolo il personaggio appare come l’inetto dei due romanzi precedenti (Una vita e Senilità): immerso nelle sue fantasie, viene trascinato dagli eventi senza essere in grado di scegliere.

Il quarto episodio della vita di Zeno è la storia dell’amante (La moglie e l’amante): in un desiderio di conformarsi a un costume sociale il protagonista trova una giovane amante, Carla. La relazione con la donna si rivela ambigua per Zeno, che da una parte non vuole far soffrire la moglie, mentre dall’altra è attratto dall’esperienza trasgressiva del tradimento coniugale. La storia con Carla (nei confronti della quale Zeno prova sia desiderio che senso di colpa) si conclude, tuttavia quado la ragazza, stanca delle contraddizioni del protagonista, sposa il suo insegnante di canto, mentre Zeno ritorna dalla moglie incinta. In Storia di un’associazione commerciale si assiste invece al fallimento dell’azienda messa in piedi da Zeno e Guido, marito di Ada, a causa dello sperpero del patrimonio da parte di quest’ultimo. Guido, dopo due tentativi di suicidio simulati per avere ulteriore denaro dalla moglie e salvare così l’impresa, riesce erroneamente a uccidersi. Zeno, dopo aver sbagliato corteo funebre, riscuote successo negli affari, ma ciò non serve a conquistargli le simpatie di Ada, che ormai lo disprezza e parte per il Sudamerica.

Infine nell’ultimo episodio, intitolato Psico-analisi, Zeno riprende, dopo sei mesi di interruzione, a scrivere le sue memorie, per ribellarsi al medico, esprimendo il suo disprezzo e il suo rifiuto per la psicoanalisi. Ma in questo ultimo atto si rende conto che la malattia interiore di cui si sentiva vittima e da cui riesce a curarsi è una condizione comune a tutta l’umanità e che coincide con il progresso del mondo intero. Il romanzo si conclude con una drammatica profezia di un’esplosione che causerà la scomparsa dell’uomo dalla faccia della Terra.

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Italo Svevo

SCHMITZ, Aron Hector (Italo Svevo)

Vita e opere

Nacque a Trieste, in via dell’Acquedotto (ora viale XX Settembre 16), il 19 dicembre 1861 da un’agiata famiglia ebraica, quinto degli otto figli, sopravvissuti su sedici, di Francesco, commerciante di vetrami che si era costruito da solo la sua fortuna, e di Allegra Moravia, figlia di Abramo, macellaio di origine friulana. 

Con il fratello Adolfo (1860-1918), e poi anche con Elio (1863-1886), Ettore frequentò la scuola elementare israelitica tenuta dal rabbino maggiore di Trieste, poi la scuola privata commerciale di Emanuele Edeles, e infine nel 1874, il padre-patriarca – perché si perfezionassero nel commercio e nel tedesco – inviò lui e Adolfo, raggiunti nel 1876 da Elio, in un collegio presso Würzburg, il Brüssel’sche Institut di Segnitz am Main, diretto da Samuel Spier, con un passato impegno politico socialdemocratico. Ispirato a questo evento è l’incompiuto e anepigrafo racconto L’avvenire dei ricordi del 1925, dove due fratelli, condotti in collegio dai genitori, soffrono il trauma della separazione. 

Come si legge nel Diario di Elio, per questi anni importante fonte di notizie biografiche, Ettore, cresciuto sui romanzi francesi, una volta partito per la Baviera, lasciando gli amati Trois mousquetaires tra le mani di Elio, si appassionò alla lettura di Goethe e Schiller, per lui «il più gran genio del mondo», ai quali aggiunse l’acquisto di Wilhelm Hauff, Karl Theodor Körner, Heinrich Heine e altri. Poi, in una lotteria fra compagni di scuola, Goethe fu sostituito da un’edizione tedesca di Shakespeare: e l’Amleto, letto nell’ottica goethiana di un personaggio oppresso da un peso per lui insostenibile (Ghidetti, 1980, p. 53), turbò tanto Ettore da indurre il direttore del collegio a sequestrargli il libro. Nel Profilo autobiografico, edito postumo nel 1929 e redatto dall’amico Giulio Cesari su notizie d’autore, probabile collaboratore alla stesura, affiorano inoltre il nome di Jean Paul e gli autori russi, in particolare Ivan Turgenev

Dalla distruzione della biblioteca di Svevo, nel bombardamento alleato su Trieste del febbraio 1945, si è salvata un’edizione inglese di Shakespeare con la dedica e gli auguri della nipote di Samuel Spier, Anna Herz, che gli donava il poeta da lui prediletto. Ai 39 volumi della biblioteca sveviana messi in salvo dalla moglie e dalla figlia rifugiatesi nel 1943 ad Arcade, presso Treviso, si è aggiunto il ritrovamento di altri 71 volumi presenti nella biblioteca del genero, Antonio Fonda Savio, ma con firma di possesso Ettore o Ettore Schmitz (Volpato-Cepach, 2013). 

Di ritorno a Trieste nel 1878, Ettore, desideroso, dato l’uso familiare del dialetto triestino, di perfezionare l’italiano a Firenze, fu invece a contraggenio iscritto dal padre all’istituto superiore commerciale Pasquale Revoltella che frequentò per due anni e in cui dal 1893 insegnò fino all’avvio del nuovo secolo. I suoi primi tentativi artistici, specie drammaturgici, furono seguiti, nelle pagine di quel Diario religiosamente conservato da Ettore ed edito nel 1973 a cura di Bruno Maier, dall’amato Elio, che con lui condivise la vivace vita teatrale triestina e che morì nel settembre del 1886 di nefrite. Oltre al susseguirsi di poesie, prose, farse, commedie, tutte destinate al fuoco, Elio qui annotò il passaggio del fratello al verismo, sotto l’influenza dello Zola di Le naturalisme au théâtre(1881), nonché il frammento di un’incompiuta commedia in incerti versi martelliani sull’Ariosto governatore, ricordata, insieme ad altre due (Stuonature d’un cuore e La rigenerazione), dallo stesso Ettore in un’autocritica Storia dei miei lavori inserita tra le righe di questo Diario. Gli interessi drammaturgici, testimoniati nel tempo anche dall’assidua frequentazione dei teatri di prosa non solo triestini, ma poi anche europei (e in una lettera alla moglie del 22 maggio 1898 definì August Strindberg «mio amico»: EpistolarioOpera omnia, I, a cura di B. Maier, 1966, p. 27), proseguirono, negli anni Ottanta-Novanta, con due Scherzi drammaticiUna commedia inedita, in un atto, dove una donna, attratta da un giovane drammaturgo verista, ne legge una commedia respingendola sdegnata, e Le teorie del conte Alberto, in due atti, discussione, tra Charles Darwin ed Émile Zola, sulla teoria dell’ereditarietà; Il ladro in casa, in quattro atti, sul potere del denaro all’interno di una famiglia borghese al pari di Le ire di Giuliano, in un atto. Allegato all’irredentista quotidiano triestino L’Indipendente, uscì nel 1891, sulla strenna annuale La Befana, un monologo teatrale, Prima del ballo, firmato E. Samigli.

Sotto lo pseudonimo di Ettore Samigli, Ettore firmò infatti non solo questi primi testi teatrali, ma tutte le sue collaborazioni giornalistiche a L’Indipendente, avviate il 2 dicembre 1880, con Shylock, un articolo sulla rappresentazione dell’ebreo in The merchant of Venice, e protratte fino al novembre 1890 con interventi di critica letteraria e teatrale. 

Recensì tra gli altri Max Nordau, Turgenev, Zola, l’autobiografia di Wagner, Georges Ohnet, Joséphin Péladan, Alphonse Daudet.

Su L’Indipendente pubblicò anche due racconti: Una lotta (1888), che anticipa i temi dell’inettitudine e della precoce senilità poi dei romanzi, e L’assassinio di via Belpoggio (1890), ispirato tra l’altro alle pagine di Delitto e castigo

La vita familiare aveva nel frattempo registrato bruschi cambiamenti: dalla morte, nel 1879, della sorella Noemi per un’infezione puerperale, al dissesto economico paterno, culminato nel 1883 nella chiusura della fabbrica. Il 27 settembre 1880 Ettore si impiegò presso la filiale triestina dell’Unionbank di Vienna, dove rimase diciotto anni: nelle ore libere frequentava la Biblioteca civica, leggendo i classici italiani, da Dante a Carducci e De Sanctis, ma anche inglesi e specie francesi.

In una lettera del 23 aprile 1928 a Bice Rusconi Besso (Epistolario, cit., pp. 872 s.), Svevo ricordò, tra i suoi contatti culturali giovanili, l’erudito Attilio Hortis, direttore della Società di Minerva, Giuseppe Caprin, Riccardo Pitteri, Cesare Rossi, e poi Silvio Benco e Ferdinando Pasini. Nel dicembre del 1887, dopo aver composto un lungo saggio edito postumo, di influsso desanctisiano, Del sentimento in arte, in cui l’originalità del temperamento artistico era individuata nella sincerità e tra le cui righe Darwin era definito «l’eroe del pensiero moderno» (Teatro e saggi, a cura di F. Bertoni, 2004, p. 841), iniziò a scrivere il romanzo Un inetto. Il titolo fu poi cambiato in Una vita e pubblicato a proprie spese e con lo pseudonimo di Italo Svevo, qui apparso per la prima volta, in mille copie, presso la triestina Libreria editrice Ettore Vram, nell’autunno del 1892 ma con data 1893 (il 1º aprile era intanto morto il padre). Il romanzo passò pressoché inosservato, a parte una recensione di Domenico Oliva nel Corriere della sera dell’11 dicembre, in cui tuttavia, pur riconoscendo la cultura letteraria dell’autore, si evidenziavano vari difetti, dal titolo già di Guy de Maupassant (ma da Svevo, a suo dire, non conosciuto) fino all’immotivato suicidio finale. 

Il romanzo narra, su un impianto naturalistico di analitica descrizione d’ambiente, un fallito caso di inurbamento e di ascesa sociale, nel contesto della ricca borghesia triestina, di un aspirante scrittore, Alfonso Nitti, la cui grigia esistenza impiegatizia alla banca Maller pare potersi riscattare grazie alla seduzione e a un matrimonio riparatore con Annetta, la figlia del principale. Una seduzione per via letteraria, se Alfonso ha intrapreso con Annetta la stesura di un romanzo a quattro mani, da lei tuttavia orientato verso un successo solo commerciale. Ma «chi non ha le ali necessarie quando nasce non gli crescono mai più» (Romanzi e «Continuazioni», a cura di N. Palmieri – F. Vittorini, 2004, p. 104), come dice Macario, alter ego persuaso della bontà dell’azione e alla cui invidiata e «solida salute» Alfonso cerca vanamente di uniformarsi, complice anche quel tema del doppio suggeritogli da un autore come Jean Paul. Alfonso, «personificazione dell’affermazione schopenhaueriana della vita tanto vicina alla sua negazione» (Profilo autobiografico, in Racconti e scritti autobiografici, a cura di F. Bertoni, 2004, p. 801) e incarnazione, sempre schopenhaueriana, della figura del ‘sognatore’, ben lungi da ogni darwiniana struggle for life, si sottrae con la fuga e la regressione uterina (il paese di campagna legato alla figura materna) alle nozze borghesi, cui, al suo posto, si presterà Macario, cugino di Annetta. Di qui la finale risoluzione di «distruggere quell’organismo che […] vivo avrebbe continuato a trascinarlo nella lotta perché era fatto a quello scopo» (Romanzi e «Continuazioni», cit., pp. 395 s.). 

Al dicembre 1895, dopo la sofferta morte della madre il 4 ottobre, risale il fidanzamento con Livia Veneziani (1874-1957), di religione cattolica, figlia di Gioachino, proprietario di una rinomata fabbrica di vernici sottomarine, e di Olga Moravia, cugina della madre di Ettore e ostile all’unione della figlia con un impiegato, di tredici anni più vecchio e con velleità intellettuali. Ettore, scisso tra ironie antiborghesi e desiderio di approdo familiare, scrisse per Livia nel corso del 1896 un Diario per la fidanzata, edito nel 1962, pervaso da una gelosia ossessiva e ritmato dai propositi di smettere di fumare. Il matrimonio fu celebrato con rito civile il 30 luglio 1896 e con rito religioso nell’agosto del 1897, dopo l’abiura di Ettore all’ebraismo e il suo battesimo: gli sposi andarono ad abitare nella grande casa della famiglia di lei, villa Veneziani. Dal 12 agosto 1897 si avviò un primo bilancio familiare in una Cronaca della famiglia, dove la (fallita) educazione della moglie era perseguita tramite i libri di Arthur Schopenhauer, Karl Marx e Die Frau und der Sozialismus (La donna e il socialismo) di August Bebel. Il 20 settembre 1897 nacque l’unica loro figlia, Letizia, che sposò nel 1919 l’irredentista istriano Antonio Fonda Savio, da cui ebbe tre figli, tutti caduti in guerra. 

Il 1° novembre 1897 uscì sulla Critica sociale di Filippo Turati un racconto, La tribù, testimonianza dell’orientamento socialista dell’autore. Fra il 15 giugno e il 16 settembre 1898 uscì a puntate su L’Indipendente il suo secondo romanzo, Senilità, originariamente titolato Il carnevale di Emilio, edito subito dopo in volume, presso Ettore Vram, in mille copie, a spese dell’autore. 

Di una senilità più psicologica che anagrafica è il trentacinquenne Emilio Brentani che, impiegato in una società di assicurazioni triestina e autore di un romanzo giovanile, non si sente «forte abbastanza per studiare la propria inettitudine e vincerla» (Romanzi e «Continuazioni», cit., p. 529).

La struttura narrativa, più che su analisi ambientali, poggia su un oppositivo quanto complementare quadrilatero di caratteri: a Emilio e al suo doppio femminile, la sorella Amalia, a lui affine persino nel nome, si contrappongono l’amico scultore Stefano Balli, di cui si invaghisce l’intristita e negletta Amalia, e la bionda Angiolina Zarri, prototipo di «bella salute», entrambi alti, forti e dagli occhi azzurri. Se in Stefano precipitano alcuni tratti del pittore Umberto Veruda (1868-1904), grande amico di Svevo ed esponente della bohème triestina, dietro Angiolina è ravvisabile il profilo di Giuseppina Zergol, una ragazza del popolo, con cui lo scrittore ebbe una relazione nei primi anni Novanta e che, come raccontò la moglie Livia, finì cavallerizza in un circo. Accreditato, nel Profilo autobiografico, come romanzo a chiave, inizialmente ispirato dal pigmalionico intento di preparare l’educazione della ragazza, Senilità non registra tuttavia vincitori: se il vitalistico Balli si risarcisce del mancato successo con le numerose conquiste femminili, la bella Angiolina sparirà definitivamente di scena fuggendo con un cassiere macchiatosi di furto, ma tramutandosi negli anni, per l’ozioso letterato Emilio – in un finale che molto colpì Joyce – in un’immagine simbolo, la cui inalterata bellezza si arricchisce di tutte le qualità di Amalia, che, morta dopo aver cercato conforto nell’etere, in lei muore una seconda volta. 

Anche in questo caso l’eco fu molto circoscritta, con scarse recensioni, tra cui quella di Silvio Benco su L’Indipendente (12 ottobre 1898). Il 1899, come scrisse Livia nella Vita di mio marito, fu anno decisivo, con il passaggio, nel maggio, dalla banca alla ditta del suocero, con un consistente aumento di stipendio. Cominciarono così anche i suoi viaggi di affari, in Francia, Germania e Inghilterra, dove la ditta Veneziani aprì nel 1903 una filiale a Charlton, vicino a Londra. Fu l’addio, come sancì in pagine di diario del dicembre 1902, a «quella ridicola e dannosa cosa che si chiama letteratura» (Racconti e scritti autobiografici, cit., p. 733). Rimase il violino, una passione già del fratello Elio, che lo accompagnò nei suoi viaggi e che continuò a coltivare a Trieste, in un quartetto di amici. Ma rimasero anche le letture notturne e la scrittura di pagine lasciate nel cassetto. 

Tra l’avvio del nuovo secolo e la guerra compose opere teatrali come L’avventura di Maria, in tre atti al pari di un altro testo, Un marito, influenzato da Henrik Ibsen e August Strindberg, e atti unici come La parola, poi rielaborata in La veritàTerzetto spezzato Atto unico, in dialetto triestino; racconti (tra cui una trilogia sulla vita operaia a Murano, MariannoCimuttiIn Serenella); saggi, come un frammento su L’uomo e la teoria darwiniana, databile circa al 1907; favole, appunti e pagine diaristiche.

Tra i racconti completa è solo la stesura di Lo specifico del dottor Menghi, probabilmente del 1904, in cui, tra fantascienza e polemica antipositivistica, si narra del fallimento di un siero destinato a ringiovanire: tematica dell’esecrata vecchiaia poi cara all’ultimo Svevo. Lavori occultati, per cui Mario Lavagetto ha parlato di «scrittore in fuga» (v. Cronologia, in Romanzi e «Continuazioni», cit., p. CXIII) e di «falsificazione apotropaica » (p. CXII), in analogia con la famosa «ultima sigaretta» già del Diario per la fidanzata e poi emblema dello Zeno della Coscienza

Per la sua attività commerciale, Svevo iniziò, nel 1907, a prendere lezioni private di inglese da un irlandese venticinquenne giunto a Trieste nell’ottobre 1904 per insegnare alla Berlitz School e che gli fu sicuramente guida anche a una migliore conoscenza della letteratura inglese, a cominciare da Laurence Sterne (Mazzacurati, 1998): James Joyce, con cui nacque un’amicizia e una stima basata anche sullo scambio dei reciproci lavori e di cui resta testimonianza un residuo carteggio. 

Altro fondamentale evento fu la conoscenza delle opere di Sigmund Freud, che l’autore fece risalire al 1908-10 in un abbozzo di conferenza probabilmente del 1926, per il milanese circolo Il Convegno di Enzo Ferrieri: Soggiorno londinese, in cui tra l’altro troviamo uno dei pochi rimandi sveviani a Friedrich Nietzsche, pur filosofo a lui ben presente e di cui lamentò il fraintendimento superomistico italiano.

In cura da Freud fu, a partire dal 1911, anche il cognato di Svevo, Bruno Veneziani, che tuttavia invano proseguì la terapia anche con altri psicanalisti, come il triestino Edoardo Weiss, laureatosi a Vienna con Freud. Se Svevo dunque maturò un ripudio terapeutico della psicanalisi, nella convinzione che fosse pericoloso spiegare all’uomo come era fatto, tuttavia non la abbandonò in funzione narrativa: nello stesso 1911, in estate a Bad Ischl conobbe anche Wilhelm Stekel, inquieto allievo di Freud e autore di due recenti libri sulla psicologia dell’artista e dell’opera d’arte e sulla lingua dei sogni. 

In un viaggio dell’agosto-settembre 1914 per una Germania persuasa di avere la vittoria in tasca, Hector (come si firmava nelle missive in tedesco alla moglie), accreditò senz’altro la vittoria a una Germania dalla grande potenza, regolata da ordine, calma e volontà di lavoro e sacrificio (Epistolario, cit., pp. 694 s., 709 s.). Con l’entrata in guerra dell’Italia, la famiglia Veneziani si disperse, tra l’Inghilterra, Firenze e Zurigo; rimasero Ettore, cittadino austriaco, e Livia a guardia di una fabbrica a passo ridotto, sottoposta a controlli e spoliazioni austriache. La pausa della guerra riportò pienamente Svevo alla letteratura e alla scrittura. 

Lesse in quegli anni testi di Freud e nel 1918 con il nipote Aurelio Finzi lavorò alla traduzione del freudiano Über den Traum (Sul sogno).

Ma tra i suoi libri vi è anche l’edizione 1921 del testo di Charles Baudouin, Suggestion et autosuggestion (Palmieri, 1994), di quella scuola di Nancy che Svevo suggerì a Valerio Jahier nella seconda delle due celebri lettere sulla psicanalisi (del 10 e 27 dicembre 1927: cfr. Epistolario, cit., pp. 857-860) a lui indirizzate e in cui Freud è giudicato più utile ai romanzieri che agli ammalati. Nel 1919 concluse un progetto di pace mondiale, ispirato al pacifismo dell’austriaco Alfred Hermann Fried (insignito del premio Nobel per la pace nel 1911) e del tedesco Walter Schücking, ma dai molteplici modelli, tra cui anche Dante e il Kant di Zum ewigen Frieden (Per la pace perpetua). I materiali del saggio, pubblicati negli anni Cinquanta con il titolo Sulla teoria della pace, sono stati riediti nel 2015 con l’originario titolo La Lega delle Nazioni, sulla scia delle teorie di Woodrow Wilson che avevano anche ispirato il socialista triestino Edmondo Puecher e la sua rivista La Lega delle Nazioni

Nel 1919 avviò la collaborazione al quotidiano triestino La Nazione, diretto da Silvio Benco e Giulio Cesari, in cui pubblicò articoli letterari, politici e di costume e nel 1921-22 scrisse un atto unico, Inferiorità, basato sull’ambiguo rapporto di potere servo-padrone. Nel 1919 iniziò anche la stesura di un nuovo romanzo, La coscienza di Zeno, pubblicato nel 1923 sempre a proprie spese in millecinquecento copie dall’editore Cappelli di Bologna che ne affidò la revisione linguistica ad Attilio Frescura. 

Romanzo, a differenza dei precedenti, in prima persona, La coscienza di Zeno è basato sulla cura psicanalitica che il protagonista, il cinquantasettenne commerciante triestino Zeno Cosini, ha intrapreso con il dottor S. che lo ha indotto a scrivere i suoi ricordi.

Nella Prefazione da lui firmata, il Dottor S. spiega di aver deciso di pubblicare «per vendetta» il memoriale, avendo il paziente interrotto la cura.

Dopo un Preambolo in cui liquida un impossibile recupero della propria infanzia, Zeno organizza i suoi ricordi non cronologicamente ma per temi: in una lettera da Parigi del 30 gennaio 1924, Joyce si dichiarò infatti subito interessato al «trattamento del tempo» (Carteggio con James Joyce…, a cura di B. Maier, 1978, p. 29).

In una serie di capitoli sono dunque liberamente rielaborati alcuni nodi esistenziali: Il fumoLa morte di mio padreLa storia del mio matrimonioLa moglie e l’amanteStoria di un’associazione commerciale e Psico-analisi: quest’ultimo, diaristicamente impostato, dal 3 maggio 1915 al 24 marzo 1916, segna l’interruzione della cura e il sopraggiungere della guerra. Autobiografo ironico e ammiccante alla propria inaffidabilità, Zeno ripercorre i vani reiterati tentativi di liberarsi dal vizio del fumo, i sensi di colpa maturati alla morte del padre, il suo matrimonio di ripiego con la sbiadita e strabica Augusta, dopo esser stato respinto dalle altre due sorelle, Ada e Alberta, la relazione con Carla e i rapporti d’affari con il cognato-rivale Guido Speier, marito di Ada, bello, elegante, disinvolto e violinista ben più provetto di Zeno. Ma, strada facendo, le carte cambiano di mano: era Augusta, rassicurante moglie-madre, e non la bella Ada, poi colpita dal morbo di Basedow, la vera detentrice di una perfetta salute. Il successo finanziario spetterà all’anomalo inetto Zeno e non al brillante Guido, i cui errati investimenti lo condurranno a un accidentale suicidio, originariamente inscenato per finta. L’ultima carta è data dall’evento bellico, in cui Zeno saprà costruire la sua fortuna di profittatore di guerra. Malato omologato a una società di malati, ambivalente personaggio di tragico buffone e di sciocco-saggio, Zeno approderà all’apocalittica visione, in parte mutuata dal racconto di uno dei suoi autori prediletti, Jean Paul (Des Feldpredigers Schmelzle Reise nach Flätz, Viaggio a Flätz del cappellano militare Schmelzle), di una folle deflagrazione che renderà la terra finalmente libera da parassiti e malattie. 

Di nuovo nell’indifferenza della critica italiana, eccetto una recensione di Silvio Benco sul Piccolo della sera del 5 giugno 1923, fu grazie a Joyce, che aveva pubblicato nel 1922 Ulysses, e alle sue amicizie parigine, che si avviò il successo francese di Svevo. Su Le Navire d’argent del 1º febbraio 1926 Benjamin Crémieux pubblicò il suo saggio su Italo Svevo e brani da lui tradotti della Coscienza, cui si aggiunse un passo di Senilità tradotto da Valery Larbaud. Il 14 marzo 1928 Svevo fu festeggiato a Parigi al Pen Club insieme a Isaak Babel´ e Ion Pillat.

Ma a precorrere il successo critico fu Eugenio Montale che, nel periodico milanese L’Esame (novembre-dicembre 1925), pubblicò un Omaggio a Italo Svevo, scoperta e consacrazione di un autore su cui il poeta-critico tornò sia nel 1926 sia a più riprese lungo gli anni.

Sul milanese L’Ambrosiano apparve l’8 febbraio 1926 un intervento di Giuseppe Prezzolini dal titolo Rivelazioni: Italo Svevo e nell’aprile del 1927 Anton Giulio Bragaglia rappresentò a Roma, al teatro degli Indipendenti, l’atto unico Terzetto spezzato, tuttavia con mediocre successo.

Riconoscimenti che non fecero comunque tacere le voci dissidenti, come dimostrò, per tutti, la stroncatura di Guido Piovene (Narratori, in La Parola e il libro, 1927, n. 9-10, p. 253). Del resto, il successo, che pur molto gratificò l’ultrasessantenne Svevo, rimase elitario: la nuova edizione di Senilità, il cui italiano era stato rivisto con l’ausilio del professor Marino de Szombathely e probabilmente del genero Antonio Fonda Savio, fu rifiutata da più editori, come Treves e Mondadori e uscì in tremila copie nel 1927 presso il milanese Morreale grazie, ancora una volta, al sostegno economico dell’autore. Così il traduttore francese della Coscienza, Paul-Henri Michel, fu compensato direttamente dallo scrittore che accettò anche alcuni tagli al romanzo. «Il vento è mutato», disse Montale nel 1949 (Corriere della sera, 30 dicembre), così accreditando un nuovo corso critico su Svevo, scevro anche da pregiudizi linguistici: ma fu subito polemica (con Enrico Falqui). 

La vena creativa di Svevo si riaprì comunque con una nuova, ricca stagione novellistica e la stesura di saggi e ulteriori commedie: Con la penna d’oro, in quattro atti (1926) e i tre atti di La rigenerazione (1927-28), in cui un ultrasettantenne protagonista persegue un possibile ringiovanimento tramite un’operazione. Dopo aver recensito il 1° maggio 1926 su Il Popolo di Trieste la traduzione francese dei Dubliners, Svevo tenne l’8 marzo 1927 al circolo Il Convegno una conferenza su Joyce, la ricostruzione del cui testo ha causato una contrastata questione filologica. Nell’occasione della conferenza la germanista Lavinia Mazzucchetti gli fece il nome di Franz Kafka, che fu, a detta della moglie, «l’ultimo suo amore letterario» (Veneziani Svevo, 1950, 1976, p. 145). Rifiutata nel giugno 1927 l’offerta da parte di Solaria di pubblicare una raccolta di racconti, mediatori Leo Ferrero e soprattutto Montale, e dopo un’ulteriore proposta editoriale dei torinesi fratelli Ribet, tramite Mario Gromo, lo scrittore, pochi giorni prima della morte, in un incontro a Bormio il 6 settembre 1928, concluse con l’editore Giuseppe Morreale un accordo per la pubblicazione di una raccolta di novelle e di un quarto romanzo (Tortora, 2003). 

Tra i vari racconti, non tutti compiuti e di non sempre sicura datazione, sono almeno da ricordare Una burla riuscita, pubblicato in Solaria (febbraio 1928), Corto viaggio sentimentale (che aggiunse corto a un titolo già di Sterne), Vino generoso, apparso nella Fiera letteraria (28 agosto 1927), e La novella del buon vecchio e della bella fanciulla. Sono racconti legati al tema della vecchiaia, della scrittura, dell’eros e della morte, con protagonisti dai tratti autobiografici: dal pacifista e quasi sessantenne Mario Samigli (eco dello pseudonimo già sveviano) di Una burla riuscita, dalle giovanili e conculcate ambizioni letterarie, fino al «buon vecchio» sessantenne, un arricchito di guerra, sedotto e seduttore di una ventenne figlia di quel popolo in guerra sacrificato. 

Del progettato quarto romanzo, Il vegliardo, avviato secondo anche le testimonianze epistolari tra aprile e maggio 1928, rimangono cinque spezzoni narrativi (in Romanzi e «Continuazioni»Un contrattoLe confessioni del vegliardoUmbertinoIl mio ozio e Prefazione), cui si legano altri frammenti, in un insieme di materiali suscettibile di divergenti interpretazioni: se Mario Lavagetto l’ha considerato una congerie irriducibile a unità, da etichettare come continuazioni della Coscienza, d’altra parte Giuseppe Langella, sulla scia di Bruno Maier e Gianfranco Contini, vi ha visto, con un occhio al ciceroniano De senectute, una nuova stagione, incompiuta ma attuata, della poetica sveviana (linea, questa, in cui si inserisce anche la valutazione dell’ultima fase novellistica operata da Massimiliano Tortora). Il vegliardo ripropone quale voce narrante il personaggio di Zeno, ora settantenne, soppiantato nella gestione dell’azienda dal figlio del suo antico amministratore e di cui si seguono i rapporti con i figli, con il nipote Umbertino e con un’ultima amante, dal significativo nome di Felicita, ricercata in funzione terapeutica. 

Il 12 settembre 1928 un incidente di macchina, al ritorno a Trieste dalle terme di Bormio, gli causò la rottura di un femore: trasportato all’ospedale di Motta di Livenza, morì il 13 settembre a causa di un enfisema polmonare e fu sepolto nel cimitero triestino di Sant’Anna. 

Nel 1929 uscirono gli omaggi a Svevo della rivista Il Convegno con, tra l’altro, il saggio di Giacomo Debenedetti Svevo e Schmitz e di Solaria, con numerosi interventi, tra cui quelli di Crémieux, Joyce, Larbaud, Montale, Palazzeschi, Saba, Sergio Solmi e Giani Stuparich. Sempre nel 1929 l’editore Morreale pubblicò, oltre al Profilo autobiograficoLa novella del buon vecchio e della bella fanciulla e altri scritti, con una nota introduttiva di Montale. 

Opere. Per un’edizione complessiva delle opere di Italo Svevo, dopo quella curata da Bruno Maier per il milanese dall’Oglio (I, Epistolario, 1966; II, Romanzi, 1969; III, Racconti, saggi, pagine sparse, 1968; IV, Commedie, con introduzione e note di U. Apollonio, 1969), e dopo l’edizione critica curata sempre da Maier per Studio Tesi di Pordenone, ma fermatasi ai romanzi (Una vita, 1985; La coscienza di Zeno, 1985; Senilità, 1986; Il vegliardo, 1987), abbiamo, diretta da Mario Lavagetto e datata 2004, l’edizione critica nei MeridianiMondadori, in tre volumi, tutti con saggio introduttivo e cronologia di Lavagetto: Romanzi e «Continuazioni», a cura di N. Palmieri – F. Vittorini; Racconti e scritti autobiografici e Teatro e saggi, entrambi a cura di F. Bertoni. Del Vegliardo è stata approntata anche un’edizione critica, a cura di G. Langella (Milano 1995), che distingue tra i materiali due diversi progetti narrativi. È in corso l’Edizione nazionale per le Edizioni di storia e letteratura di Roma, in nove volumi, di cui sono finora usciti: La coscienza di Zeno, a cura di B. Stasi (2008); Commedie, a cura di G. Lucchini (I-II, 2011); Una vita, a cura di S. Ticciati (2012); Senilità, a cura di R. Rabboni (I-II, 2016; che pubblica le due edizioni Vram 1898 e Morreale 1927). Per la Letteratura italiana Ricciardi è infine apparso il volume delle Opere, a cura di S. Calabrese (Milano-Napoli 2015). Per la riedizione del saggio titolato da Umbro Apollonio Sulla teoria della pace, si veda I. Svevo, La Lega delle Nazioni [Sulla teoria della pace], a cura di S. Buttò – R. Cepach (Trieste 2015). 

Fonti e Bibl.: Grazie alla donazione di carte e oggetti (tra cui il violino) dello scrittore da parte della figlia Letizia alla Biblioteca civica Attilio Hortis del Comune di Trieste, è stato inaugurato, il 19 dicembre 1997, il Museo sveviano che conserva, oltre alle lettere e alle foto di famiglia, gli autografi della maggior parte delle opere di Svevo, con l’esclusione di quelli dei tre romanzi, andati perduti. 

Del frammentato epistolario sveviano, in attesa di una necessaria, complessiva edizione critica, si vedano almeno, oltre al citato volume dell’Epistolario dell’Opera omniaLettere a Italo Svevo. Diario di Elio Schmitz, a cura di B. Maier, Milano 1973; I. Svevo – E. Montale, Carteggio, con gli scritti di Montale su Svevo, a cura di G. Zampa, Milano 1976; Carteggio con James Joyce, Valery Larbaud, Benjamin Crémieux, Marie Anne Comnène, Eugenio Montale, Valerio Jahier, a cura di B. Maier, Milano 1978; «Faccio meglio di restare nell’ombra». Il carteggio inedito con Ferrieri seguito dall’edizione critica della conferenza su Joyce, a cura di G. Palmieri, Milano-Lecce 1995; M. Tortora, Appendice, in Id., Svevo novelliere, Pisa 2003, pp. 121-172. 

Tra le biografie: L. Veneziani Svevo, Vita di mio marito, stesura di L. Galli, Trieste 1950 (poi, con prefazione di E. Montale, Milano 1976); E. Ghidetti, Italo Svevo. La coscienza di un borghese triestino, Roma 1980 e 2006; G.A. Camerino, Italo Svevo, Torino 1981; J. Gatt-Rutter, Italo Svevo. A double life, Oxford 1988 (trad. it., Alias Italo Svevo. Vita di Ettore Schmitz, scrittore triestino, Siena 1991); F. Anzellotti, La villa di Zeno, Pordenone 1991; M. Marchi, Vita scritta di Italo Svevo, Firenze 1998. 

Per la bibliografia della critica, si vedano: Il caso Svevo. Guida storica e critica, a cura di E. Ghidetti, Roma-Bari 1984 e 1993; M. Tortora, Il punto su Svevo (1994-2004), in Moderna. Semestrale di teoria e critica della letteratura, VI (2004), 2, pp. 169-185; Repertorio bibliografico ragionato su Italo Svevo (1994-2004), a cura di E. Dei et al.ibid., pp. 187-246. Nell’ampia bibliografia critica sveviana, oltre agli interventi di Montale nel citato Carteggio e a quelli di G. Debenedetti, raccolti nei suoi Saggi critici, s. 2, Roma 1945 (poi Milano 1971, pp. 47-113), e nel suo Il romanzo del Novecento, Milano 1971, pp. 516-616, ci si limita a segnalare: M. Guglielminetti, Il monologo di Svevo, in Id., Struttura e sintassi del romanzo italiano del primo Novecento, Milano 1964, pp. 121-155; R. Barilli, La linea Svevo-Pirandello, Milano 1972; G.A. Camerino, Italo Svevo e la crisi della Mitteleuropa, Firenze 1974 (edizione ampliata e rivista, Napoli 2002); R. Rimini, La morte nel salotto. Guida al teatro d’Italo Svevo, Firenze 1974; M. Lavagetto, L’impiegato Schmitz e altri saggi su Svevo, Torino 1975; E. Saccone, Il poeta travestito. Otto scritti su Svevo, Pisa 1977; E. Gioanola, Un killer dolcissimo. Indagine psicanalitica sull’opera di Italo Svevo, Genova 1979 (poi Milano 1995); G. Contini, Il quarto romanzo di Svevo, Torino 1980; A. Guidotti, Zeno e i suoi doppi. Le commedie di Svevo, Pisa 1986; G. Luti, L’ora di Mefistofele. Studi sveviani vecchi e nuovi (1960-1987), Firenze 1990; L. Curti, Svevo e Schopenhauer. Rilettura di “Una vita”, Pisa 1992 e 2016; G. Palmieri, Schmitz, Svevo, Zeno. Storia di due ‘biblioteche’, Milano 1994; G. Langella, Il tempo cristallizzato. Introduzione al testamento letterario di Svevo, Napoli 1995; G. Mazzacurati, Stagioni dell’Apocalisse. Verga Pirandello Svevo, Torino 1998; B. Moloney, Italo Svevo narratore. Lezioni triestine, Gorizia 1998; M. Tortora, Svevo novelliere, cit.; C. Benussi, La forma delle forme. Il teatro di Italo Svevo, Trieste 2007; S. Carrai, Il caso clinico di Zeno e altri studi di filologia e critica sveviana, Pisa 2010; L. Curti, Svevo romanziere. Ottimismo, pseudo-Weininger, inettitudine, Pisa 2012; B. Stasi, Svevo e «Zéno». Tagli e varianti d’autore per l’edizione francese della “Coscienza”, Roma 2012; G. Tellini, Svevo, Roma 2013; S. Volpato – R. Cepach, Alla peggio andrò in biblioteca. I libri ritrovati di Italo Svevo, a cura di M. Gatta, prefazione di M. Sechi, postfazione di P. Innocenti, Macerata 2013; G. Palmieri, Svevo, Zeno e oltre, Ravenna 2016; M. Sechi, Una saggezza selvaggia. Italo Svevo e la cultura europea nel vortice della «Krisis», Roma 2016; S. Calabrese, La letteratura e la mente. Svevo cognitivista, Milano 2017; M. Graziano, Italo Svevo, in Il contributo italiano alla storia del pensiero. Letteratura, Roma 2018, pp. 588-596. Numerosi inoltre i cataloghi di mostre e gli atti di Convegni. Dal 1997 esce la rivista Aghios. Quaderni di studi sveviani, diretta da G.A. Camerino ed E. Guagnini.

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GENESI 25

Bɵreshìt 25

ַו ֹיּ ֶסף ַא ְב ָר ָהם ַו ִיּ ַקּח ִא ָשּׁה וּ ְשׁ ָמהּ ְקטוּ ָרה׃ uShɵmah [e il וּ ְשׁ ָמהּ ,Avrahàm un’altra moglie ַא ְב ָר ָהם]vayikkàch̠ [E prese ַו ִיּ ַקּח 25:1

nome di lei] Ketura.

ַו ֵתּ ֶלד לוֹ ֶאת־ ִז ְמ ָרן ְו ֶאת־ ָי ְק ָשׁן ְו ֶאת־ ְמ ָדן ְו ֶאת־ ִמ ְד ָין ְו ֶאת־ ִי ְשׁ ָבּק ְו ֶאת־שׁוּ ַח׃ 25:2 E questa gli partorì Zimran, Jokshan, Medan, Madian, Ìshbak e שׁוּ ַח Shuach̠ .

ְו ָי ְק ָשׁן ָי ַלד ֶאת־ ְשׁ ָבא ְו ֶאת־ ְדּ ָדן וּ ְב ֵני ְד ָדן ָהיוּ ַאשּׁוּ ִרם וּ ְלטוּ ִשׁים וּ ְל ֻא ִמּים׃ ָהיוּ uv’nè [E i figli] di Dedan וּ ְב ֵני .yalad [generò] Sceba e Dedan ָי ַלד Jokshan 25:3

hayù [furono] gli Asshurim, i Letushim ed i Leummim.

וּ ְב ֵני ִמ ְד ָין ֵעי ָפה ָו ֵע ֶפר ַו ֲח ֹנ􏰂 ַו ֲא ִבי ָדע ְו ֶא ְל ָדּ ָעה ָכּל־ ֵא ֶלּה ְבּ ֵני ְקטוּ ָרה׃ uv’nè [E i figli] di Madian furono Efa, Efer, Hanoch, Abida ed Eldaa. Tutti וּ ְב ֵני 25:4

questi furono i ְבּ ֵני bɵnè [figli] di Ketura.
25:5 E ַא ְב ָר ָהם Avrahàm dette tutto quello che possedeva a ִי ְצ ָחק Itz’ch̠ àk [Isacco];

ְו ִל ְב ֵני ַה ִפּי ַל ְג ִשׁים ֲא ֶשׁר ְל ַא ְב ָר ָהם ָנ ַתן ַא ְב ָר ָהם ַמ ָתּ ֹנת ַו ְי ַשׁ ְלּ ֵחם ֵמ ַעל ִי ְצ ָחק ְבּנוֹ ְבּעוֹ ֶדנּוּ ַחי ֵק ְד ָמה ֶאל־ֶאֶרץ ֶקֶדם׃

ַחי bɵnè [figli] delle sue concubine fece dei doni, e, mentre era ancora ְבּ ֵני ma ai 25:6 ch̠ ai [in vita], li mandò lungi dal ְבּנוֹ bɵnò [suo figlio] ִי ְצ ָחק Itz’ch̠ àk [Isacco], verso levante, ֶאל־ ֶא ֶרץ el-èretz [in terra] d’oriente.

ְו ֵא ֶלּה ְי ֵמי ְשׁ ֵני־ ַח ֵיּי ַא ְב ָר ָהם ֲא ֶשׁר־ ָחי ְמ ַאת ָשׁ ָנה ְו ִשׁ ְב ִעים ָשׁ ָנה ְו ָח ֵמשׁ ָשׁ ִנים׃ yɵmè shɵnè-ch̠ ayè [giorni degli anni di ְי ֵמי ְשׁ ֵני־ ַח ֵיּי vɵèlleh [E questi] sono i ְו ֵא ֶלּה 25:7 ָשׁ ָנה ]mɵat [cento ְמ ַאתAvrahàm fu di ַא ְב ָר ָהם ]ashèr ch̠ ày [che è visuto ֲא ֶשׁר־ ָחי ]vita shanah [anno] ְו ִשׁ ְב ִעים vɵshiv’ìm [e settanta] ָשׁ ָנה shanah [anno] ְו ָח ֵמשׁ vɵch̠ amesh [e cinque] ָשׁ ִנים shanìm [anni] centosettantacinque anni.

ַוִיְּגַוע ַוָיּ ָמת ַאְבָר ָהם ְבּ ֵשׂי ָבהטוֹ ָבה ָז ֵקן ְו ָשׂ ֵב ַע ַוֵיּ ָא ֶסף ֶאל־ ַע ָמּיו׃ Avrahàm in prospera ַא ְב ָר ָהם]vayyamot [e morì ַו ָיּ ָמת ]vajig’và [E spirò ַו ִיּ ְג ַוע 25:8

vecchiezza, ָז ֵקן zakèn [vecchio] e sazio di giorni, e fu riunito ֶאל־ ַע ָמּיו el-ammàv [ai popoli suoi – ai sui antenati].

ַוִיְּקְבּרוּ ֹאתוִֹיְצָחקְוִיְשָׁמֵעאל ָבָּניו ֶאל־ְמָעַרת ַהַמְּכֵפָּלה ֶאל־ְשֵׂדה ֶעְפֹרן ֶבּן־ֹצַחר ַהִחִתּי ֲאֶשׁר ַעל־ ְפֵּני ַמְמֵרא׃

ַו ִיּ ֵתּן ַא ְב ָר ָהם ֶאת־ ָכּל־ ֲא ֶשׁר־לוֹ ְל ִי ְצ ָחק׃

25:9 E ִי ְצ ָחק Itz’ch̠ àk [Isacco] e ִי ְשׁ ָמ ֵעאל Ishmaèl [Ismaele], ָבּ ָניו banàv [suoi figli], lo seppellirono in ֶאל־ ְמ ָע ַרת el-mɵaràt [la caverna] di Macpela nel campo di Efron ֶבּן ben [figlio] di Tsoar lo Hitteo, ֲא ֶשׁר ַעל־ ְפּ ֵני ashèr àl-pɵnè [ ch’è di fronte a] Mamre:

ַה ָשּׂ ֶדה ֲא ֶשׁר־ ָק ָנה ַא ְב ָר ָהם ֵמ ֵאת ְבּ ֵני־ ֵחת ָשׁ ָמּה ֻק ַבּר ַא ְב ָר ָהם ְו ָשׂ ָרה ִא ְשׁתּוֹ׃ bɵnè ְבּ ֵני Avrahàm aveva comprato dai ַא ְב ָר ָהם hassadeh [Il campo], che ַה ָשּׂ ֶדה 25:10

[figli] di Heth. Quivi furon sepolti ַא ְב ָר ָהם Avrahàm e ָשׂ ָרה Sarah ִא ְשׁתּוֹ ishtò [sua moglie].

ַו ְי ִהי ַא ֲח ֵרי מוֹת ַא ְב ָר ָהם ַו ְי ָב ֶר􏰂 ֱא􏰁 ִהים ֶאת־ ִי ְצ ָחק ְבּנוֹ ַו ֵיּ ֶשׁב ִי ְצ ָחק ִעם־ ְבּ ֵאר ַל ַחי ֹר ִאי׃ vayvàrech ַו ְי ָב ֶר􏰂 ,Avrahàm ַא ְב ָר ָהם mòt [la morte] di מוֹת vay’hì [E fu] dopo ַו ְי ִהי 25:11 ִי ְצ ָחק ben [figlio] di lui; e ֶבּן ]Itz’ch̠ àk [Isacco ִי ְצ ָחק Elohìm a ֱא􏰁 ִהים ]allora benedisse[ Itz’ch̠ àk [Isacco] dimorò presso il pozzo di Lachai-Roï.

ְו ֵא ֶלּה ֹתּ ְל ֹדת ִי ְשׁ ָמ ֵעאל ֶבּן־ ַא ְב ָר ָהם ֲא ֶשׁר ָי ְל ָדה ָה ָגר ַה ִמּ ְצ ִרית ִשׁ ְפ ַחת ָשׂ ָרה ְל ַא ְב ָר ָהם׃ Ishmaèl ִי ְשׁ ָמ ֵעאל ’tolɵdot [discendenti] d ֹתּ ְל ֹדת vɵèlleh [E questi] sono i ְו ֵא ֶלּה 25:12 [Ismaele], ֶבּן ben [figlio] di ַא ְב ָר ָהם Avrahàm, ֲא ֶשׁר ָי ְל ָדה ָה ָגר ashèr yalɵdah hagar [che Agar partorì], l’Egiziana, serva di ָשׂ ָרה Sarah, ad ַא ְב ָר ָהם Avrahàm.

ְו ֵא ֶלּה ְשׁמוֹת ְבּ ֵני ִי ְשׁ ָמ ֵעאל ִבּ ְשׁ ֹמ ָתם ְלתוֹ ְל ֹד ָתם ְבּ ֹכר ִי ְשׁ ָמ ֵעאל ְנ ָב ֹית ְו ֵק ָדר ְו ַא ְד ְבּ ֵאל וּ ִמ ְב ָשׂם׃ ִי ְשׁ ָמ ֵעאל ’bɵnè [figli] d ְבּ ֵני ’shɵmòt [nomi] de ְשׁמוֹת vɵèlleh [E questi] sono i ְו ֵא ֶלּה 25:13 Ishmaèl [Ismaele] ִבּ ְשׁ ֹמ ָתם bishmotàm [con i loro nomi] per generazioni: Nebaioth, il ,Ishmaèl [Ismaele]; poi Kedar, Adbeel, Mibsam ִי ְשׁ ָמ ֵעאל ’bɵchor [primogenito] d ְבּ ֹכר

25:14 Mishma, Duma, Massa,
25:15 Hadar, Tema, Jethur,Nafish e Kedma.

וּ ִמ ְשׁ ָמע ְודוּ ָמה וּ ַמ ָשּׂא׃

ֲח ַדד ְו ֵתי ָמא ְיטוּר ָנ ִפישׁ ָו ֵק ְד ָמה׃

ֵא ֶלּה ֵהם ְבּ ֵני ִי ְשׁ ָמ ֵעאל ְו ֵא ֶלּה ְשׁ ֹמ ָתם ְבּ ַח ְצ ֵרי ֶהם וּ ְב ִטי ֹר ָתם ְשׁ ֵנים־ ָע ָשׂר ְנ ִשׂי ִאם ְל ֻא ֹמּ ָתם׃

ְו ֵא ֶלּה ,]Ishmaèl [Ismaele ִי ְשׁ ָמ ֵעאל ’bɵnè [figli] d ְבּ ֵני èlleh [Questi] sono i ֵא ֶלּה 25:16 vɵèlleh [e questi] i ְשׁ ֹמ ָתם shɵmòtàm [loro nomi], secondo i loro villaggi e i loro accampamenti. Furono i ְשׁ ֵנים־ ָע ָשׂר shɵnèm-asar [dodici] capi dei loro popoli.

ְו ֵא ֶלּה ְשׁ ֵני ַח ֵיּי ִי ְשׁ ָמ ֵעאל ְמ ַאת ָשׁ ָנה וּ ְשׁ􏰁 ִשׁים ָשׁ ָנה ְו ֶשׁ ַבע ָשׁ ִנים ַו ִיּ ְג ַוע ַו ָיּ ָמת ַו ֵיּ ָא ֶסף ֶאל־ ַע ָמּיו׃ ִי ְשׁ ָמ ֵעאל ’ch̠ ayè [vita] d ַח ֵיּי shɵnè [anni] della ְשׁ ֵני vɵèlleh [E questi] sono gli ְו ֵא ֶלּה 25:17 Ishmaèl [Ismaele] furono ְמ ַאת mɵat [cento] ָשׁ ָנה shanah [anno] וּ ְשׁ􏰁 ִשׁים ush’loshìm [e trenta] ָשׁ ָנה shanah [anno] ְו ֶשׁ ַבע vɵshevà [e le sette] ָשׁ ִנים shanìm [anni]

ֶאל־ vayyamot [e morì], e fu riunito ַו ָיּ ָמת ,]vajig’và [poi spirò ַו ִיּ ְג ַוע ;centotrentasette .]el-ammàv [ai popoli suoi – i suoi antenati ַע ָמּיו

ַו ִיּ ְשׁ ְכּנוּ ֵמ ֲח ִוי ָלה ַעד־שׁוּר ֲא ֶשׁר ַעל־ ְפּ ֵני ִמ ְצ ַר ִים ֹבּ ֲא ָכה ַאשּׁוּ ָרה ַעל־ ְפּ ֵני ָכל־ ֶא ָחיו ָנ ָפל׃ 25:18 E i suoi ְבּ ֵני bɵnè [figli] abitarono da Havila fino a Shur, ֲא ֶשׁר ַעל־ ְפּ ֵני ashèr àl- pɵnè[ch’èdifronte]all’ִמְצָרִים Mitzràim[Egitto],andandoversol’Assiria.Eglisi stabilì ַעל־ ְפּ ֵני àl-pɵnè [di faccia a] ָכל־ ֶא ָחיו chol-ach̠ àv [tutti i suoi fratelli].

Parashah 6 תּוֹ ְל ֹדת tolɵdòt [discendenti, generazioni] Capitolo 25:19 al cap. 28:9.

ְוֵאֶלּהתּוְֹלֹדתִיְצָחק ֶבּן־ַאְבָרָהם ַאְבָרָהםהוִֹליד ֶאת־ִיְצָחק׃ tolɵdòt [discendenti, generazioni, posterità] di תּוֹ ְל ֹדתvɵèlleh [E questi] sono i ְו ֵא ֶלּה 25:19

הוֹ ִליד Avrahàm ַא ְב ָר ָהם .Avrahàm ַא ְב ָר ָהם ben [figlio] di ֶבּן ,]Itz’ch̠ àk [Isacco ִי ְצ ָחק holìd [generò] ִי ְצ ָחק Itz’ch̠ àk [Isacco];

ַוְיִהיִיְצָחק ֶבּן־ַאְרָבִּעים ָשָׁנה ְבַּקְחתּוֹ ֶאת־ִרְבָקה ַבּת־ְבּתוֵּאל ָהֲאַרִמּי ִמַפַּדּן ֲאָרם ֲאחוֹת ָלָבן ָה ֲא ַר ִמּ י ל וֹ ְל ִא ָשּׁ ה ׃

ben-ar’baìm [figlio di ֶבּן־ ַא ְר ָבּ ִעים ]Itz’ch̠ àk [Isacco ִי ְצ ָחק ]vay’hì [E fu – era ַו ְי ִהי 25:20 quaranta] ָשׁ ָנה shanah [anno] di quarant’anni quando prese ְל ִא ָשּׁה lɵìsshah [per moglie] ֲאחוֹת ,bat [figlia] di Bethuel, l’Arameo di Paddan-Aram ַבּת ,]Riv’kah [Rebecca ִר ְב ָקה ach̠ òt [sorella] di ָל ָבן Lavàn [Labano], l’Arameo.

ַו ֶיּ ְע ַתּר ִי ְצ ָחק ַליהוה ְל ֹנ ַכח ִא ְשׁתּוֹ ִכּי ֲע ָק ָרה ִהוא ַו ֵיּ ָע ֶתר לוֹ יהוה ַו ַתּ ַהר ִר ְב ָקה ִא ְשׁתּוֹ׃ ishtò [sua ִא ְשׁתּוֹ laYahweh [a Yahweh] per ַליהוה Itz’ch̠ àk [Isacco] pregò ִי ְצ ָחק 25:21 ִא ְשׁתּוֹ ,]Riv’kah [Rebeccaִר ְב ָקה Yahweh l’esaudì, e יהוה .moglie], perch’ella era sterile ishtò [sua moglie], ַו ַתּ ַהר vattahar [concepì – e rimasse incinta].

ַו ִיּ ְת ֹר ֲצצוּ ַה ָבּ ִנים ְבּ ִק ְר ָבּהּ ַותּ ֹא ֶמר ִאם־ ֵכּן ָל ָמּה ֶזּה ָא ֹנ ִכי ַו ֵתּ ֶל􏰂 ִל ְד ֹרשׁ ֶאת־יהוה׃ 25:22 E i bambini si urtavano nel suo seno; ַותֹּא ֶמר vattòmer [ed ella disse]: ‘Se così è, et-Yahweh ֶאת־יהוה vattelèch [E andò] a consultare ַו ֵתּ ֶל􏰂 ‘?lammah [Perché] vivo ָל ָמּה [Yahweh].

ַויּ ֹא ֶמר יהוה ָלהּ ְשׁ ֵני ֹג ִיים ְבּ ִב ְט ֵנ􏰂 וּ ְשׁ ֵני ְל ֻא ִמּים ִמ ֵמּ ַע ִי􏰂 ִי ָפּ ֵרדוּ וּ ְל ֹאם ִמ ְל ֹאם ֶי ֱא ָמץ ְו ַרב ַי ֲע ֹבד ָצ ִעיר׃

25:23EיהוהYahwehledisse:’ְשֵׁני shɵnè[due]nazionisononeltuoseno,וְּשֵׁניush’né [e due] popoli separati usciranno dalle tue viscere. Uno dei due popoli sarà più forte dell’altro, e il maggiore servirà il minore’.

ַוִיְּמְלאוּ ָיֶמיָה ָלֶלֶדתְוִהֵנּהתוִֹמם ְבִּבְטָנהּ׃

25:24 E quando venne per lei il tempo ָל ֶל ֶדת laledet [per partorire], ְו ִה ֵנּה vɵhinneh [ed ecco] ch’ella aveva due gemelli nel seno.

ַו ֵיּ ֵצא ָה ִראשׁוֹן ַא ְדמוֹ ִני ֻכּלּוֹ ְכּ ַא ֶדּ ֶרת ֵשׂ ָער ַו ִיּ ְק ְראוּ ְשׁמוֹ ֵע ָשׂו׃ vayetzè harishon [E il primo che uscì] era rosso, e tutto quanto ַו ֵיּ ֵצא ָה ִראשׁוֹן 25:25

come un mantello di pelo; e gli fu posto ְשׁמוֹ shɵmò [nome di lui] ֵע ָשׂו Esàw [Esaù].

ְו ַא ֲח ֵרי־ ֵכן ָי ָצא ָא ִחיו ְו ָידוֹ ֹא ֶח ֶזת ַבּ ֲע ֵקב ֵע ָשׂו ַו ִיּ ְק ָרא ְשׁמוֹ ַי ֲע ֹקב ְו ִי ְצ ָחק ֶבּן־ ִשׁ ִשּׁים ָשׁ ָנה ְבּ ֶל ֶדת ֹא ָתם׃

ach̠ iv [suo fratello], che ָא ִחיו Vɵach̠ are-chèn [E dopo questo] uscì il ְו ַא ֲח ֵרי־ ֵכן 25:26 ְשׁמוֹVayyikrà [e chiamò] il ַו ִיּ ְק ָרא ;]Esàw [Esaù ֵע ָשׂו con la mano teneva il calcagno di ֶבּן־ ִשׁ ִשּׁים]Itz’ch̠ àk [Isacco ִי ְצ ָחק Ya’akòv [Giacobbe]. Or ַי ֲע ֹקב ]shɵmò [nome di lui ben-shisshìm [figlio-sessanta] ָשׁ ָנה shanah [anno] era in età di sessant’anni quando
.Riv’kah [Rebecca] li partorì ִר ְב ָקה

ַו ִיּ ְג ְדּלוּ ַה ְנּ ָע ִרים ַו ְי ִהי ֵע ָשׂו ִאישׁ ֹי ֵד ַע ַצ ִיד ִאישׁ ָשׂ ֶדה ְו ַי ֲע ֹקב ִאישׁ ָתּם ֹי ֵשׁב ֹא ָה ִלים׃ 25:27 I ragazzi crebbero, ַו ְי ִהי vay’hì [E fu- divenne] ֵע ָשׂו Esàw [Esaù] un uomo
e s p e r t o i n ַצ ִי ד t z a i d [ c a c c i a ] , u n u o m o d i c a m p a g n a , e ַי ֲע ֹק ב Y a ’ a k ò v [ G i a c o b b e ] u n uomo tranquillo, che ֹי ֵשׁב yoshev [risiedeva-abitava] nelle tende.

ַו ֶיּ ֱא ַהב ִי ְצ ָחק ֶאת־ ֵע ָשׂו ִכּי־ ַצ ִיד ְבּ ִפיו ְו ִר ְב ָקה ֹא ֶה ֶבת ֶאת־ ַי ֲע ֹקב׃ Esàw [Esaù], perché ֵע ָשׂו Itz’ch̠ àk [Isacco] a ִי ְצ ָחק ]Vaye’ehàv [Ed amò ַו ֶיּ ֱא ַהב 25:28

la cacciagione ְבּ ִפיו bɵpìv [nella sua bocca – era di suo gusto]; e ִר ְב ָקה Riv’kah [Rebecca] .]et-Ya’akòv [Giacobbe ֶאת־ ַי ֲע ֹקב ]ohevet [amava ֹא ֶה ֶבת

ַו ָיּ ֶזד ַי ֲע ֹקב ָנ ִזיד ַו ָיּבֹא ֵע ָשׂו ִמן־ ַה ָשּׂ ֶדה ְוהוּא ָע ֵיף׃ 25:29 Or come ַי ֲע ֹקב Ya’akòv [Giacobbe] s’era fatto cuocere una minestra, ֵע ָשׂו Esàw

[Esaù] ַו ָיּבֹא vaiyavò [Ed entrò – e giunse] dai campi, ְוהוּא vɵhù [ed egli] era tutto stanco.

ַו יּ ֹ א ֶמ ר ֵע ָשׂ ו ֶא ל ־ ַי ֲע ֹק ב ַה ְל ִע י ֵט ִנ י ָנ א ִמ ן ־ ָה ָא ֹד ם ָה ָא ֹד ם ַה ֶזּ ה ִכּ י ָע ֵי ף ָא ֹנ ִכ י ַע ל ־ ֵכּ ן ָק ָר א ־ ְשׁ מ וֹ ֱא ד וֹ ם ׃ 25:30 Ed ֵע ָשׂו Esàw [Esaù] disse a ַי ֲע ֹקב Ya’akòv [Giacobbe]: ‘Deh, dammi da mangiare un po’ di cotesta minestra rossa; perché sono stanco’. ַעל־ ֵכּן al-kèn [Perciò – Per questo] fu ָק ָרא־ ְשׁמוֹ karà-shɵmò [chiamato il suo nome] Edom.

ַו יּ ֹ א ֶמ ר ַי ֲע ֹק ב ִמ ְכ ָר ה ַכ יּ וֹ ם ֶא ת ־ ְבּ ֹכ ָר ְת 􏰀 ִל י ׃

25:31 E ַי ֲע ֹקב Ya’akòv [Giacobbe] gli rispose: ‘Vendimi prima di tutto ֶאת־ ְבּ ֹכ ָר ְת􏰀 et- bɵchoratɵchà [la tua primogenitura]’.

ַויּ ֹא ֶמר ֵע ָשׂו ִה ֵנּה ָא ֹנ ִכי הוֹ ֵל􏰂 ָלמוּת ְו ָל ָמּה־ ֶזּה ִלי ְבּ ֹכ ָרה׃

25:32 Ed ֵע ָשׂו Esàw [Esaù] disse: ‘ ִה ֵנּה hinneh [Ecco] io sto ָלמוּת lamùt [per morire]; che mi giova la ְבּ ֹכ ָרה bɵchorah [primogenitura]?’

ַויּ ֹא ֶמר ַי ֲע ֹקב ִה ָשּׁ ְב ָעה ִלּי ַכּיּוֹם ַו ִיּ ָשּׁ ַבע לוֹ ַו ִיּ ְמ ֹכּר ֶאת־ ְבּ ֹכ ָרתוֹ ְל ַי ֲע ֹקב׃ 25:33 E ַי ֲע ֹקב Ya’akòv [Giacobbe] disse: ‘Prima, giuramelo’. Ed ֵע ָשׂו Esàw [Esaù]

glielo giurò, e vendé ֶאת־ ְבּ ֹכ ָרתוֹ et–bɵchoratò [la sua primogenitura] a ַי ֲע ֹקב Ya’akòv [Giacobbe].

ְו ַי ֲע ֹקב ָנ ַתן ְל ֵע ָשׂו ֶל ֶחם וּ ְנ ִזיד ֲע ָד ִשׁים ַויּ ֹא ַכל ַו ֵיּ ְשׁ ְתּ ַו ָיּ ָקם ַו ֵיּ ַל􏰂 ַו ִיּ ֶבז ֵע ָשׂו ֶאת־ ַה ְבּ ֹכ ָרה׃ ֶל ֶחם Esàw [Esaù] del ֵע ָשׂו natàn [diede] a ָנ ַתן ]Ya’akòv [Giacobbe ַי ֲע ֹקב E 25:34
lèch̠ em [pane] e della minestra di lenticchie. Ed egli mangiò e bevve; ַו ָיּ ָקם vaya’kòm ֶאת־ ַה ְבּ ֹכ ָרהEsàw [Esaù] sprezzò ֵע ָשׂו vayyelach [e se ne andò]. Così ַו ֵיּ ַל􏰂 ,]poi si levò[ et-habɵchorah [la primogenitura].

TRADUZIONE

Morte di Abramo e genealogia

25Abramo prese un’altra moglie, che aveva nome Keturà. Ella gli partorì Zimran, Ioksan, Medan, Madian, Isbak e Suach. Ioksan generò Saba e Dedan, e i figli di Dedan furono gli Assurìm, i Letusìm e i Leummìm. I figli di Madian furono Efa, Efer, Enoc, Abidà ed Eldaà. Tutti questi sono i figli di Keturà.
Abramo diede tutti i suoi beni a Isacco. Invece ai figli delle concubine, che aveva avuto, Abramo fece doni e, mentre era ancora in vita, li licenziò, mandandoli lontano da Isacco suo figlio, verso il levante, nella regione orientale.
L’intera durata della vita di Abramo fu di centosettantacinque anni. Poi Abramo spirò e morì in felice canizie, vecchio e sazio di giorni, e si riunì ai suoi antenati. Lo seppellirono i suoi figli, Isacco e Ismaele, nella caverna di Macpela, nel campo di Efron, figlio di Socar, l’Ittita, di fronte a Mamre. 10 È appunto il campo che Abramo aveva comprato dagli Ittiti: ivi furono sepolti Abramo e sua moglie Sara. 11 Dopo la morte di Abramo, Dio benedisse il figlio di lui Isacco e Isacco abitò presso il pozzo di Lacai-Roì.
12 Questa è la discendenza di Ismaele, figlio di Abramo, che gli aveva partorito Agar l’Egiziana, schiava di Sara. 13 Questi sono i nomi dei figli d’Ismaele, con il loro elenco in ordine di generazione: il primogenito di Ismaele è Nebaiòt, poi Kedar, Adbeèl, Mibsam, 14Misma, Duma, Massa, 15 Adad, Tema, Ietur, Nafis e Kedma. 16 Questi sono i figli di Ismaele e questi sono i loro nomi secondo i loro recinti e accampamenti. Sono i dodici prìncipi delle rispettive tribù. 17 La durata della vita di Ismaele fu di centotrentasette anni; poi spirò e si riunì ai suoi antenati. 18 Egli abitò da Avìla fino a Sur, che è lungo il confine dell’Egitto in direzione di Assur. Egli si era stabilito di fronte a tutti i suoi fratelli.


ISACCO E I SUOI FIGLI ESAÙ E GIACOBBE

Esaù e Giacobbe

19 Questa è la discendenza di Isacco, figlio di Abramo. Abramo aveva generato Isacco. 20Isacco aveva quarant’anni quando si prese in moglie Rebecca, figlia di Betuèl l’Arameo, da Paddan-Aram, e sorella di Làbano, l’Arameo. 21 Isacco supplicò il Signore per sua moglie, perché ella era sterile e il Signore lo esaudì, così che sua moglie Rebecca divenne incinta.22 Ora i figli si urtavano nel suo seno ed ella esclamò: “Se è così, che cosa mi sta accadendo?”. Andò a consultare il Signore. 23 Il Signore le rispose:

“Due nazioni sono nel tuo seno
e due popoli dal tuo grembo si divideranno;
un popolo sarà più forte dell’altro
e il maggiore servirà il più piccolo”.

24 Quando poi si compì per lei il tempo di partorire, ecco, due gemelli erano nel suo grembo. 25 Uscì il primo, rossiccio e tutto come un mantello di pelo, e fu chiamato Esaù.26 Subito dopo, uscì il fratello e teneva in mano il calcagno di Esaù; fu chiamato Giacobbe. Isacco aveva sessant’anni quando essi nacquero.
27 I fanciulli crebbero ed Esaù divenne abile nella caccia, un uomo della steppa, mentre Giacobbe era un uomo tranquillo, che dimorava sotto le tende. 28 Isacco prediligeva Esaù, perché la cacciagione era di suo gusto, mentre Rebecca prediligeva Giacobbe.
29 Una volta Giacobbe aveva cotto una minestra; Esaù arrivò dalla campagna ed era sfinito. 30 Disse a Giacobbe: “Lasciami mangiare un po’ di questa minestra rossa, perché io sono sfinito”. Per questo fu chiamato Edom. 31 Giacobbe disse: “Vendimi subito la tua primogenitura”. 32 Rispose Esaù: “Ecco, sto morendo: a che mi serve allora la primogenitura?”. 33 Giacobbe allora disse: “Giuramelo subito”. Quegli lo giurò e vendette la primogenitura a Giacobbe. 34 Giacobbe diede a Esaù il pane e la minestra di lenticchie; questi mangiò e bevve, poi si alzò e se ne andò. A tal punto Esaù aveva disprezzato la primogenitura.

NOTE

25,12-18 Questa genealogia è dedicata a Ismaele, anche lui capostipite di dodici tribù. A lui si fanno risalire tribù arabiche (vedi anche 25,1-4).

25,19-34 Il conflitto tra i due fratelli anticipa quello dei due popoli che da loro discenderanno: gli Edomiti da Esaù/Edom e gli Israeliti da Giacobbe/Israele.

25,21 era sterile: Rebecca è sterile come Sara. L’insistenza sulla sterilità mette in risalto l’intervento divino nella nascita dei patriarchi.

25,30 Edom: significa “rosso”.

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GENESI 24

Bɵreshìt 24

ְו ַאְבָר ָהם ָז ֵקן ָבּא ַבָּיִּמים ַויהוה ֵבַּר􏰂 ֶאת־ ַאְבָר ָהם ַבּ ֹכּל׃ 24:1 Or ַא ְב ָר ָהם Avrahàm era ָז ֵקן zakèn [vecchio] ָבּא ַבּ ָיּ ִמים bà bayamìm [avendo

arrivatoneigiorni-ed’etàavanzata];eיהוהYahwehavevaֵבַּר􏰂 beràch[benedetto] .Avrahàm in ogni cosa ַא ְב ָר ָהם

ַויֹּא ֶמר ַא ְב ָר ָהם ֶאל־ ַע ְבדּוֹ ְז ַקן ֵבּיתוֹ ַה ֹמּ ֵשׁל ְבּ ָכל־ ֲא ֶשׁר־לוֹ ִשׂים־ ָנא ָי ְד􏰀 ַתּ ַחת ְי ֵר ִכי׃

24:2 E ַא ְב ָר ָהם Avrahàm disse al più antico servo di casa sua, che aveva il governo di tutti i suoi beni: ‘Deh, metti la tua mano sotto la mia coscia;

ְו ַא ְשׁ ִבּי ֲע􏰀 ַבּיהוה ֱא􏰁 ֵהי ַה ָשּׁ ַמ ִים ֵוא􏰁 ֵהי ָה ָא ֶרץ ֲא ֶשׁר ל ֹא־ ִת ַקּח ִא ָשּׁה ִל ְב ִני ִמ ְבּנוֹת ַה ְכּ ַנ ֲע ִני ֲא ֶשׁר ָא ֹנ ִכי יוֹ ֵשׁב ְבּ ִק ְרבּוֹ׃

Elohè ֱא􏰁 ֵהי ,Yahweh יהוה vɵash’biàch̠ a [e io ti farò giurare] per ְו ַא ְשׁ ִבּי ֲע􏰀 24:3 [Elohìm dei] ַה ָשּׁ ַמ ִים hashamàim [i cieli] ֵוא􏰁 ֵהי velohè [ed Elohìm di] ָה ָא ֶרץ ha’àretz [la terra], che tu ל ֹא־ ִת ַקּח lò-tikkàch̠ [non prenderai] per moglie ִל ְב ִני libɵnì [al mio figlio] ִמ ְבּנוֹת mibɵnòt [delle figlie] de’ Cananei, ֲא ֶשׁר ָא ֹנ ִכי יוֹ ֵשׁב ְבּ ִק ְרבּוֹ ashèr anochì yòshev bɵkirbò [fra i quali io dimoro];

ִכּי ֶאל־ ַא ְר ִצי ְו ֶאל־מוֹ ַל ְד ִתּי ֵתּ ֵל􏰂 ְו ָל ַק ְח ָתּ ִא ָשּׁה ִל ְב ִני ְל ִי ְצ ָחק׃ 24:4 ma andrai ֶאל־ ַא ְר ִצי el-ar’tzì [a mia terra] e al mio parentado, e vi prenderai una

moglie ִל ְב ִני libɵnì [per mio figlio], per ִי ְצ ָחק Itz’ch̠ àk [Isacco]’.

ַויֹּאֶמר ֵאָליו ָהֶעֶבדאוַּלילֹא־תֹאֶבה ָהִאָשּׁה ָלֶלֶכת ַאֲחַרי ֶאל־ָהָאֶרץ ַהזֹּאת ֶהָהֵשׁב ָאִשׁיב ֶאת־ִבְּנ􏰀 ֶאל־ ָה ָא ֶרץ ֲא ֶשׁר־ ָי ָצא ָת ִמ ָשּׁם׃

]lò [non ל ֹא vayòmer elàv [e disse a lui] il servo: ‘Forse quella donna ַויּ ֹא ֶמר ֵא ָליו 24:5 vorrà seguirmi in questa ֶאל־ ָה ָא ֶרץ el-ha’àretz [a-la terra]; dovrò io allora ricondurre ‘?el-ha’àretz[a-laterra]dondetuseiuscito ֶאל־ָהָאֶרץ]et-binchà[iltuofiglio ֶאת־ִבְּנ􏰀

ַויֹּא ֶמר ֵא ָליו ַא ְב ָר ָהם ִה ָשּׁ ֶמר ְל􏰀 ֶפּן־ ָתּ ִשׁיב ֶאת־ ְבּ ִני ָשׁ ָמּה׃ hisshamer ִה ָשּׁ ֶמר ְלך :Avrahàm ַא ְב ָר ָהם]vayòmer elàv [E gli disse ַויֹּא ֶמר ֵא ָליו 24:6

lɵchà [stai attento – guardati bene] dal ricondurre colà il ֶאת־ ְבּ ִני et-bɵnì [mio figlio]!

יהוה ֱא􏰁 ֵהי ַה ָשּׁ ַמ ִים ֲא ֶשׁר ְל ָק ַח ִני ִמ ֵבּית ָא ִבי וּ ֵמ ֶא ֶרץ מוֹ ַל ְד ִתּי ַו ֲא ֶשׁר ִדּ ֶבּר־ ִלי ַו ֲא ֶשׁר ִנ ְשׁ ַבּע־ ִלי ֵל א ֹמ ר ְל ַז ְר ֲע 􏰀 ֶא ֵתּ ן ֶא ת ־ ָה ָא ֶר ץ ַה זּ ֹא ת ה וּ א ִי ְשׁ ַל ח ַמ ְל ָא כ וֹ ְל ָפ ֶנ י 􏰀 ְו ָל ַק ְח ָתּ ִא ָשּׁ ה ִל ְב ִנ י ִמ ָשּׁ ם ׃

hashamàim [i cieli], mi prese ַה ָשּׁ ַמ ִים ]Elohè [Elohìm dei ֱא􏰁 ֵהי ,Yahweh יהוה 24:7 dalla casa di ָא ִבי àvi [mio padre] וּ ֵמ ֶא ֶרץ ume’èretz [e dalla terra] di mia parentela
]nishbà-lì [mi giurò ִנ ְשׁ ַבּע־ ִלי va’ashèr ddibèr-lì [e che mi parlò] e che ַו ֲא ֶשׁר ִדּ ֶבּר־ ִלי ,]et-ha’àretz [terra ֶאת־ ָה ָא ֶרץ lemòr [dicendo]: – Io darò alla tua progenie questa ֵלא ֹמר

egli stesso manderà ַמ ְל ָאכוֹ mal’àcho [il suo angelo] ְל ָפ ֶני􏰀 lɵfanècha [davanti a te], e tu prenderaidilàunamoglieִלְבִני libɵnì[permiofiglio].

ְו ִאם־לֹא תֹא ֶבה ָה ִא ָשּׁה ָל ֶל ֶכת ַא ֲח ֶרי􏰀 ְו ִנ ִקּי ָת ִמ ְשּׁ ֻב ָע ִתי זֹאת ַרק ֶאת־ ְבּ ִני לֹא ָת ֵשׁב ָשׁ ָמּה׃24:8Eseladonnaלֹאlò[non]vorràandareַא ֲחֶרי􏰀 ach̠arècha[dietrodite-seguirti], allora sarai sciolto da זֹאת zòt [questo] giuramento che ti faccio fare; soltanto, לֹא lò [non]ricondurrecolàֶאת־ְבִּני et-bɵnì[ilmiofiglio]’.

ַוָיּ ֶשׂם ָהֶעֶבד ֶאת־ָידוֹ ַתַּחת ֶיֶר􏰂 ַאְבָרָהם ֲאֹדָניו ַוִיּ ָשַּׁבעלוֹ ַעל־ַהָדָּבר ַהֶזּה׃ 24:9 E il servo pose la mano sotto la coscia di ַא ְב ָר ָהם Avrahàm ֲא ֹד ָניו adonàv [suo

signore],egligiuròaluiַעל־ַהָדָּבר ַהֶזּה àl-haddavàrhazzeh[suquestaparola-cosa].

ַו ִיּ ַקּח ָה ֶע ֶבד ֲע ָשׂ ָרה ְג ַמ ִלּים ִמ ְגּ ַמ ֵלּי ֲא ֹד ָניו ַו ֵיּ ֶל􏰂 ְו ָכל־טוּב ֲא ֹד ָניו ְבּ ָידוֹ ַו ָיּ ָקם ַו ֵיּ ֶל􏰂 ֶאל־ ֲא ַרם ַנ ֲה ַר ִים ֶאל־ ִעיר ָנחוֹר׃

asarah [dieci] cammelli fra i cammelli ֲע ָשׂ ָרה vayikkàch̠ [E prese] il servo ַו ִיּ ַקּח 24:10 delֲאֹדָניו adonàv[suosignore],esipartì,avendoasuadisposizionetuttiibenidel

adonàv[suosignore];e,messosiinviaggio,andòinMesopotamia,allacittàdi ֲאֹדָניו Nahor.

ַוַיְּבֵר􏰂 ַהְגַּמִלּים ִמחוּץ ָלִעיר ֶאל־ְבֵּאר ַהָמִּים ְלֵעת ֶעֶרב ְלֵעת ֵצאת ַה ֹשֲּׁאֹבת׃ 24:11 E, fatti riposare sulle ginocchia i cammelli fuori della città presso a un pozzo èrev[sera],all’oraincuiledonneesconoadֶעֶרבhammàim[diacque],verso ַהָמִּים attinger acqua, disse:

ַויֹּאַמריהוה ֱא􏰁ֵהי ֲאֹדִני ַאְבָרָהם ַהְקֵרה־ָנא ְלָפַני ַהיּוֹם ַו ֲע ֵשׂה־ֶחֶסד ִעם ֲאֹדִני ַאְבָרָהם׃ adonì ֲא ֹד ִני ]Elohè [Elohìm di ֱא􏰁 ֵהי ,Yahweh יהוה :]Vayomàr [e disse ַויֹּא ַמר 24:12 [mio signore] ַא ְב ָר ָהם Avrahàm, deh, ti prego fa che accada ְל ָפ ַני lɵfanài [davanti a me] ִעם ֲא ֹד ִני ]va’àseh-ch̠ èsed [e usa cortesia-benignità ַו ֲע ֵשׂה־ ֶח ֶסד ]hayòm [oggi ַהיּוֹם
!]ìm adonì Avrahàm [verso con Avrahàm mio signore ַא ְב ָר ָהם

ִה ֵנּה ָאֹנ ִכי ִנ ָצּב ַעל־ ֵעין ַה ָמִּים וּ ְבנוֹת ַאְנ ֵשׁי ָה ִעיר ֹי ְצ ֹאת ִל ְשׁ ֹאב ָמִים׃ ַא ְנ ֵשׁי hinneh [Ecco], io sto qui presso a questa sorgente; e le figlie degli ִה ֵנּה 24:13

anshè[uominidi]dellacittàuscirannoadattingerָמִים màim[acqua].

ְוָהָיה ַהַנֲּעָר ֲאֶשׁר ֹאַמר ֵאֶליָה ַהִטּי־ָנא ַכֵדּ􏰂ְוֶאְשֶׁתּהְוָאְמָרה ְשֵׁתהְוַגם־ְגַּמֶלּי􏰀 ַאְשֶׁקה ֹאָתהּ ֹהַכְחָתּ ְלַעְבְדּ􏰀 ְלִיְצָחקוָּבהּ ֵאַדע ִכּי־ָעִשׂיָת ֶחֶסד ִעם־ֲאֹדִני׃

hannarà [la donzella – donna di giovane età non ַה ַנּ ֲע ָר vɵhayah [e sia] che ְו ָה ָיה 24:14 maritata] alla quale dirò: – Deh, abbassa la tua brocca perch’io beva – e che mi risponderà – Bevi, e darò da bere anche ai tuoi cammelli, – sia quella che tu hai ִכּי־ ָע ִשׂי ָת ֶח ֶסדItz’ch̠ àk [Isacco]. E da questo comprenderò ִי ְצ ָחק destinata al tuo servo

kì-àsìta ch̠ èsed [che tu hai usato benignità] ִעם־ ֲא ֹד ִני ìm-adonì [verso con il mio signore]’.

ַוְיִהי־הוּא ֶטֶרם ִכָּלּה ְלַדֵבּרְוִהֵנּהִרְבָקהֹיֵצאת ֲאֶשׁריְֻלָּדה ִלְבתוֵּאל ֶבּן־ִמְלָכּה ֵאֶשׁת ָנחוֹר ֲאִחי ַאְבָרָהםְוַכָדּהּ ַעל־ִשְׁכָמהּ׃

vɵhinneh [ed ecco] uscire ְו ִה ֵנּה ,tèrem [non ancora] aveva finito di parlare ֶט ֶרם 24:15 con la sua brocca sulla spalla, ִר ְב ָקה Riv’kah [Rebecca], ַבּת bat [figlia] di Bethuel figlio di Milca, moglie di Nahor ָאח àch̠ [fratello] di ַא ְב ָר ָהם Avrahàm.

ְו ַה ַנּ ֲע ָר ֹט ַבת ַמ ְר ֶאה ְמ ֹאד ְבּתוּ ָלה ְו ִאישׁ ל ֹא ְי ָד ָעהּ ַו ֵתּ ֶרד ָה ַע ְי ָנה ַו ְתּ ַמ ֵלּא ַכ ָדּהּ ַו ָתּ ַעל׃ tovàt [bella] di ֹט ַבת ]mɵòd [molto-assai ְמ ֹאד vɵhannarà [E la donzella] era ְו ַה ַנּ ֲע ָר 24:16

lò[non]l’avevaלֹאbɵtùlah[vergine]euomoalcuno ְבּתוָּלה,]mar’eh[aspetto ַמְרֶאה conosciuta. Ella scese alla sorgente, empì la brocca, e risalì.

ַוָיָּרץ ָהֶעֶבד ִלְקָראָתהּ ַויֹּאֶמר ַהְגִמיִאיִני ָנא ְמַעט־ַמִים ִמַכֵּדּ􏰂׃

24:17 E il servo le corse incontro, e le disse: ‘Deh, dammi a bere un po’ di ַמ ִים màim [acqua] della tua brocca’.

ַותֹּאֶמר ְשֵׁתה ֲאֹדִניַוְתַּמֵהרַוֹתֶּרד ַכָּדּהּ ַעל־ָיָדהַּוַתְּשֵׁקהוּ׃

24:18Edellarispose:’Bevi,ֲאֹדִני adonì[miosignore]’;es’affrettòacalarsilabrocca sulla mano, e gli diè da bere.

ַו ְתּ ַכ ל ְל ַה ְשׁ ֹק ת וֹ ַו תּ ֹ א ֶמ ר ַגּ ם ִל ְג ַמ ֶלּ י 􏰀 ֶא ְשׁ ָא ב ַע ד ִא ם ־ ִכּ לּ וּ ִל ְשׁ ֹתּ ת ׃

24:19 E quand’ebbe finito di dargli da bere, ַותֹּא ֶמר vattòmer [e disse]: ‘Io ne attingerò anche per i tuoi cammelli finché abbian bevuto a sufficienza’.

ַוְתַּמֵהר ַוְתַּער ַכָּדּהּ ֶאל־ַה ֹשֶּׁקת ַוָתָּרץעוֹד ֶאל־ַהְבֵּאר ִלְשֹׁאב ַוִתְּשַׁאב ְלָכל־ְגַּמָלּיו׃

24:20 E presto vuotò la sua brocca nell’abbeveratoio, corse עוֹד òd [ancora – di nuovo] al pozzo ad attingere acqua, e ne attinse per tutti i cammelli di lui.

ְו ָה ִאישׁ ִמ ְשׁ ָתּ ֵאה ָלהּ ַמ ֲחִרישׁ ָל ַד ַעת ַה ִה ְצ ִלי ַח יהוה ַדְּרכּוֹ ִאם־לֹא׃ ,]mach̠arish[insilenzioַמֲחִרישׁvɵhaìsh[Equell’uomo]lacontemplavaְוָהִאישׁ24:21

ddar’kò [la sua ַדּ ְרכּוֹ Yahweh avesse fatto prosperare יהוה ladà’at [per sapere] se ָל ַד ַעת via – il suo viaggio] ִאם־לֹא ìm-lò [si o no].

ַו ְי ִהי ַכּ ֲא ֶשׁר ִכּלּוּ ַה ְגּ ַמ ִלּים ִל ְשׁתּוֹת ַו ִיּ ַקּח ָה ִאישׁ ֶנ ֶזם ָז ָהב ֶבּ ַקע ִמ ְשׁ ָקלוֹ וּ ְשׁ ֵני ְצ ִמי ִדים ַעל־ ָי ֶדי ָה ֲע ָשׂ ָר ה ָז ָה ב ִמ ְשׁ ָק ָל ם ׃

ַו ִיּ ַקּח vay’hì [E fu] quando i cammelli ebbero finito di bere, l’uomo ַו ְי ִהי 24:22 vayikkàch̠ [prese] un anello di ָז ָהב zahàv [oro] del peso di mezzo siclo, וּ ְשׁ ֵני ush’né [e

due] braccialetti del peso di ֲע ָשׂ ָרה asarah [dieci] sicli di ָז ָהב zahàv [oro], per i polsi di lei,

ַויֹּאֶמר ַבּת־ִמי ַאְתּ ַהִגּיִדי ָנא ִלי ֲהֵישׁ ֵבּית־ָאִבי􏰂 ָמקוֹם ָלנוּ ָלִלין׃ bat [figlia]? deh, dimmelo. V’è posto ַבּתVayòmer [E disse]: ‘Di chi sei ַויֹּא ֶמר 24:23

in casa di ָא ִבי􏰀 avìcha [tuo padre] per albergarci?’

ַותּ ֹא ֶמר ֵא ָליו ַבּת־ ְבּתוּ ֵאל ָא ֹנ ִכי ֶבּן־ ִמ ְל ָכּה ֲא ֶשׁר ָי ְל ָדה ְל ָנחוֹר׃ ben [figlio] di ֶבּן bat [figlia] di Bethuelַבּת vattòmer [E disse]: ‘Son ַותֹּא ֶמר 24:24

Milca, ch’ella ָי ְל ָדה yalɵdah [partorì] a Nahor’.

ַותֹּא ֶמר ֵא ָליו ַגּם־ ֶתּ ֶבן ַגּם־ ִמ ְספּוֹא ַרב ִע ָמּנוּ ַגּם־ ָמקוֹם ָללוּן׃ inmmànu [da con noi] strame e ִע ָמּנוּvattòmer [E disse] a lui: ‘C’è ַותֹּא ֶמר 24:25

foraggio ַרב ràv [assai], e anche posto da albergare’.
ַליהוה ]vayishttàch̠ u [e si postrò ַו ִיּ ְשׁ ַתּחוּ ,]vayìkkod [e s’inchinò ַו ִיּ ֹקּד E l’uomo 24:26

laYahweh [a Yahweh], ַויֹּא ֶמר vayòmer [e disse]:

ַו יּ ֹ א ֶמ ר ָבּ ר וּ 􏰂 י ה ו ה ֱא 􏰁 ֵה י ֲא ֹד ִנ י ַא ְב ָר ָה ם ֲא ֶשׁ ר ל ֹ א ־ ָע ַז ב ַח ְס דּ וֹ ַו ֲא ִמ תּ וֹ ֵמ ִע ם ֲא ֹד ִנ י ָא ֹנ ִכ י ַבּ ֶדּ ֶר 􏰂 ָנ ַח ִנ י יהוה ֵבּית ֲאֵחי ֲאֹדִני׃

ַא ְב ָר ָהם Elohìm] di ֱא􏰁 ִהים[ Elohè ֱא􏰁 ֵהי ,Yahweh יהוה ]barùch [Benedetto ָבּרוּ􏰂 ‘ 24:27 Avrahàmֲאֹדִני adonì[miosignore],cheלֹאlò[non]hacessatod’esserbenignoe fedeleversoilmiosignore!Quantoame,יהוהYahwehmihamessoַבֶּדֶּר􏰂 baddèrech [sullavia]dellacasadeiֲאֵחי ach̠e[fratelli]delֲאֹדִני adonì[miosignore]’.

ַו ָתּ ָר ץ ַה ַנּ ֲע ָר ַו ַתּ ֵגּ ד ְל ֵב י ת ִא ָמּ הּ ַכּ ְדּ ָב ִר י ם ָה ֵא ֶלּ ה ׃ 24:28 E ַה ַנּ ֲע ָר hannarà [la donzella – donna di giovane età non maritata] corse a raccontare

queste cose ְל ֵבית lɵvèt [alla casa] di ִא ָמּהּ immàh [sua madre].

וְּלִרְבָקה ָאחוְּשׁמוֹ ָלָבן ַוָיָּרץ ָלָבן ֶאל־ָהִאישׁ ַהחוָּצה ֶאל־ָהָעִין׃ 24:29 Or ִר ְב ָקה Riv’kah [Rebecca] aveva un ָאח àch̠ [fratello] וּ ְשׁמוֹ ush’mo [e il nome

di lui] ָל ָבן Lavàn [Labano]. E ָל ָבן Lavàn [Labano] corse fuori da quell’uomo alla sorgente.

ַוְיִהי ִכְּרֹאת ֶאת־ַהֶנֶּזםְוֶאת־ַהְצִּמִדים ַעל־ְיֵדי ֲאֹחתוֹוְּכָשְׁמעוֹ ֶאת־ִדְּבֵריִרְבָקה ֲאֹחתוֹ ֵלאֹמר ֹכּה־ ִדֶבּר ֵאַלי ָהִאישׁ ַוָיּבֹא ֶאל־ָהִאישְׁוִהֵנּה ֹעֵמד ַעל־ַהְגַּמִלּים ַעל־ָהָעִין׃

ֲא ֹחתוֹ vay’hì [E fu] Com’ebbe veduto l’anello e i braccialetti ai polsi di ַו ְי ִהי 24:30 ach̠ otò [sua sorella] ed ebbe udite ֶאת־ ִדּ ְב ֵרי et-divrè [le parole] di ִר ְב ָקה Riv’kah

ַו ִיּ ֹקּד ָה ִאישׁ ַו ִיּ ְשׁ ַתּחוּ ַליהוה׃

[Rebecca] ֲא ֹחתוֹ ach̠ otò [sua sorella] che diceva: ‘Quell’uomo ֵא ַלי elài [a me – mi] ha parlato così’, ַו ָיּבֹא vaiyavò [e venne] a quell’uomo, ְו ִה ֵנּה vɵhinneh [ed ecco] ch’egli se ne stava presso ai cammelli, vicino alla sorgente.

ַויּ ֹא ֶמר בּוֹא ְבּרוּ􏰂 יהוה ָל ָמּה ַת ֲע ֹמד ַבּחוּץ ְו ָא ֹנ ִכי ִפּ ִנּי ִתי ַה ַבּ ִית וּ ָמקוֹם ַל ְגּ ַמ ִלּים׃ ָל ָמּה !Yahweh יהוהbɵrùch [benedetto] da ְבּרוּ􏰂 ,]bò [Entra בּוֹא ‘ :E disse 24:31

lammah [perché] ַת ֲע ֹמד ta’amod [rimani] ַבּחוּץ bach̠ utz [fuori]? ְו ָא ֹנ ִכי vɵanochi [e io] ho preparato la casa e un luogo per i cammelli’.

ַו ָיּב ֹא ָה ִאישׁ ַה ַבּ ְי ָתה ַו ְי ַפ ַתּח ַה ְגּ ַמ ִלּים ַו ִיּ ֵתּן ֶתּ ֶבן וּ ִמ ְספּוֹא ַל ְגּ ַמ ִלּים וּ ַמ ִים ִל ְר ֹחץ ַר ְג ָליו ְו ַר ְג ֵלי ָה ֲא ָנ ִשׁים ֲא ֶשׁר ִאתּוֹ׃

vaiyavòhaìshhabaytah[L’uomoentròincasa],escaricòiַוָיּבֹא ָהִאישׁ ַהַבְּיָתה24:32 cammelli, diede strame e foraggio ai cammelli, e portò acqua per lavare i piedi a lui e a quelli ch’eran ִאתּוֹ ittò [con lui].

ַו ִיּי ֶשׂם ְל ָפ ָניו ֶל ֱא ֹכל ַויּ ֹא ֶמר ל ֹא ֹא ַכל ַעד ִאם־ ִדּ ַבּ ְר ִתּי ְדּ ָב ָרי ַויּ ֹא ֶמר ַדּ ֵבּר׃ 24:33 Poi gli fu posto ְל ָפ ָניו lɵfanàv [davanti a lui] da mangiare; ma egli disse: ‘ל ֹא lò

[non] mangerò finché ל ֹא lò [non] abbia fatto la mia ambasciata’. E l’altro disse: ‘ .’]dabèr [Parla – Dìַדּ ֵבּר

ַויֹּאַמר ֶעֶבד ַאְבָרָהם ָאֹנִכי׃ .Avrahàm ַא ְב ָר ָהם èved [servo] di ֶע ֶבד Vayomàr [e disse]: ‘Io sono ַויֹּא ַמר24:34

ַויהוה ֵבּ ַר􏰂 ֶאת־ ֲא ֹד ִני ְמ ֹאד ַו ִיּ ְג ָדּל ַו ִיּ ֶתּן־לוֹ צ ֹאן וּ ָב ָקר ְו ֶכ ֶסף ְו ָז ָהב ַו ֲע ָב ִדם וּ ְשׁ ָפ ֹחת וּ ְג ַמ ִלּים ַו ֲח ֹמִרים׃

-et ֶאת־ ֲא ֹד ִני ]mɵòd [molto – assai ְמ ֹאד ]beràch [ha benedetto ֵבּ ַר􏰂 Yahweh יהוה 24:35adonì[ilmiosignore],ch’èdivenutogrande;glihadatopecoreebuoi,ֶכֶּסף kèsef [argento] e ָז ָהב zahàv [oro], servi e serve, cammelli e asini.

ַוֵתֶּלד ָשָׂרה ֵאֶשׁת ֲאֹדִני ֵבן ַלאֹדִני ַאֲחֵריִזְקָנָתהַּוִיֶּתּן־לּוֹ ֶאת־ָכּל־ֲאֶשׁר־לוֹ׃ 24:36 Or ָשׂ ָרה Sarah, moglie del ֲא ֹד ִני adonì [mio signore], ha partorito nella sua

vecchiaiaunֵבּן ben[figlio]almiopadrone,cheglihadatotuttoquelchepossiede.

ַו ַיּ ְשׁ ִבּ ֵע ִני ֲא ֹד ִני ֵלא ֹמר ל ֹא־ ִת ַקּח ִא ָשּׁה ִל ְב ִני ִמ ְבּנוֹת ַה ְכּ ַנ ֲע ִני ֲא ֶשׁר ָא ֹנ ִכי ֹי ֵשׁב ְבּ ַא ְרצוֹ׃ לֹא־ ִת ַקּח:]lemòr [dicendo ֵלא ֹמר ,adonì [mio signore] m’ha fatto giurare ֲא ֹד ִני E il 24:37 lò-tikkàch̠ [non prenderai] come moglie ִל ְב ִני libɵnì [per mio figlio] alcuna delle figlie de’ Cananei, ָא ֹנ ִכי ֹי ֵשׁב ְבּ ַא ְרצוֹ anochì yoshev bɵar’tzò [nella terra de’ quali dimoro];

ִאם־לֹא ֶאל־ ֵבּית־ ָא ִבי ֵתּ ֵל􏰂 ְו ֶאל־ ִמ ְשׁ ַפּ ְח ִתּי ְו ָל ַק ְח ָתּ ִא ָשּׁה ִל ְב ִני׃

àvi [mio padre] e al mio parentado e ָא ִבי im-lò [ma] andrai alla casa di ִאם־לֹא 24:38 viprenderaiunamoglieִלְבִני libɵnì[permiofiglio].

ָוֹאַמר ֶאל־ֲאֹדִני ֻאַלילֹא־ֵתֵל􏰂 ָהִאָשּׁה ַאֲחָרי׃ – :]el-adonì [al mio signore – al mio padrone ֶאל־ ֲא ֹד ִני ]vaomar [E io dissi ָו ֹא ַמר – 24:39

Forse quella donna לֹא lò [non] mi vorrà seguire.

ַויּ ֹא ֶמר ֵא ָלי יהוה ֲא ֶשׁר־ ִה ְת ַה ַלּ ְכ ִתּי ְל ָפ ָניו ִי ְשׁ ַלח ַמ ְל ָאכוֹ ִא ָתּ􏰂 ְו ִה ְצ ִלי ַח ַדּ ְר ֶכּ􏰀 ְו ָל ַק ְח ָתּ ִא ָשּׁה ִל ְב ִני ִמִמְּשַׁפְּחִתּיוִּמֵבּית ָאִבי׃

lɵfanàv ְל ָפ ָניו ,Yahweh יהוה :]Vayòmer elài [Ed egli mi rispose ַויֹּא ֶמר ֵא ָלי 24:40 [davanti a lui – nel cospetto] del quale ho camminato, manderà ַמ ְל ָאכוֹ mal’àcho [il suo angelo] ִא ָתּ􏰂 ittàch [con te] e farà prosperare il tuo viaggio, e tu prenderai ִל ְב ִני libɵnì [al mio figlio] una moglie del mio parentado e della casa di ָא ִבי àvi [mio padre].

ָאז ִתָּנֶּקה ֵמָאָלִתי ִכּי ָתבוֹא ֶאל־ִמְשַׁפְּחִתּיְוִאם־לֹאִיְתּנוּ ָל􏰂ְוָהִייָת ָנִקי ֵמָאָלִתי׃ 24:41 Sarai sciolto dal giuramento che ti fo fare, quando sarai andato dal mio parentado; e, se ל ֹא lò [non] vorranno dartela, allora sarai sciolto dal giuramento che mi fai.

ָו ָאב ֹא ַהיּוֹם ֶאל־ ָה ָע ִין ָו ֹא ַמר יהוה ֱא􏰁 ֵהי ֲא ֹד ִני ַא ְב ָר ָהם ִאם־ ֶי ְשׁ􏰀־ ָנּא ַמ ְצ ִלי ַח ַדּ ְר ִכּי ֲא ֶשׁר ָא ֹנ ִכי ֹה ֵל􏰂 ָע ֶלי ָה׃

24:42 – E arrivando ַהיּוֹם hayòm [oggi] alla sorgente, ָו ֹא ַמר vaomar [e io dissi] – O Avrahàm, se ַא ְב ָר ָהם ]adonì [mio signore ֲא ֹד ִני ]Elohè [Elohìm del ֱא􏰁 ֵהי ,Yahweh יהוה pur ti piace far prosperare il viaggio che ho intrapreso,

ִה ֵנּ ה ָא ֹנ ִכ י ִנ ָצּ ב ַע ל ־ ֵע י ן ַה ָמּ ִי ם ְו ָה ָי ה ָה ַע ְל ָמ ה ַה ֹיּ ֵצ א ת ִל ְשׁ ֹא ב ְו ָא ַמ ְר ִתּ י ֵא ֶל י ָה ַה ְשׁ ִק י ִנ י ־ ָנ א ְמ ַע ט ־ ַמ ִי ם ִמ ַכּ ֵדּ􏰂׃ vɵhayah [e sia] che ְו ָה ָיה ;hinneh [Ecco], io mi fermo presso questa sorgenteִה ֵנּה 24:43

,ha’almah [la giovane] che uscirà ad attinger acqua, alla quale dirò: – Deh ָה ַע ְל ָמהdammidabereunpo’diַמִים màim[acqua]dellatuabrocca,

ְו ָא ְמ ָרה ֵא ַלי ַגּם־ ַא ָתּה ְשׁ ֵתה ְו ַגם ִל ְג ַמ ֶלּי􏰀 ֶא ְשׁ ָאב ִהוא ָה ִא ָשּׁה ֲא ֶשׁר־ ֹה ִכי ַח יהוה ְל ֶבן־ ֲא ֹד ִני׃ 24:44 e dirà ֵא ַלי elài [a me – mi]: Bevi ַגּם־ ַא ָתּה gàm-attah [anche tu], e ne attingerò

ancheperituoicammelli,-sialamogliecheיהוהYahwehhadestinataalֶבּן ben [figlio] del mio signore.

ֲא ִני ֶט ֶרם ֲא ַכ ֶלּה ְל ַד ֵבּר ֶאל־ ִל ִבּי ְו ִה ֵנּה ִר ְב ָקה ֹי ֵצאת ְו ַכ ָדּהּ ַעל־ ִשׁ ְכ ָמהּ ַו ֵתּ ֶרד ָה ַע ְי ָנה ַו ִתּ ְשׁ ָאב ָו ֹא ַמר ֵא ֶל י ָה ַה ְשׁ ִק י ִנ י ָנ א ׃

24:45 E avanti che avessi finito di parlare in cuor mio, ְו ִה ֵנּה vɵhinneh [ed ecco] uscir fuori ִר ְב ָקה Riv’kah [Rebecca] con la sua brocca sulla spalla, scendere alla sorgente e attinger l’acqua. ָו ֹא ַמר ֵא ֶלי ָה vaomar elèha [Allora io le ho detto]:

ַוְתַּמֵהר ַותּוֶֹרד ַכָּדּהּ ֵמָעֶליָה ַותֹּאֶמר ְשֵׁתהְוַגם־ְגַּמֶלּי􏰀 ַאְשֶׁקה ָוֵאְשְׁתְּוַגם ַהְגַּמִלּים ִהְשָׁקָתה׃ 24:46 – Deh, dammi da bere! – Ed ella s’è affrettata a calare la brocca dalla spalla, e m’ha risposto: – Bevi! e darò da bere anche ai tuoi cammelli. – Così ho bevuto io ed ella ha abbeverato anche i cammelli.

ָוֶאְשַׁאל ֹאָתהּ ָוֹאַמר ַבּת־ִמי ַאְתּ ַותֹּאֶמר ַבּת־ְבּתוֵּאל ֶבּן־ָנחוֹר ֲא ֶשׁר ָיְלָדה־לּוֹ ִמְלָכּה ָוָאִשׂם ַהֶנֶּזם ַעל־ ַא ָפּהּ ְו ַה ְצּ ִמי ִדים ַעל־ ָי ֶדי ָה׃

ַותֹּא ֶמר – ?]bat [figlia ַבּת vaomar [e dissi]: – Di chi sei ָו ֹא ַמר ,Poi l’ho interrogata 24:47 vattòmer [Ed ella disse]: – Son ַבּת bat [figlia] di Bethuel figlio di Nahor, che Milca gli partorì. – Allora io le ho messo l’anello al naso e i braccialetti ai polsi.

ָו ֶא ֹקּד ָו ֶא ְשׁ ַתּ ֲח ֶוה ַליהוה ָו ֲא ָב ֵר􏰂 ֶאת־יהוה ֱא􏰁 ֵהי ֲא ֹד ִני ַא ְב ָר ָהם ֲא ֶשׁר ִה ְנ ַח ִני ְבּ ֶד ֶר􏰂 ֱא ֶמת ָל ַק ַחת ֶאת־ ַבּת־ ֲא ִחי ֲא ֹד ִני ִל ְבנוֹ׃

vaèsh’ttach̠ aveh [mi postrai – ho ָו ֶא ְשׁ ַתּ ֲח ֶוה ,]vaèkkod [E mi sono inchinato ָו ֶא ֹקּד 24:48 adorato] ַליהוה laYahweh [a Yahweh] ָו ֲא ָב ֵר􏰂 và’aba’rèch [e ho benedetto] ֶאת־יהוה et- Yahweh [Yahweh], ֱא􏰁 ֵהי Elohè [Elohìm di] ַא ְב ָר ָהם Avrahàm ֲא ֹד ִני adonì [mio signore], ֲא ֶשׁר ִה ְנ ַח ִני ְבּ ֶד ֶר􏰂 ֱא ֶמת ashèr hinɵch̠ anì bɵdèrech emèt [che m’ha condotto per laveravia]aprendereperilֶבּן ben[figlio]diluilaַבּת bat[figlia]delָאח àch̠ [fratello]delֲאֹדִני adonì[miosignore].

ְוַעָתּה ִאם־ֶיְשֶׁכם ֹעִשׂים ֶחֶסד ֶוֱאֶמת ֶאת־ֲאֹדִני ַהִגּידוּ ִליְוִאם־לֹא ַהִגּידוּ ִליְוֶאְפֶנה ַעל־ָיִמיןאוֹ ַעל־ ְשׂ מ ֹ א ל ׃

24:49 E ora, se volete usare ֶח ֶסד ch̠ èsed [benignità] ֶו ֱא ֶמת ve’èmèt [e fedeltà] verso et-adonì [il mio signore], ditemelo; e se no, ditemelo lo stesso, e io mi ֶאת־ ֲא ֹד ִני volgerò a destra o a sinistra’.

ַוַיַּעןָלָבןוְּבתוֵּאלַויֹּאְמרוֵּמיהוהָיָצאַהָדָּברלֹאנוַּכלַדֵּבּרֵאֶלי􏰀ַרעאוֹ־טוֹב׃

24:50 Allora ָל ָבן Lavàn [Labano] e Bethuel risposero ַויֹּא ְמרוּ vayomɵrù [e gli dissero]:

‘seprocededaיהוהYahwehַהָדָּבר haddavàr[laparola-lacosa];noiלֹאlò[non]

possiam ַדּ ֵבּר ֵא ֶלי􏰀 dabèr elècha [parlare a te – dirti né] ַרע rà [male] oppure טוֹב tòv [bene].

ִה ֵנּה־ ִר ְב ָקה ְל ָפ ֶני􏰀 ַקח ָו ֵל􏰂 וּ ְת ִהי ִא ָשּׁה ְל ֶבן־ ֲא ֹד ֶני􏰀 ַכּ ֲא ֶשׁר ִדּ ֶבּר יהוה׃ 24:51 Ecco, ִר ְב ָקה Riv’kah [Rebecca] ְל ָפ ֶני􏰀 lɵfanècha [ti sta dinanzi], ַקח kach̠

[prendila], ָו ֵל􏰂 valèch [e va]’, e sia ella moglie del ֶבּן ben [figlio] del tuo signore, come יהוה Yahweh ִדּ ֶבּר ddibèr [aveva parlato – ha detto] ‘.

ַוְיִהי ַכֲּאֶשׁר ָשַׁמע ֶעֶבד ַאְבָרָהם ֶאת־ִדְּבֵריֶהםַוִיְּשַׁתּחוּ ַאְרָצה ַליהוה׃ ָשׁ ַמע Avrahàm ebbe ַא ְב ָר ָהם èved [servo] di ֶע ֶבד vay’hì [E fu] quando il ַו ְי ִהי 24:52

shamà [udito] ֶאת־ ִדּ ְב ֵרי ֶהם et-divrehèm [le loro parole], ַו ִיּ ְשׁ ַתּחוּ vayishttàch̠ u [e si postrò]aterradinanziַליהוה laYahweh[aYahweh].

ַויּוֵֹצא ָהֶעֶבד ְכֵּלי־ֶכֶסףוְּכֵלי ָזָהבוְּבָגִדים ַוִיֵּתּן ְלִרְבָקהוִּמְגָדֹּנת ָנַתן ְלָאִחיָהוְּלִאָמּהּ׃ 24:53 Il servo trasse poi fuori oggetti d’ ֶכּ ֶסף kèsef [argento] e oggetti di ָז ָהב zahàv [oro], e vesti, e li dette a ִר ְב ָקה Riv’kah [Rebecca]; e donò anche delle cose preziose al ָאח àch̠ [fratello] וּ ְל ִא ָמּהּ ulɵimmàh [e alla madre di lei].

ַויּ ֹא ְכלוּ ַו ִיּ ְשׁתּוּ הוּא ְו ָה ֲא ָנ ִשׁים ֲא ֶשׁר־ ִעמּוֹ ַו ָיּ ִלינוּ ַו ָיּקוּמוּ ַב ֹבּ ֶקר ַויּ ֹא ֶמר ַשׁ ְלּ ֻח ִני ַלא ֹד ִני׃ 24:54 Poi mangiarono e bevvero, egli e gli uomini ch’eran con lui, e passaron quivi la vabòker [nell mattino], quando si furono levati, il servo ַב ֹבּ ֶקר .]làjlah [notte ָל ְי ָלה disse: ‘Lasciatemi tornare al mio signore’.

ַויֹּא ֶמר ָא ִחי ָה ְו ִא ָמּהּ ֵתּ ֵשׁב ַה ַנּ ֲע ָר ִא ָתּנוּ ָי ִמים אוֹ ָעשׂוֹר ַא ַחר ֵתּ ֵל􏰂׃ vɵimmàh [e la madre] di ְו ִא ָמּהּ ]àch̠ [fratello ָאח Vayòmer [E disse] il ַויֹּא ֶמר 24:55

hannarà [la donzella – donna di giovane età non ַה ַנּ ֲע ָר Riv’kah [Rebecca]: ‘Rimanga ִר ְב ָקה maritata] ancora alcuni giorni con noi, almeno una diecina; ַא ַחר ach̠ àr [dopo – poi] se ne andrà’.

ַויּ ֹא ֶמר ֲא ֵל ֶהם ַאל־ ְתּ ַא ֲחרוּ ֹא ִתי ַויהוה ִה ְצ ִלי ַח ַדּ ְר ִכּי ַשׁ ְלּחוּ ִני ְו ֵא ְל ָכה ַלא ֹד ִני׃ ,lò [non] mi tratteneteלֹא’ ]Vayòmer alehèm [Ed egli disse a loro ַויֹּא ֶמר ֲא ֵל ֶהם 24:56

giacché יהוה Yahweh ha fatto prosperare il mio viaggio; lasciatemi partire, affinché io me ne torni al mio signore’.

ַויֹּאְמרוִּנְקָרא ַלַנֲּעָרְוִנְשֲׁאָלה ֶאת־ִפּיָה׃ lannara [la ragazza] e ַל ַנּ ֲע ָר Vayomɵrù [E dissero]: ‘Chiameremoַויֹּא ְמרוּ 24:57

sentiamo lei stessa’.

ַוִיְּקְראוּ ְלִרְבָקה ַויֹּאְמרוּ ֵאֶליָה ֲהֵתְלִכי ִעם־ָהִאישׁ ַהֶזּה ַותֹּאֶמר ֵאֵל􏰂׃ 24:58 Chiamarono ִר ְב ָקה Riv’kah [Rebecca], ַויֹּא ְמרוּ vayomɵrù [e gli dissero]: ‘Vuoi tu

andare con quest’uomo?’ ַותֹּא ֶמר vattòmer [Ed ella disse]: ֵא ֵל􏰂 elèch [si andrò- camminerò]

ַוְיַשְׁלּחוּ ֶאת־ִרְבָקה ֲאֹחָתםְוֶאת־ֵמִנְקָתּהְּוֶאת־ֶעֶבד ַאְבָרָהםְוֶאת־ֲאָנָשׁיו׃ 24:59 Così lasciarono andare ִר ְב ָקה Riv’kah [Rebecca] ֲא ֹח ָתם ach̠ otàm [loro sorella] e

la sua nutrice con il servo di ַא ְב ָר ָהם Avrahàm e la sua gente.

ַוְיָבֲרכוּ ֶאת־ִרְבָקה ַויֹּאְמרוּ ָלהּ ֲאֹחֵתנוּ ַאְתּ ֲהִיי ְלַאְלֵפיְרָבָבהְוִייַרשׁ ַזְרֵע􏰂 ֵאת ַשַׁער ֹשְׂנָאיו׃ vayomɵrù ַויּ ֹא ְמרוּ]Riv’kah [Rebecca ִר ְב ָקה ]vayɵvarachu [E benedissero ַו ְי ָב ֲרכוּ 24:60

[e gli dissero]: ‘Sorella nostra, possa tu esser ֵאם èm [madre] di migliaia di miriadi, e possa la tua progenie possedere la porta de’ suoi nemici!’

ַוָתָּקםִרְבָקהְוַנֲעֹרֶתיָהַוִתְּרַכְּבָנה ַעל־ַהְגַּמִלּיםַוֵתַּלְכָנה ַאֲחֵרי ָהִאישַׁוִיַּקּח ָהֶעֶבד ֶאת־ִרְבָקהַוֵיַּל􏰂׃ 24:61 E ִר ְב ָקה Riv’kah [Rebecca] si levò con le sue serve e montarono sui cammelli e

ַו ֵיּ ַל􏰂 ]Riv’kah [Rebecca ִר ְב ָקה ]vayikkàch̠ [prese ַו ִיּ ַקּח seguirono quell’uomo. E il servo vayyelach [e se ne andò].

ְו ִי ְצ ָחק ָבּא ִמבּוֹא ְבּ ֵאר ַל ַחי ֹר ִאי ְוהוּא יוֹ ֵשׁב ְבּ ֶא ֶרץ ַה ֶנּ ֶגב׃ 24:62 Or ִי ְצ ָחק Itz’ch̠ àk [Isacco] era tornato dal pozzo di Lachai-Roï, ְוהוּא vɵhù [ed

egli] abitava ְבּ ֶא ֶרץ bɵèretz [in terra] ַה ֶנּ ֶגב haNeghev [di Neghev].

ַו ֵיּ ֵצא ִי ְצ ָחק ָלשׂוּ ַח ַבּ ָשּׂ ֶדה ִל ְפנוֹת ָע ֶרב ַו ִיּ ָשּׂא ֵעי ָניו ַו ַיּ ְרא ְו ִה ֵנּה ְג ַמ ִלּים ָבּ ִאים׃ lasuch̠ [per ָלשׂוּ ַח,]èrev [sera ֶע ֶרב Itz’ch̠ àk [Isacco] era uscito, sul far della ִי ְצ ָחק 24:63 meditare] ַבּ ָשּׂ ֶדה bassadeh [nella campagna]; e, alzati gli occhi, ַו ַיּ ְרא vayàr [E vide],
.vɵhinneh [ed ecco] venir de’ cammelli ְו ִה ֵנּה

ַוִתָּשּׂאִרְבָקה ֶאת־ֵעיֶניָהַוֵתֶּרא ֶאת־ִיְצָחקַוִתֹּפּל ֵמַעל ַהָגָּמל׃ 24:64 E ִר ְב ָקה Riv’kah [Rebecca], alzati anch’ella gli occhi, vide ִי ְצ ָחק Itz’ch̠ àk

[Isacco], saltò giù dal cammello, ַותֹּא ֶמר vattòmer [e disse] al servo:

ַותֹּאֶמר ֶאל־ָהֶעֶבד ִמי־ָהִאישׁ ַהָלֶּזה ַהֹהֵל􏰂 ַבּ ָשֶּׂדה ִלְקָראֵתנוּ ַויֹּאֶמר ָהֶעֶבדהוּא ֲאֹדִני ַוִתַּקּח ַהָצִּעיף ַו ִתּ ְת ָכּס׃

24:65 ‘Chi è quell’uomo ַה ֹה ֵל􏰂 ha’holèch [che viene] ַבּ ָשּׂ ֶדה bassadeh [nel del campo] perincontrarenoi?’Ilservorispose:’הוּא ֲאֹדִניhùadonì[Èilmiosignore]’.Edella,

preso il suo velo, se ne coprì.
24:66 E raccontò il servo a ִי ְצ ָחק Itz’ch̠ àk [Isacco] ֵאת ָכּל־ ַה ְדּ ָב ִרים èt kol-haddɵvarìm

[tutte le cose] ֲא ֶשׁר ָע ָשׂה ashèr àsah [che aveva fatto].

ַו ְי ִב ֶא ָה ִי ְצ ָחק ָה ֹא ֱה ָלה ָשׂ ָרה ִאמּוֹ ַו ִיּ ַקּח ֶאת־ ִר ְב ָקה ַו ְתּ ִהי־לוֹ ְל ִא ָשּׁה ַו ֶיּ ֱא ָה ֶב ָה ַו ִיּ ָנּ ֵחם ִי ְצ ָחק ַא ֲח ֵרי ִאמּוֹ׃

24:67 E ִי ְצ ָחק Itz’ch̠ àk [Isacco] condusse ִר ְב ָקה Riv’kah [Rebecca] nella ֹא ֶהל òhel ְל ִא ָשּׁה]vayikkàch̠ [e fu di lui ַו ִיּ ַקּח ,]immò [sua madre ִאמּוֹ Sarah ָשׂ ָרה tenda] di[ lɵìsshah [per moglie], ַו ֶיּ ֱא ָה ֶב ָה vayye’eha’veha [ed egli l’amò]. Così ִי ְצ ָחק Itz’ch̠ àk [Isacco] fu consolato dopo la morte di ִאמּוֹ immò [sua madre].

TRADUZIONE

Matrimonio tra Isacco e Rebecca

24 Abramo era ormai vecchio, avanti negli anni, e il Signore lo aveva benedetto in tutto. 2 Allora Abramo disse al suo servo, il più anziano della sua casa, che aveva potere su tutti i suoi beni: “Metti la mano sotto la mia coscia e ti farò giurare per il Signore, Dio del cielo e Dio della terra, che non prenderai per mio figlio una moglie tra le figlie dei Cananei, in mezzo ai quali abito, ma che andrai nella mia terra, tra la mia parentela, a scegliere una moglie per mio figlio Isacco”. Gli disse il servo: “Se la donna non mi vuol seguire in questa terra, dovrò forse ricondurre tuo figlio alla terra da cui tu sei uscito?”. Gli rispose Abramo: “Guàrdati dal ricondurre là mio figlio! Il Signore, Dio del cielo e Dio della terra, che mi ha preso dalla casa di mio padre e dalla mia terra natia, che mi ha parlato e mi ha giurato: “Alla tua discendenza darò questa terra”, egli stesso manderà il suo angelo davanti a te, perché tu possa prendere di là una moglie per mio figlio. Se la donna non vorrà seguirti, allora sarai libero dal giuramento a me fatto; ma non devi ricondurre là mio figlio”. Il servo mise la mano sotto la coscia di Abramo, suo padrone, e gli prestò così il giuramento richiesto. 
10 Il servo prese dieci cammelli del suo padrone e, portando ogni sorta di cose preziose del suo padrone, si mise in viaggio e andò in Aram Naharàim, alla città di Nacor. 11 Fece inginocchiare i cammelli fuori della città, presso il pozzo d’acqua, nell’ora della sera, quando le donne escono ad attingere. 12 E disse: “Signore, Dio del mio padrone Abramo, concedimi un felice incontro quest’oggi e usa bontà verso il mio padrone Abramo! 13 Ecco, io sto presso la fonte dell’acqua, mentre le figlie degli abitanti della città escono per attingere acqua. 14 Ebbene, la ragazza alla quale dirò: “Abbassa l’anfora e lasciami bere”, e che risponderà: “Bevi, anche ai tuoi cammelli darò da bere”, sia quella che tu hai destinato al tuo servo Isacco; da questo riconoscerò che tu hai usato bontà verso il mio padrone”. 
15 Non aveva ancora finito di parlare, quand’ecco Rebecca, che era figlia di Betuèl, figlio di Milca, moglie di Nacor, fratello di Abramo, usciva con l’anfora sulla spalla. 16 La giovinetta era molto bella d’aspetto, era vergine, nessun uomo si era unito a lei. Ella scese alla sorgente, riempì l’anfora e risalì. 17 Il servo allora le corse incontro e disse: “Fammi bere un po’ d’acqua dalla tua anfora”. 18 Rispose: “Bevi, mio signore”. In fretta calò l’anfora sul braccio e lo fece bere. 19 Come ebbe finito di dargli da bere, disse: “Anche per i tuoi cammelli ne attingerò, finché non avranno finito di bere”. 20 In fretta vuotò l’anfora nell’abbeveratoio, corse di nuovo ad attingere al pozzo e attinse per tutti i cammelli di lui.21 Intanto quell’uomo la contemplava in silenzio, in attesa di sapere se il Signore avesse o no concesso buon esito al suo viaggio. 
22 Quando i cammelli ebbero finito di bere, quell’uomo prese un pendente d’oro del peso di mezzo siclo e glielo mise alle narici, e alle sue braccia mise due braccialetti del peso di dieci sicli d’oro. 23 E disse: “Di chi sei figlia? Dimmelo. C’è posto per noi in casa di tuo padre, per passarvi la notte?”. 24 Gli rispose: “Io sono figlia di Betuèl, il figlio che Milca partorì a Nacor”. 25 E soggiunse: “C’è paglia e foraggio in quantità da noi e anche posto per passare la notte”.
26 Quell’uomo si inginocchiò e si prostrò al Signore 27 e disse: “Sia benedetto il Signore, Dio del mio padrone Abramo, che non ha cessato di usare bontà e fedeltà verso il mio padrone. Quanto a me, il Signore mi ha guidato sulla via fino alla casa dei fratelli del mio padrone”. 28 La giovinetta corse ad annunciare alla casa di sua madre tutte queste cose. 29Ora Rebecca aveva un fratello chiamato Làbano e Làbano corse fuori da quell’uomo al pozzo. 30 Egli infatti, visti il pendente e i braccialetti alle braccia della sorella e udite queste parole di Rebecca, sua sorella: “Così mi ha parlato quell’uomo”, andò da lui, che stava ancora presso i cammelli vicino al pozzo. 31 Gli disse: “Vieni, benedetto dal Signore! Perché te ne stai fuori, mentre io ho preparato la casa e un posto per i cammelli?”. 32Allora l’uomo entrò in casa e Làbano tolse il basto ai cammelli, fornì paglia e foraggio ai cammelli e acqua per lavare i piedi a lui e ai suoi uomini. 33 Quindi gli fu posto davanti da mangiare, ma egli disse: “Non mangerò, finché non avrò detto quello che devo dire”. Gli risposero: “Di’ pure”. 
34 E disse: “Io sono un servo di Abramo. 35 Il Signore ha benedetto molto il mio padrone, che è diventato potente: gli ha concesso greggi e armenti, argento e oro, schiavi e schiave, cammelli e asini. 36 Sara, la moglie del mio padrone, quando ormai era vecchia, gli ha partorito un figlio, al quale egli ha dato tutti i suoi beni. 37 E il mio padrone mi ha fatto giurare: “Non devi prendere per mio figlio una moglie tra le figlie dei Cananei, in mezzo ai quali abito, 38 ma andrai alla casa di mio padre, alla mia famiglia, a prendere una moglie per mio figlio”. 39 Io dissi al mio padrone: “Forse la donna non vorrà seguirmi”. 40 Mi rispose: “Il Signore, alla cui presenza io cammino, manderà con te il suo angelo e darà felice esito al tuo viaggio, così che tu possa prendere una moglie per mio figlio dalla mia famiglia e dalla casa di mio padre. 41 Solo quando sarai andato dalla mia famiglia, sarai esente dalla mia maledizione; se loro non volessero cedertela, tu sarai esente dalla mia maledizione”. 42 Così oggi sono arrivato alla fonte e ho detto: “Signore, Dio del mio padrone Abramo, se tu vorrai dare buon esito al viaggio che sto compiendo, 43 ecco, io sto presso la fonte d’acqua; ebbene, la giovane che uscirà ad attingere, alla quale io dirò: Fammi bere un po’ d’acqua dalla tua anfora, 44 e mi risponderà: Bevi tu e ne attingerò anche per i tuoi cammelli, quella sarà la moglie che il Signore ha destinato al figlio del mio padrone”. 45 Io non avevo ancora finito di pensare a queste cose, quand’ecco Rebecca uscì con l’anfora sulla spalla, scese alla fonte e attinse acqua; io allora le dissi: “Fammi bere”. 46 Subito lei calò l’anfora e disse: “Bevi; anche ai tuoi cammelli darò da bere”. Così io bevvi ed ella diede da bere anche ai cammelli. 47 E io la interrogai: “Di chi sei figlia?”. Rispose: “Sono figlia di Betuèl, il figlio che Milca ha partorito a Nacor”. Allora le posi il pendente alle narici e i braccialetti alle braccia. 48 Poi mi inginocchiai e mi prostrai al Signore e benedissi il Signore, Dio del mio padrone Abramo, il quale mi aveva guidato per la via giusta a prendere per suo figlio la figlia del fratello del mio padrone. 49 Ora, se intendete usare bontà e fedeltà verso il mio padrone, fatemelo sapere; se no, fatemelo sapere ugualmente, perché io mi rivolga altrove”.
50 Allora Làbano e Betuèl risposero: “La cosa procede dal Signore, non possiamo replicarti nulla, né in bene né in male. 51 Ecco Rebecca davanti a te: prendila, va’ e sia la moglie del figlio del tuo padrone, come ha parlato il Signore”.
52 Quando il servo di Abramo udì le loro parole, si prostrò a terra davanti al Signore. 53Poi il servo estrasse oggetti d’argento, oggetti d’oro e vesti e li diede a Rebecca; doni preziosi diede anche al fratello e alla madre di lei. 54 Poi mangiarono e bevvero lui e i suoi uomini e passarono la notte. Quando si alzarono alla mattina, egli disse: “Lasciatemi andare dal mio padrone”. 55 Ma il fratello e la madre di lei dissero: “Rimanga la giovinetta con noi qualche tempo, una decina di giorni; dopo, te ne andrai”. 56 Rispose loro: “Non trattenetemi, mentre il Signore ha concesso buon esito al mio viaggio. Lasciatemi partire per andare dal mio padrone!”. 57 Dissero allora: “Chiamiamo la giovinetta e domandiamo a lei stessa”. 58 Chiamarono dunque Rebecca e le dissero: “Vuoi partire con quest’uomo?”. Ella rispose: “Sì”. 59 Allora essi lasciarono partire la loro sorella Rebecca con la nutrice, insieme con il servo di Abramo e i suoi uomini. 60 Benedissero Rebecca e le dissero:

“Tu, sorella nostra,
diventa migliaia di miriadi
e la tua stirpe conquisti
le città dei suoi nemici!”.

61 Così Rebecca e le sue ancelle si alzarono, salirono sui cammelli e seguirono quell’uomo. Il servo prese con sé Rebecca e partì. 62 Intanto Isacco rientrava dal pozzo di Lacai-Roì; abitava infatti nella regione del Negheb. 63 Isacco uscì sul far della sera per svagarsi in campagna e, alzando gli occhi, vide venire i cammelli. 64 Alzò gli occhi anche Rebecca, vide Isacco e scese subito dal cammello. 65 E disse al servo: “Chi è quell’uomo che viene attraverso la campagna incontro a noi?”. Il servo rispose: “È il mio padrone”. Allora ella prese il velo e si coprì. 66 Il servo raccontò a Isacco tutte le cose che aveva fatto. 67 Isacco introdusse Rebecca nella tenda che era stata di sua madre Sara; si prese in moglie Rebecca e l’amò. Isacco trovò conforto dopo la morte della madre.

NOTE

24,2 Metti la mano: forma antica di giuramento. Il contatto con gli organi da cui ha origine la vita rende infrangibile l’impegno assunto.

24,65 prese il velo e si coprì: nell’uso ebraico, la fidanzata si toglie il velo solo dopo le nozze.

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GENESI 23

Bɵreshìt 23

ַוִיְּהיוּ ַחֵיּי ָשָׂרה ֵמָאה ָשָׁנהְוֶעְשִׂרים ָשָׁנהְוֶשַׁבע ָשִׁנים ְשֵׁני ַחֵיּי ָשָׂרה׃ 23:1 Or la ַח ֵיּי ch̠ ayè [vita] di ָשׂ ָרה Sarah fu di ֵמ ָאה meah [cento] ָשׁ ָנה shanah [anno]

shanìm ָשׁ ִנים ]vɵshevà [e sette ְו ֶשׁ ַבע ]shanah [anno ָשׁ ָנה ]vɵe’srìm [e venti ְו ֶע ְשׂ ִרים ָשׂ ָרה ch̠ ayè [vita] di ַח ֵיּי shɵnè [anni] della ְשׁ ֵני anni] centòventisette anni. Tanti furon gli[ Sarah.

ַו ָתּ ָמת ָשׂ ָרה ְבּ ִק ְר ַית ַא ְר ַבּע ִהוא ֶח ְברוֹן ְבּ ֶא ֶרץ ְכּ ָנ ַען ַו ָיּב ֹא ַא ְב ָר ָהם ִל ְס ֹפּד ְל ָשׂ ָרה ְו ִל ְב ֹכּ ָתהּ׃ ְכּ ָנ ַעןbɵèretz [in terra] di ְבּ ֶא ֶרץ ,Sarah morì a Kiriat-Arba, che è Hebron ָשׂ ָרה E 23:2 kɵna’àn [Canaan]; ַו ָיּבֹא ַא ְב ָר ָהם vaiyavò Avrahàm [E Avrahàm venne] a far duolo di .Saraheapiangerla ָשָׂרה

ַוָיָּקם ַאְבָרָהם ֵמַעל ְפֵּני ֵמתוֹ ַוְיַדֵבּר ֶאל־ְבֵּני־ֵחת ֵלאֹמר׃ ַו ְי ַד ֵבּר ,meàl pɵnè [di presso al] suo morto ֵמ ַעל ְפּ ֵניAvrahàm si levò ַא ְב ָר ָהם Poi 23:3

vaydabèr [e parlò] ai ְבּ ֵני bɵnè [figli] di Heth, ֵלא ֹמר lemòr [dicendo]:

ֵגּר־ ְותוֹ ָשׁב ָא ֹנ ִכי ִע ָמּ ֶכם ְתּנוּ ִלי ֲא ֻח ַזּת־ ֶק ֶבר ִע ָמּ ֶכם ְו ֶא ְק ְבּ ָרה ֵמ ִתי ִמ ְלּ ָפ ָני׃ 23:4 ‘Io sono straniero e avventizio ִע ָמּ ֶכם immachèm [fra voi]; datemi la proprietà di

un sepolcro ִע ָמּ ֶכם immachèm [fra voi], affinché io seppellisca il mio morto e me lo tolga d’innanzi’.

ַו ַיּ ֲע נ וּ ְב ֵנ י ־ ֵח ת ֶא ת ־ ַא ְב ָר ָה ם ֵל א ֹמ ר ל וֹ ׃ 23:5 E i ְבּ ֵני bɵnè [figli] di Heth risposero ad ַא ְב ָר ָהם Avrahàm ֵלא ֹמר lemòr [dicendo]

:]lo [a lui לוֹ

ְשָׁמֵענוּ ֲאֹדִני ְנִשׂיא ֱא􏰁ִהים ַאָתּה ְבּתוֵֹכנוּ ְבִּמְבַחר ְקָבֵרינוּ ְקֹבר ֶאת־ֵמֶת􏰀 ִאישׁ ִמֶמּנּוּ ֶאת־ִקְברוֹ לֹא־ִיְכֶלה ִמְמּ􏰀 ִמְקֹּבר ֵמֶת􏰀׃

23:6’Ascoltaci,ֲאֹדִני adonì[miosignore];tuseifranoiunprincipediֱא􏰁ִהים Elohìm; seppellisci il tuo morto nel migliore dei nostri sepolcri; nessun di noi ti rifiuterà il suo sepolcro perché tu vi seppellisca il tuo morto’.

ַוָיָּקם ַאְבָרָהם ַוִיְּשַׁתּחוּ ְלַעם־ָהָאֶרץ ִלְבֵני־ֵחת׃ 23:7 E ַא ְב ָר ָהם Avrahàm si levò, ַו ִיּ ְשׁ ַתּחוּ vayishttàch̠ u [e s’inchinò] ְל ַעם־ ָה ָא ֶרץ lɵàm

ha’àretz [al popolo della terra], dinanzi ai ְבּ ֵני bɵnè [figli] di Heth,

ַוְיַדֵבּר ִאָתּם ֵלאֹמר ִאם־ֵישׁ ֶאת־ַנְפְשֶׁכם ִלְקֹבּר ֶאת־ֵמִתי ִמְלָּפַני ְשָׁמעוִּניוִּפְגעוּ־ִלי ְבֶּעְפרוֹן ֶבּן־ ֹצ ַחר׃

lemòr [dicendo]: ‘Se piace a ֵלא ֹמר ]ittàm [a loro ִא ָתּם ]vaydabèr [e parlò ַו ְי ַד ֵבּר 23:8 voi ch’io tolga il mio morto d’innanzi a me e lo seppellisca, ascoltatemi, e intercedete permepressoEfronֶבּן ben[figlio]diZohar

ְו ִי ֶתּן־ ִלי ֶאת־ ְמ ָע ַרת ַה ַמּ ְכ ֵפּ ָלה ֲא ֶשׁר־לוֹ ֲא ֶשׁר ִבּ ְק ֵצה ָשׂ ֵדהוּ ְבּ ֶכ ֶסף ָמ ֵלא ִי ְתּ ֶנ ָנּה ִלי ְבּתוֹ ְכ ֶכם ַל ֲא ֻח ַזּת־ ָק ֶבר׃

23:9 perché mi ceda la sua caverna di Macpela che è all’estremità del suo campo, e me la dia ְבּ ֶכ ֶסף ָמ ֵלא bɵchèsef malè [per argento pieno – per l’intero suo prezzo], come sepolcro che m’appartenga ְבּתוֹ ְכ ֶכם bɵtòchɵchèm [in mezzo a voi – fra voi] ‘.

ְו ֶע ְפרוֹן ֹי ֵשׁב ְבּתוֹ􏰂 ְבּ ֵני־ ֵחת ַו ַיּ ַען ֶע ְפרוֹן ַה ִח ִתּי ֶאת־ ַא ְב ָר ָהם ְבּ ָא ְז ֵני ְב ֵני־ ֵחת ְל ֹכל ָבּ ֵאי ַשׁ ַער־ ִעירוֹ ֵלא ֹמר׃

23:10 Or Efron ֹי ֵשׁב yoshev [sedeva] ְבּתוֹ􏰂 bɵtòch [in mezzo] ai ְבּ ֵני bɵnè [figli] di Heth; ed Efron, lo Hitteo, rispose ad ַא ְב ָר ָהם Avrahàm in presenza dei ְבּ ֵני bɵnè [figli]

ֵלא ֹמר ,lɵchòl [di tutti] quelli che entravano per la porta della sua città ְל ֹכל ,di Heth lemòr [dicendo]:

לֹא־ ֲא ֹד ִני ְשׁ ָמ ֵע ִני ַה ָשּׂ ֶדה ָנ ַת ִתּי ָל􏰂 ְו ַה ְמּ ָע ָרה ֲא ֶשׁר־בּוֹ ְל􏰀 ְנ ַת ִתּי ָה ְל ֵעי ֵני ְב ֵני־ ַע ִמּי ְנ ַת ִתּי ָה ָלּ􏰂 ְק ֹבר ֵמ ֶת􏰀׃

ָנ ַת ִתּי shɵmaènì [ascoltami]! Io ti ְשׁ ָמ ֵע ִני ,]lò-adonì [No, mio signore ל ֹא־ ֲא ֹד ִני’ 23:11

ֲא ֶשׁר־בּוֹ ]vɵhammɵarah [e la caverna ְו ַה ְמּ ָע ָרה ,]hassadeh [il campo ַה ָשּׂ ֶדה ]natàtti [darò

ashèr-bo [che v’è in esso]; ְל􏰀 ְנ ַת ִתּי ָה lɵchà nɵtattìha [te ne fo dono], ְל ֵעי ֵני lɵenè [agli

occhi – in presenza] de’ ְבּ ֵני bɵnè [figli] del mio ַעם àm [popolo]; seppellisci il tuo morto’.

ַוִיְּשַׁתּחוּ ַאְבָרָהם ִלְפֵני ַעם ָהָאֶרץ׃ ַעם ]lifnè [dinanzi al ִל ְפ ֵני ]vayishttàch̠ u [e s’inchinò ַו ִיּ ְשׁ ַתּחוּAvrahàm ַא ְב ָר ָהם E 23:12

àm[popolo]diָהָאֶרץ ha’àretz[laterra],

ַו ְי ַד ֵבּר ֶאל־ ֶע ְפרוֹן ְבּ ָא ְז ֵני ַעם־ ָה ָא ֶרץ ֵלא ֹמר ַא􏰂 ִאם־ ַא ָתּה לוּ ְשׁ ָמ ֵע ִני ָנ ַת ִתּי ֶכּ ֶסף ַה ָשּׂ ֶדה ַקח ִמ ֶמּ ִנּי ְוֶאְקְבָּרה ֶאת־ֵמִתי ָשָׁמּה׃

àm ha’àretz ַעם־ ָה ָא ֶרץ vaydabèr [e parlò] ad Efron in presenza del ַו ְי ַד ֵבּר 23:13 ָנ ַת ִתּי !]shɵmaènì [ascoltami ְשׁ ָמ ֵע ִני ,lemòr [dicendo]: ‘Deh ֵלא ֹמר ,]popolo della terra[

ִמ ֶמּ ִנּי ]kach̠ [Prendi – accettalo ַקח ;]hassadeh [del campo ַה ָשּׂ ֶדה natàtti [io do] il prezzo mimmenì [da me], e io seppellirò quivi il mio morto’.

ַו ַיּ ַען ֶע ְפרוֹן ֶאת־ ַא ְב ָר ָהם ֵלא ֹמר לוֹ׃

23:14 Ed Efron rispose ad ַא ְב ָר ָהם Avrahàm, ֵלא ֹמר lemòr [dicendo] לוֹ lo [a lui]:

ֲאֹדִני ְשָׁמֵעִני ֶאֶרץ ַאְרַבּע ֵמֹאת ֶשֶׁקל־ֶכֶּסף ֵבּיִניוֵּביְנ􏰀 ַמה־ִהואְוֶאת־ֵמְת􏰀 ְקֹבר׃ èretz ֶא ֶרץ shɵmaènì [ascoltami]! Un pezzo di ְשׁ ָמ ֵע ִני ,]adonì [Signor mio ֲא ֹד ִני’ 23:15 [terra] di ַא ְר ַבּע arbà [quattro] ֵמ ֹאת meòt [centi – cento] quattrocento ֶשׁ ֶקל־ ֶכּ ֶסף shekel- ְו ֶאת־ bè’nì [fra me] e te? Seppellisci dunque ֵבּי ִני kèsef [shekel d’argento], che cos’è .’]vɵèt-metchà [il tuo morto ֵמ ְת􏰀

ַו ִיּ ְשׁ ַמ ע ַא ְב ָר ָה ם ֶא ל ־ ֶע ְפ ר וֹ ן ַו ִיּ ְשׁ ֹק ל ַא ְב ָר ָה ם ְל ֶע ְפ ֹר ן ֶא ת ־ ַה ֶכּ ֶס ף ֲא ֶשׁ ר ִדּ ֶבּ ר ְבּ ָא ְז ֵנ י ְב ֵנ י ־ ֵח ת ַא ְר ַבּ ע ֵמאוֹת ֶשׁ ֶקל ֶכּ ֶסף ֹע ֵבר ַל ֹסּ ֵחר׃

23:16 E ַא ְב ָר ָהם Avrahàm fece a modo di Efron; e ַא ְב ָר ָהם Avrahàm pesò a Efron il prezzo ch’egli ִדּ ֶבּר ddibèr [aveva parlato –detto] in presenza de’ ְבּ ֵני bɵnè [figli] di

ֶכּ ֶסף ’shekel d ֶשׁ ֶקל meòt [centi cento] quattrocento ֵמאוֹת ]arbà [quattro ַא ְר ַבּע ,Heth kèsef [argento], di buona moneta mercantile.

ַוָיּ ָקם ְשֵׂדה ֶעְפרוֹן ֲא ֶשׁר ַבּ ַמְּכ ֵפּ ָלה ֲא ֶשׁר ִלְפֵני ַמְמֵרא ַה ָשֶּׂדה ְו ַהְמּ ָעָרה ֲא ֶשׁר־בּוֹ ְו ָכל־ ָה ֵעץ ֲא ֶשׁר ַבּ ָשּׂ ֶדה ֲא ֶשׁר ְבּ ָכל־ ְגּ ֻבלוֹ ָס ִביב׃

23:17 Così il ְשׂ ֵדה sɵdeh [campo] di Efron ch’era a Macpela ִל ְפ ֵני lifnè [di fronte a]

Mamre, ַה ָשּׂ ֶדה hassadeh [il campo] ְו ַה ְמּ ָע ָרה vɵhammɵarah [e la caverna] ֲא ֶשׁר־בּוֹ ashèr-

bo [che v’era in esso], e tutti gli alberi ch’erano ַבּ ָשּׂ ֶדה bassadeh [nel campo] e in tutti i confini all’intorno,

ְלַאְבָרָהם ְלִמְקָנה ְלֵעיֵני ְבֵני־ֵחת ְבֹּכל ָבֵּאי ַשַׁער־ִעירוֹ׃ 23:18 furono assicurati come proprietà di ַא ְב ָר ָהם Avrahàm, ְל ֵעי ֵני lɵenè [agli occhi – in presenza] de’ ְבּ ֵני bɵnè [figli] di Heth e di tutti quelli ch’entravano per la porta della città

di Efron.

ְו ַא ֲח ֵרי־ ֵכן ָק ַבר ַא ְב ָר ָהם ֶאת־ ָשׂ ָרה ִא ְשׁתּוֹ ֶאל־ ְמ ָע ַרת ְשׂ ֵדה ַה ַמּ ְכ ֵפּ ָלה ַעל־ ְפּ ֵני ַמ ְמ ֵרא ִהוא ֶח ְברוֹן ְבּ ֶא ֶר ץ ְכּ ָנ ַע ן ׃

Sarah ָשׂ ָרה Avrahàm seppellì ַא ְב ָר ָהם ,]Vɵach̠ are-chèn [E dopo questo ְו ַא ֲח ֵרי־ ֵכן 23:19 -àl ַעל־ ְפּ ֵני sɵdeh [campo] di Macpela ְשׂ ֵדה ishtò [sua moglie] nella caverna del ִא ְשׁתּוֹ

pɵnè [di fronte] a Mamre, che è Hebron, ְבּ ֶא ֶרץ bɵèretz [in terra] di ְכּ ָנ ַען kɵna’àn [Canaan].

ַו ָיּ ָקם ַה ָשּׂ ֶדה ְו ַה ְמּ ָע ָרה ֲא ֶשׁר־בּוֹ ְל ַא ְב ָר ָהם ַל ֲא ֻח ַזּת־ ָק ֶבר ֵמ ֵאת ְבּ ֵני־ ֵחת׃ 23:20 E ַה ָשּׂ ֶדה hassadeh [il campo] ְו ַה ְמּ ָע ָרה vɵhammɵarah [e la caverna] ֲא ֶשׁר־בּוֹ ashèr-

bo [che v’è in esso], furono assicurati ad ַא ְב ָר ָהם Avrahàm, dai ְבּ ֵני bɵnè [figli] di Heth, come sepolcro di sua proprietà.

TRADUZIONE

Morte e sepoltura di Sara

23Gli anni della vita di Sara furono centoventisette: questi furono gli anni della vita di Sara. Sara morì a Kiriat-Arbà, cioè Ebron, nella terra di Canaan, e Abramo venne a fare il lamento per Sara e a piangerla. 
3 Poi Abramo si staccò dalla salma e parlò agli Ittiti: “Io sono forestiero e di passaggio in mezzo a voi. Datemi la proprietà di un sepolcro in mezzo a voi, perché io possa portar via il morto e seppellirlo”. Allora gli Ittiti risposero ad Abramo dicendogli: “Ascolta noi, piuttosto, signore. Tu sei un principe di Dio in mezzo a noi: seppellisci il tuo morto nel migliore dei nostri sepolcri. Nessuno di noi ti proibirà di seppellire il tuo morto nel suo sepolcro”. 
Abramo si alzò, si prostrò davanti al popolo della regione, davanti agli Ittiti, e parlò loro: “Se è secondo il vostro desiderio che io porti via il mio morto e lo seppellisca, ascoltatemi e insistete per me presso Efron, figlio di Socar, perché mi dia la sua caverna di Macpela, che è all’estremità del suo campo. Me la ceda per il suo prezzo intero come proprietà sepolcrale in mezzo a voi”. 10 Ora Efron stava seduto in mezzo agli Ittiti. Efron l’Ittita rispose ad Abramo, mentre lo ascoltavano gli Ittiti, quanti erano convenuti alla porta della sua città, e disse: 11 “Ascolta me, piuttosto, mio signore: ti cedo il campo con la caverna che vi si trova, in presenza dei figli del mio popolo te la cedo: seppellisci il tuo morto”. 12 Allora Abramo si prostrò a lui alla presenza del popolo della regione. 13 Parlò a Efron, mentre lo ascoltava il popolo della regione, e disse: “Se solo mi volessi ascoltare: io ti do il prezzo del campo. Accettalo da me, così là seppellirò il mio morto”. 14 Efron rispose ad Abramo: 15 “Ascolta me piuttosto, mio signore: un terreno del valore di quattrocento sicli d’argento che cosa è mai tra me e te? Seppellisci dunque il tuo morto”.
16 Abramo accettò le richieste di Efron e Abramo pesò a Efron il prezzo che questi aveva detto, mentre lo ascoltavano gli Ittiti, cioè quattrocento sicli d’argento, secondo la misura in corso sul mercato. 17 Così il campo di Efron, che era a Macpela, di fronte a Mamre, il campo e la caverna che vi si trovava e tutti gli alberi che erano dentro il campo e intorno al suo limite 18 passarono in proprietà ad Abramo, alla presenza degli Ittiti, di quanti erano convenuti alla porta della città. 19 Poi Abramo seppellì Sara, sua moglie, nella caverna del campo di Macpela di fronte a Mamre, cioè Ebron, nella terra di Canaan. 20 Il campo e la caverna che vi si trovava passarono dagli Ittiti ad Abramo in proprietà sepolcrale.

NOTE

23,3 Ittiti: una delle popolazioni che precedettero in Canaan gli Israeliti. Ma non è chiaro quale rapporto ci sia fra loro e gli abitanti dell’impero degli Ittiti che si affermò più a nord (con centro in Anatolia, l’odierna Turchia).

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GENESI 22

Bɵreshìt 22

ַו ְי ִהי ַא ַחר ַה ְדּ ָב ִרים ָה ֵא ֶלּה ְו ָה ֱא􏰁 ִהים ִנ ָסּה ֶאת־ ַא ְב ָר ָהם ַויּ ֹא ֶמר ֵא ָליו ַא ְב ָר ָהם ַויּ ֹא ֶמר ִה ֵנּ ִני׃haddɵvarìm haèlleh [queste ַה ְדּ ָב ִרים ָה ֵא ֶלּה ]ach̠ àr [dopo ַא ַחר ]vay’hì [E fu ַו ְי ִהי 22:1 parole], avvenne che ֱא􏰁 ִהים Elohìm provò ַא ְב ָר ָהם Avrahàm, ַויֹּא ֶמר ֵא ָליו vayòmer elàv [e gli disse]: ‘ַא ְב ָר ָהם Avrahàm!’ Ed egli rispose: ‘ ִה ֵנּ ִני hinnenì [Eccomi]’.

ַויֹּאֶמר ַקח־ָנא ֶאת־ִבְּנ􏰀 ֶאת־ְיִחיְד􏰀 ֲאֶשׁר־ָאַהְבָתּ ֶאת־ִיְצָחקְוֶל􏰂־ְל􏰀 ֶאל־ֶאֶרץ ַהֹמִּרָיּהְוַהֲעֵלהוּ ָשׁם ְל ֹע ָלה ַעל ַא ַחד ֶה ָהִרים ֲא ֶשׁר ֹא ַמר ֵא ֶלי􏰀׃

et-binchà[iltuo ֶאת־ִבְּנ􏰀Elohìm:’Prendiora ֱא􏰁ִהים]Vayòmer[Edisseַויֹּאֶמר22:2 figlio], ֶאת־ ְי ִחי ְד􏰀 et-yɵch̠ idɵchà [l’unico tuo], ֲא ֶשׁר־ ָא ַה ְב ָתּ ashèr-ahabɵttà [colui che ami], el-èretz [in terra] di ֶאל־ ֶא ֶרץ]vɵlèch-lɵchà [e vattene ְו ֶל􏰂־ ְל􏰀 ,]Itz’ch̠ àk [Isacco ִי ְצ ָחק
lɵòlah [come olocausto] sopra uno dei ְל ֹע ָלה ]shàm [quivi ָשׁם Moryyah, e offrilo ֹמּ ִר ָיּה monti che ti dirò’.

ַו ַיּ ְשׁ ֵכּם ַא ְב ָר ָהם ַבּ ֹבּ ֶקר ַו ַיּ ֲח ֹבשׁ ֶאת־ ֲח ֹמרוֹ ַו ִיּ ַקּח ֶאת־ ְשׁ ֵני ְנ ָע ָריו ִאתּוֹ ְו ֵאת ִי ְצ ָחק ְבּנוֹ ַו ְי ַב ַקּע ֲע ֵצי ֹע ָלה ַו ָיּ ָקם ַו ֵיּ ֶל􏰂 ֶאל־ ַה ָמּקוֹם ֲא ֶשׁר־ ָא ַמר־לוֹ ָה ֱא􏰁 ִהים׃

22:3 E ַא ְב ָר ָהם Avrahàm, levatosi ַבּ ֹבּ ֶקר babòker [nel mattino], e sellò il suo asino, et-shɵne [due] de’ suoi servitori e ֶאת־ ְשׁ ֵני ]ittò [con sé ִאתּוֹ ]vayikkàch̠ [e prese ַו ִיּ ַקּח

òlah ֹע ָלה bɵnò [suo figlio], spaccò delle legna per ְבּנוֹ ]Itz’ch̠ àk [Isacco ִי ְצ ָחק ֱא􏰁 ִהים el-hammakon [al luogo] che ֶאל־ ַה ָמּקוֹם l’olocausto], poi partì per andare[ Elohìm gli aveva detto.

ַבּיּוֹם ַהְשִּׁליִשׁיַוִיָּשּׂא ַאְבָרָהם ֶאת־ֵעיָניוַוַיְּרא ֶאת־ַהָמּקוֹם ֵמָרֹחק׃ Avrahàm alzò gli ַא ְב ָר ָהם ,]bayòm hasshɵlìshì [nel terzo giorno ַבּיּוֹם ַה ְשּׁ ִלי ִשׁי 22:4

occhi ַו ַיּ ְרא vayàr [e vide] da lontano il luogo.

ַויֹּא ֶמר ַא ְב ָר ָהם ֶאל־ ְנ ָע ָריו ְשׁבוּ־ ָל ֶכם ֹפּה ִעם־ ַה ֲחמוֹר ַו ֲא ִני ְו ַה ַנּ ַער ֵנ ְל ָכה ַעד־ ֹכּה ְו ִנ ְשׁ ַתּ ֲח ֶוה ְו ָנשׁוּ ָבה ֲא ֵלי ֶכם׃

ַו ֲא ִני ְו ַה ַנּ ַער ;Avrahàm disse ai suoi servitori: ‘Rimanete qui con l’asino ַא ְב ָר ָהם E 22:5 va’anì vɵhanna’ar [e io ed il ragazzo] andremo fin colà e adoreremo; poi torneremo .’]alechèm [a voi ֲא ֵלי ֶכם

ַו ִיּ ַקּח ַא ְב ָר ָהם ֶאת־ ֲע ֵצי ָה ֹע ָלה ַו ָיּ ֶשׂם ַעל־ ִי ְצ ָחק ְבּנוֹ ַו ִיּ ַקּח ְבּ ָידוֹ ֶאת־ ָה ֵאשׁ ְו ֶאת־ ַה ַמּ ֲא ֶכ ֶלת ַו ֵיּ ְלכוּ ְשׁ ֵני ֶהם ַי ְח ָדּו׃ ]haòlah [l’olocausto ָה ֹע ָלה Avrahàm la legna per ַא ְב ָר ָהם ]vayikkàch̠ [E prese ַו ִיּ ַקּח22:6

e le pose addosso a ִי ְצ ָחק Itz’ch̠ àk [Isacco] ְבּנוֹ bɵnò [suo figlio]; ַו ִיּ ַקּח vayikkàch̠ [e ַו ֵיּ ְלכוּ]shɵnehèm [e loro due ְשׁ ֵני ֶהם ,èsh [fuoco] e il coltello ֵאשׁ prese] in mano sua il vaiyelɵchù [e andarono – s’incamminarono] ַי ְח ָדּו yach̠ ’dàv [assieme].

ַויּ ֹא ֶמר ִי ְצ ָחק ֶאל־ ַא ְב ָר ָהם ָא ִביו ַויּ ֹא ֶמר ָא ִבי ַויּ ֹא ֶמר ִה ֶנּ ִנּי ְב ִני ַויּ ֹא ֶמר ִה ֵנּה ָה ֵאשׁ ְו ָה ֵע ִצים ְו ַא ֵיּה ַה ֶשּׂה ְל ֹע ָלה׃

ַויֹּא ֶמר ]aviv [suo padre ָא ִביו Avrahàm ַא ְב ָר ָהם Itz’ch̠ àk [Isacco] parlò ad ִי ְצ ָחק E 22:7 Vayòmer [e disse]: ‘ָא ִבי avì [padre mio]!’ ַא ְב ָר ָהם Avrahàm rispose: ‘ ִה ֶנּ ִנּי hinnennì [Eccomi qui], figlio mio’. E ִי ְצ ָחק Itz’ch̠ àk [Isacco]: ‘ ִה ֵנּה hinneh [Ecco] il ֵאשׁ èsh [fuoco] e le legna; ma dov’è ַה ֶשּׂה hasseh [l’agnello] ְל ֹע ָלה lɵòlah [per l’olocausto]?’

ַויּ ֹא ֶמר ַא ְב ָר ָהם ֱא􏰁 ִהים ִי ְר ֶאה־לּוֹ ַה ֶשּׂה ְל ֹע ָלה ְבּ ִני ַו ֵיּ ְלכוּ ְשׁ ֵני ֶהם ַי ְח ָדּו׃ ,]bɵnì [Figliuol mio ְבּ ִני’ :]vayòmer [e disse – rispose ַויֹּא ֶמר Avrahàm ַא ְב ָר ָהם 22:8

.’]lɵòlah [per l’olocausto ְל ֹע ָלה ]hasseh [l’agnello ַה ֶשּׂה Elohìm se lo provvederà ֱא􏰁 ִהים .]yach̠ ’dàv [assieme ַי ְח ָדּו ]shɵnehèm [ambedue ְשׁ ֵני ֶהם ]vaiyelɵchù [E andarono ַו ֵיּ ְלכוּ

ַוָיֹּבאוּ ֶאל־ַהָמּקוֹם ֲאֶשׁר ָאַמר־לוֹ ָהֱא􏰁ִהיםַוִיֶּבן ָשׁם ַאְבָרָהם ֶאת־ַהִמְּזֵבַּחַוַיֲּעֹר􏰂 ֶאת־ָהֵעִצים ַו ַיּ ֲע ֹק ד ֶא ת ־ ִי ְצ ָח ק ְבּ נ וֹ ַו ָיּ ֶשׂ ם ֹא ת וֹ ַע ל ־ ַה ִמּ ְז ֵבּ ַח ִמ ַמּ ַע ל ָל ֵע ִצ י ם ׃

el-hammakon [al luogo] che ֶאל־ ַה ָמּקוֹם ]vayavoù [e entrarono – E giunsero ַו ָיּ ֹבאוּ 22:9 ַא ְב ָר ָהם]shàm [quivi ָשׁם ]vayìven [ed edificò ַו ִיּ ֶבן ,Elohìm gli aveva detto ֱא􏰁 ִהים ִי ְצ ָחק et.hammizbèach̠ [il altare], e vi accomodò le legna; legò ֶאת־ ַה ִמּ ְז ֵבּ ַח Avrahàm

Itz’ch̠ àk [Isacco] ְבּנוֹ bɵnò [suo figlio], e lo mise ַעל־ ַה ִמּ ְז ֵבּ ַח al’hammizbèach̠ [sull’altare], sopra le legna.

ַוִיּ ְשׁ ַלח ַאְבָר ָהם ֶאת־ָידוֹ ַוִיּ ַקּח ֶאת־ ַה ַמּ ֲא ֶכ ֶלת ִל ְשׁ ֹחט ֶאת־ְבּנוֹ׃ vayish’làch̠ Avrahàm et-yadò [E Avrahàm stese la sua ַו ִיּ ְשׁ ַלח ַא ְב ָר ָהם ֶאת־ ָידוֹ 22:10

mano] ַו ִיּ ַקּח vayikkàch̠ [E prese] il coltello per scannare ֶאת־ ְבּנוֹ et-bɵnò [il suo figlio].

ַו ִיּ ְק ָרא ֵא ָליו ַמ ְל ַא􏰂 יהוה ִמן־ ַה ָשּׁ ַמ ִים ַויּ ֹא ֶמר ַא ְב ָר ָהם ַא ְב ָר ָהם ַויּ ֹא ֶמר ִה ֵנּ ִני׃ Yahweh gli gridò יהוהmal’ach [angelo] di ַמ ְל ַא􏰂 ’vayyikrà [E chiamò] l ַו ִיּ ְק ָרא 22:11 ,Avrahàm ַאְבָר ָהם’:]vayòmer[edisseַויֹּא ֶמר]min-shamàim[dalcielo ִמן־ ַה ָשּׁ ַמִים
.]hinnenì [Eccomi ִה ֵנּ ִני :Avrahàm’ E disse ַא ְב ָר ָהם

ַויֹּא ֶמר ַאל־ ִתּ ְשׁ ַלח ָי ְד􏰀 ֶאל־ ַה ַנּ ַער ְו ַאל־ ַתּ ַעשׂ לוֹ ְמאוּ ָמּה ִכּי ַע ָתּה ָי ַד ְע ִתּי ְולֹא ָח ַשׂ ְכ ָתּ ֶאת־ ִבּ ְנ􏰀 ֶאת־ ְי ִחי ְד􏰀 ִמ ֶמּ ִנּי׃

22:12. E disse: ‘ל ֹא lò [non] metter la mano addosso ֶאל־ ַה ַנּ ַער el-hanna’ar [al ragazzo], ִכּי־ְיֵרא ֱא􏰁ִהים ַאָתּהvɵal-ttaàslo[enonglifarai]alcunchè;poichéorasoְוַאל־ַתַּעשׂלוֹ kì-yɵrèElohìmattah[chetutemiElohìm],ְולֹאvɵlò[enon]m’hairifiutatoֶאת־ִבְּנ􏰀 et- binchà [il tuo figlio], ֶאת־ ְי ִחי ְד􏰀 et-yɵch̠ idɵchà [l’unico tuo] ִמ ֶמּ ִנּי mimmenì [da me]’.

ַו ִיּ ָשּׂא ַא ְב ָר ָהם ֶאת־ ֵעי ָניו ַו ַיּ ְרא ְו ִה ֵנּה־ ַא ִיל ַא ַחר ֶנ ֱא ַחז ַבּ ְסּ ַב􏰂 ְבּ ַק ְר ָניו ַו ֵיּ ֶל􏰂 ַא ְב ָר ָהם ַו ִיּ ַקּח ֶאת־ ָה ַא ִיל ַו ַיּ ֲע ֵלהוּ ְל ֹע ָלה ַתּ ַחת ְבּנוֹ׃

22:13 E ַא ְב ָר ָהם Avrahàm alzò gli occhi, ַו ַיּ ְרא vayàr [E vide], ְו ִה ֵנּה־ ַא ִיל vɵhinneh-ayil [ed ecco-un ariete], ַא ַחר ach̠ àr [dopo – dietro] nel cespuglio, che si era impigliato con le sue corna. E ַא ְב ָר ָהם Avrahàm andò, ַו ִיּ ַקּח vayikkàch̠ [e prese] il montone, e l’offerse .]bɵnò [suo figlio ְבּנוֹ lɵòlah [in olocausto] invece del ְל ֹע ָלה

ַוִיּ ְק ָרא ַא ְב ָר ָהם ֵשׁם־ ַה ָמּקוֹם ַההוּא יהוה ִיְר ֶאה ֲא ֶשׁר ֵי ָא ֵמר ַהיּוֹם ְבּ ַהר יהוה ֵי ָר ֶאה׃ shèm-hammakòmֵשׁם־ ַה ָמּקוֹם ַההוּא Avrahàm ַא ְב ָר ָהם ]vayyikrà [E chiamò ַו ִיּ ְק ָרא 22:14 hahù [il nome di quel luogo] יהוה ִי ְר ֶאה Yahweh ìr’eh [Yahweh provederà]. Per ֵי ָר ֶאה Yahweh יהוה bɵhar [sul monte] di ְבּ ַהר’ :]hayòm [oggi ַהיּוֹם questo si dice yeraeh [sarà provveduto]’.

ַו ִיּ ְק ָרא ַמ ְל ַא􏰂 יהוה ֶאל־ ַא ְב ָר ָהם ֵשׁ ִנית ִמן־ ַה ָשּׁ ָמ ִים׃ ִמן־ Yahweh יהוה mal’ach [angelo] di ַמ ְל ַא􏰂’Vayyikrà [E chiamò] l ַו ִיּ ְק ָרא 22:15

ַויֹּאֶמר,Avrahàmunasecondavolta ַאְבָרָהם]min-hashamàim[dalcielo ַהָשָּׁמִים vayòmer [e disse]:

ַויֹּא ֶמר ִבּי ִנ ְשׁ ַבּ ְע ִתּי ְנ ֻאם־יהוה ִכּי ַי ַען ֲא ֶשׁר ָע ִשׂי ָת ֶאת־ ַה ָדּ ָבר ַה ֶזּה ְולֹא ָח ַשׂ ְכ ָתּ ֶאת־ ִבּ ְנ􏰀 ֶאת־ ְי ִחי ֶד􏰀׃

22:16 E disse יהוה Yahweh ‘ ִנ ְשׁ ַבּ ְע ִתּי nish’battì [giuro] ִבּי bì [per me] stesso, che, siccome tu hai fatto ֶאת־ ַה ָדּ ָבר ַה ֶזּה et-haddavàr hazzeh [questa cosa] ְולֹא vɵlò [e non] m’hairifiutatoֶאת־ִבְּנ􏰀 et-binchà[iltuofiglio],ֶאת־ְיִחיֶד􏰀 et-iɵch̠idechà[l’unicotuo],

ִכּי־ ָב ֵר􏰂 ֲא ָב ֶר ְכ􏰀 ְו ַהְר ָבּה ַאְר ֶבּה ֶאת־ ַזְר ֲע􏰀 ְכּכוֹ ְכ ֵבי ַה ָשּׁ ַמִים ְו ַכחוֹל ֲא ֶשׁר ַעל־ ְשׂ ַפת ַה ָיּם ְוִי ַרשׁ ַזְר ֲע􏰀 ֵאת ַשׁ ַער ֹאְי ָביו׃

kì-varèch avarechɵchà [certo benedire – ti benedirò] e ִכּי־ ָב ֵר􏰂 ֲא ָב ֶר ְכ􏰀 22:17 moltiplicherò la tua progenie come le stelle ַה ָשּׁ ַמ ִים hashamàim [del cielo] e come la

ֹאְיָביוhayàm[delmare];elatuaprogeniepossederàlaporta ַהָיּםrenach’èsullido oyɵvàv [de’ suoi nemici].

ְו ִה ְת ָבּ ֲרכוּ ְב ַז ְר ֲע􏰀 ֹכּל גּוֹ ֵיי ָה ָא ֶרץ ֵע ֶקב ֲא ֶשׁר ָשׁ ַמ ְע ָתּ ְבּ ֹק ִלי׃ vɵhit’barachù [E saranno benedette] per il tuo seme (la tua ְו ִה ְת ָבּ ֲרכוּ 22:18

discendenza) tutte גּוֹ ֵיי goyè [le nazioni] ָה ָא ֶרץ ha’àretz [della terra], ֵע ֶקב ekev [poiche] ָשׁ ַמ ְע ָתּ ְבּ ֹק ִלי shamàtta bɵkolì [ascoltasti la mia voce]’.

ַוָיּ ָשׁב ַאְבָרָהם ֶאל־ְנָעָריו ַוָיֻּקמוּ ַוֵיְּלכוּ ַיְחָדּו ֶאל־ְבֵּאר ָשַׁבע ַוֵיּ ֶשׁב ַאְבָרָהם ִבְּבֵאר ָשַׁבע׃ Avrahàm ai suoi servitori; e si ַא ְב ָר ָהם ]vayashàv [e ritornò – Poi se ne tornò ַו ָיּ ָשׁב 22:19 levarono, ַו ֵיּ ְלכוּ vaiyelɵchù [e se n’andarono] ַי ְח ָדּו yach̠ ’dàv [insieme] a Beer-Sceba. E .Avrahàm dimorò a Beer-Sceba ַא ְב ָר ָהם

ַו ְי ִה י ַא ֲח ֵר י ַה ְדּ ָב ִר י ם ָה ֵא ֶלּ ה ַו יּ ֻ ַגּ ד ְל ַא ְב ָר ָה ם ֵל א ֹמ ר ִה ֵנּ ה ָי ְל ָד ה ִמ ְל ָכּ ה ַג ם ־ ִה ו א ָבּ ִנ י ם ְל ָנ ח וֹ ר ָא ִח י 􏰀 ׃

]haddɵvarìm haèlleh [queste parole ַה ְדּ ָב ִרים ָה ֵא ֶלּה vay’hì [E fu] dopo ַו ְי ִהי 22:20

ָי ְל ָדה hinneh [Ecco], Milca ִה ֵנּה ‘ :Avrahàm questo ַא ְב ָר ָהם avvenne che fu riferito ad

yalɵdah [ha partorito] anch’ella de’ ָבּ ִנים banìm [figli] a Nahor, ָא ִחי􏰀 ach̠ ìcha [tuo fratello]:

ֶאת־עוּץְבֹּכרוְֹוֶאת־בּוּזָאִחיוְוֶאת־ְקמוֵּאלֲאִביֲאָרם׃ 22:21 Uz, ְבּ ֹכרוֹ bɵchorò [ suo primogenito] [primogenito], Buz ָא ִחיו ach̠ iv [suo

fratello], Kemuel padre d’Aram,

ְו ֶאת־ ֶכּ ֶשׂד ְו ֶאת־ ֲחזוֹ ְו ֶאת־ ִפּ ְל ָדּשׁ ְו ֶאת־ ִי ְד ָלף ְו ֵאת ְבּתוּ ֵאל׃ 22:22 Kesed, Hazo, Pildash, Ìdlaf e Bethuel’.

וְּבתוֵּאל ָיַלד ֶאת־ִרְבָקה ְשֹׁמָנה ֵאֶלּה ָיְלָדה ִמְלָכּה ְלָנחוֹר ֲאִחי 22:23 E Bethuel ָי ַלד yalad [generò] ִר ְב ָקה Riv’kah [Rebecca]. ֵא ֶלּה èlleh [Questi]

àch̠ [fratello] di ָאח ,yalɵdah [partorì] a Nahor ָי ְל ָדה shɵmonah [otto] (figli) Milca ְשׁ ֹמ ָנה . A v r a h à m ַא ְב ָר ָה ם

וּ ִפי ַל ְגשׁוֹ וּ ְשׁ ָמהּ ְראוּ ָמה ַו ֵתּ ֶלד ַגּם־ ִהוא ֶאת־ ֶט ַבח ְו ֶאת־ ַגּ ַחם ְו ֶאת־ ַתּ ַחשׁ ְו ֶאת־ ַמ ֲע ָכה׃

22:24 E la concubina di lui, וּ ְשׁ ָמהּ uShɵmah [e il nome di lei] Reumah, ַו ֵתּ ֶלד vattèled [e partorì] anch’essa Thebah, Gaam, Tahash e Maaca.

TRADUZIONE

Sacrificio di Isacco

22.1 Dopo queste cose, Dio mise alla prova Abramo e gli disse: “Abramo!”. Rispose: “Eccomi!”. 2 Riprese: “Prendi tuo figlio, il tuo unigenito che ami, Isacco, va’ nel territorio di Mòria e offrilo in olocausto su di un monte che io ti indicherò”.
Abramo si alzò di buon mattino, sellò l’asino, prese con sé due servi e il figlio Isacco, spaccò la legna per l’olocausto e si mise in viaggio verso il luogo che Dio gli aveva indicato. Il terzo giorno Abramo alzò gli occhi e da lontano vide quel luogo. Allora Abramo disse ai suoi servi: “Fermatevi qui con l’asino; io e il ragazzo andremo fin lassù, ci prostreremo e poi ritorneremo da voi”. Abramo prese la legna dell’olocausto e la caricò sul figlio Isacco, prese in mano il fuoco e il coltello, poi proseguirono tutti e due insieme.Isacco si rivolse al padre Abramo e disse: “Padre mio!”. Rispose: “Eccomi, figlio mio”. Riprese: “Ecco qui il fuoco e la legna, ma dov’è l’agnello per l’olocausto?”. Abramo rispose: “Dio stesso si provvederà l’agnello per l’olocausto, figlio mio!”. Proseguirono tutti e due insieme. 
9 Così arrivarono al luogo che Dio gli aveva indicato; qui Abramo costruì l’altare, collocò la legna, legò suo figlio Isacco e lo depose sull’altare, sopra la legna. 10 Poi Abramo stese la mano e prese il coltello per immolare suo figlio. 11 Ma l’angelo del Signore lo chiamò dal cielo e gli disse: “Abramo, Abramo!”. Rispose: “Eccomi!”. 12 L’angelo disse: “Non stendere la mano contro il ragazzo e non fargli niente! Ora so che tu temi Dio e non mi hai rifiutato tuo figlio, il tuo unigenito”. 13 Allora Abramo alzò gli occhi e vide un ariete, impigliato con le corna in un cespuglio. Abramo andò a prendere l’ariete e lo offrì in olocausto invece del figlio. 14 Abramo chiamò quel luogo “Il Signore vede”; perciò oggi si dice: “Sul monte il Signore si fa vedere”. 
15 L’angelo del Signore chiamò dal cielo Abramo per la seconda volta 16 e disse: “Giuro per me stesso, oracolo del Signore: perché tu hai fatto questo e non hai risparmiato tuo figlio, il tuo unigenito, 17 io ti colmerò di benedizioni e renderò molto numerosa la tua discendenza, come le stelle del cielo e come la sabbia che è sul lido del mare; la tua discendenza si impadronirà delle città dei nemici. 18 Si diranno benedette nella tua discendenza tutte le nazioni della terra, perché tu hai obbedito alla mia voce”.
19 Abramo tornò dai suoi servi; insieme si misero in cammino verso Betsabea e Abramo abitò a Betsabea.
Discendenza di Nacor20 Dopo queste cose, fu annunciato ad Abramo che anche Milca aveva partorito figli a Nacor, suo fratello: 21 Us, il primogenito, e suo fratello Buz e Kemuèl, il padre di Aram, 22e Chesed, Azo, Pildas, Idlaf e Betuèl. 23 Betuèl generò Rebecca. Milca partorì questi otto figli a Nacor, fratello di Abramo. 24 Anche la sua concubina, chiamata Reumà, partorì figli: Tebach, Gacam, Tacas e Maacà.

NOTE

22,1-19 È la “prova” suprema della fede di Abramo: il figlio non gli appartiene, ma è frutto della promessa e Dio si manifesta come colui che vuole la vita dell’uomo e chiede ascolto e fede. Una delle applicazioni più immediate del brano dovette essere il rifiuto dei sacrifici umani.

22,2 Il monte Mòria in  2Cr 3,1 è identificato con il luogo dove sorge il tempio di Gerusalemme.

22,9 legò suo figlio Isaccoaqedah, cioè “legatura”, è la denominazione con cui l’ebraismo indica questa prova di Abramo.

22,16 tuo figlio, il tuo unigenito (vedi anche v. 2): è diventato, nella traduzione greca dei LXX “il tuo figlio amato”, espressione che nei vangeli viene riferita a Gesù dalla voce celeste (Mc 1,11 e paralleli). Il verbo risparmiare viene poi applicato da Paolo a Dio Padre che non ha risparmiato il proprio Figlio, ma lo ha consegnato(Rm 8,32).

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GENESI 21

Bɵreshìt 21
ָשׂ ָרה Yahweh fece a יהוה Sarah come aveva detto; e ָשׂ ָרה Yahweh visitò יהוה 21:1

ַויהוה ָפּ ַקד ֶאת־ ָשׂ ָרה ַכּ ֲא ֶשׁר ָא ָמר ַו ַיּ ַעשׂ יהוה ְל ָשׂ ָרה ַכּ ֲא ֶשׁר ִדּ ֵבּר׃ Sarah come aveva annunziato.

ַוַתַּהר ַוֵתֶּלד ָשָׂרה ְלַאְבָרָהם ֵבּן ִלְזֻקָניו ַלמּוֵֹעד ֲא ֶשׁר־ִדֶּבּר ֹאתוֹ ֱא􏰁ִהים׃ 21:2 E ָשׂ ָרה Sarah ַו ַתּ ַהר vattahar [e concepì – e rimasse incinta] ַו ֵתּ ֶלד vattèled [e

ֲא ֶשׁר־ ִדּ ֶבּר ֹאתוֹ ,Avrahàm, quand’egli era vecchio ַא ְב ָר ָהם ben [figlio] ad ֵבּן partorì] un ashèr-ddibèròtoElohìm[altempocheparlòElohìmalui-altempocheElohìmgli ֱא􏰁ִהים aveva parlato].

ַו ִיּ ְק ָרא ַא ְב ָר ָהם ֶאת־ ֶשׁם־ ְבּנוֹ ַהנּוֹ ַלד־לוֹ ֲא ֶשׁר־ ָי ְל ָדה־לּוֹ ָשׂ ָרה ִי ְצ ָחק׃ et-shèm-benò [il nome ֶאת־ ֶשׁם־ ְבּנוֹ Avrahàm ַא ְב ָר ָהם ]va’yyi’krà [E chiàmo ַו ִיּ ְק ָרא 21:3

di suo figlio] ִי ְצ ָחק Itz’ch̠ àk [Isacco] che gli era nato, che ָשׂ ָרה Sarah gli aveva partorito.

ַו ָיּ ָמ ל ַא ְב ָר ָה ם ֶא ת ־ ִי ְצ ָח ק ְבּ נ וֹ ֶבּ ן ־ ְשׁ ֹמ ַנ ת ָי ִמ י ם ַכּ ֲא ֶשׁ ר ִצ ָוּ ה ֹא ת וֹ ֱא 􏰁 ִה י ם ׃ ִי ְצ ָחק ]bɵnò [suo figlio ְבּנוֹ Avrahàm il ַא ְב ָר ָהם ]vayyamol [E circoncise ַו ָיּ ָמל 21:4

Itz’ch̠ àk [Isacco] ֶבּן־ ְשׁ ֹמ ַנת ben-shɵmonàt [all’età di otto] giorni, come ֱא􏰁 ִהים Elohìm gli aveva comandato.

ְו ַא ְב ָר ָהם ֶבּן־ ְמ ַאת ָשׁ ָנה ְבּ ִה ָוּ ֶלד לוֹ ֵאת ִי ְצ ָחק ְבּנוֹ׃ 21:5 Or ַא ְב ָר ָהם Avrahàm ֶבּן־ ְמ ַאת ben-mɵat [figlio di aveva cento anni] ָשׁ ָנה shanah

[anno], ְבּ ִה ָוּ ֶלד לוֹ bɵhiwaled lo [quando gli nacque] ֵאת ִי ְצ ָחק ְבּנוֹ et Itz’ch̠ àk benò [il suo figlio Isacco].

ַותֹּא ֶמר ָשׂ ָרה ְצ ֹחק ָע ָשׂה ִלי ֱא􏰁 ִהים ָכּל־ ַה ֹשּׁ ֵמ ַע ִי ְצ ַחק־ ִלי׃

]àsah lì [m’ha fatto ָע ָשׂה ִלי Elohìm ֱא􏰁 ִהים’ :Sarah ָשׂ ָרה ]vattòmer [E disse ַותּ ֹא ֶמר 21:6 Itz’ch̠ àk-lì ִי ְצ ַחק־ ִלי ]kol-hashomèa [chiunque l’udrà ָכּל־ ַה ֹשּׁ ֵמ ַע ;]tzɵch̠ ok [ridere ְצ ֹחק [riderà con me]’.

ַותֹּא ֶמר ִמי ִמ ֵלּל ְל ַאְבָר ָהם ֵהיִני ָקה ָבִנים ָשָׂרה ִכּי־ָי ַלְדִתּי ֵבן ִלְז ֻקָניו׃ Avrahàm ַא ְב ָר ָהם mì [Chi] avrebbe mai detto ad ִמי ‘ :]vattòmer [E disse ַותֹּא ֶמר 21:7 che ָשׂ ָרה Sarah allatterebbe ָב ִנים vanìm [figli]? ִכּי־ ָי ַל ְד ִתּי kì yaladɵtì [poiché io gli ho

partorito] un ֵבּן ben [figlio] nella sua vecchiaia’.

ַוִיְּגַדּל ַהֶיֶּלד ַוִיָּגַּמל ַוַיַּעשׂ ַאְבָרָהם ִמְשֶׁתּה ָגדוֹל ְבּיוֹם ִהָגֵּמל ֶאת־ִיְצָחק׃ ִי ְצ ָחק bɵyòm [nel giorno] che ְבּיוֹם Il bambino dunque crebbe e fu divezzato; e 21:8

Itz’ch̠ àk [Isacco] fu divezzato, ַא ְב ָר ָהם Avrahàm fece un gran convito.

ַוֵתֶּרא ָשָׂרה ֶאת־ֶבּן־ָהָגר ַהִמְּצִרית ֲא ֶשׁר־ָיְלָדה ְלַאְבָרָהם ְמַצֵחק׃ 21:9 E ָשׂ ָרה Sarah vide ֶאת־ ֶבּן־ ָה ָגר et-ben-hagar [che il figlio di Agar] l’egiziana che

aveva partorito ad ַא ְב ָר ָהם Avrahàm, rideva;

ַותּ ֹא ֶמר ְל ַא ְב ָר ָהם ָגּ ֵרשׁ ָה ָא ָמה ַהזּ ֹאת ְו ֶאת־ ְבּ ָנהּ ִכּי ל ֹא ִיי ַרשׁ ֶבּן־ ָה ָא ָמה ַהזּ ֹאת ִעם־ ְבּ ִני ִעם־ ִי ְצ ָחק׃ ְו ֶאת־ Avrahàm: ‘Caccia via questa serva e ַא ְב ָר ָהם vattòmer [E disse] ad ַותֹּא ֶמר 21:10 ]lò [non ל ֹאben [figlio] di questa serva ֶבּן vɵet-bɵnàh [e il figlio di lei]; perché il ְבּ ָנהּ ha da essere erede ִעם־ ְבּ ִני im-bɵnì [con mio figlio], con ִי ְצ ָחק Itz’ch̠ àk [Isacco]’.

ַוֵיַּרע ַהָדָּבר ְמֹאד ְבֵּעיֵני ַאְבָרָהם ַעלאוֹֹדת ְבּנוֹ׃ 21:11 E ַה ָדּ ָבר haddavàr [la parola-la cosa] dispiacque ְבּ ֵעי ֵני bɵ’enè [agli occhi] di

.]bɵnò [suo figlio ְבּנוֹ Avrahàm, a motivo del ַא ְב ָר ָהם

ַויֹּא ֶמר ֱא􏰁 ִהים ֶאל־ ַא ְב ָר ָהם ַאל־ ֵי ַרע ְבּ ֵעי ֶני􏰀 ַעל־ ַה ַנּ ַער ְו ַעל־ ֲא ָמ ֶת􏰀 ֹכּל ֲא ֶשׁר תֹּא ַמר ֵא ֶלי􏰀 ָשׂ ָרה ְשׁ ַמע ְבּ ֹק ָלהּ ִכּי ְב ִי ְצ ָחק ִי ָקּ ֵרא ְל􏰀 ָז ַרע׃

21:12 Ma ֱא􏰁 ִהים Elohìm disse ad ַא ְב ָר ָהם Avrahàm: ַאל־ ֵי ַרע ְבּ ֵעי ֶני􏰀 al-yerà bɵenècha [non sia male -Questo non ti dispiaccia ai ochi tuoi], a motivo ַעל־ ַה ַנּ ַער al-hanna’ar [del ָשׂ ָרה ]kol ashèr [tutto quello che ֹכּל ֲא ֶשׁר fanciullo] e della tua serva; acconsenti a ִי ְצ ָחק bɵkòlah [la voce di lei], poiché in ְבּ ֹק ָלהּ]shɵma֜ [ascolta ְשׁ ַמע ;Sarah ti dirà Itz’ch̠ àk [Isacco] sarà chiamata per te ָז ַרע zarà [discendenza].

ְו ַגם ֶאת־ ֶבּן־ ָה ָא ָמה ְלגוֹי ֲא ִשׂי ֶמנּוּ ִכּי ַז ְר ֲע􏰀 הוּא׃

21:13 Ma anche del ֶבּן ben [figlio] di questa serva io farò una nazione, perché è tua progenie’.

ַוַיְּשֵׁכּם ַאְבָרָהם ַבֹּבֶּקרַוִיַּקּח־ֶלֶחםְוֵחַמת ַמִיםַוִיֵּתּן ֶאל־ָהָגר ָשׂם ַעל־ִשְׁכָמהְּוֶאת־ַהֶיֶּלדַוְיַשְׁלֶּחָה ַוֵתֶּל􏰂ַוֵתַּתעְבִּמְדַבּרְבֵּאר ָשַׁבע׃

ַו ִיּ ַקּח־ ֶל ֶחם ,]babòker [nel mattino ַבּ ֹבּ ֶקר Avrahàm dunque si levò ַא ְב ָר ָהם 21:14 vayikkàch̠-lèch̠em[epresedelpane]eunotrediַמִים màim[acqua],elodiedead Agar, mettendoglielo sulle spalle; le diede anche il fanciullo, e la mandò via. Ed essa partì ַו ֵתּ ֶל􏰂 vattelèch [e andò] errando ְבּ ִמ ְד ַבּר bɵmidbàr [per il deserto] di Beer-Sceba.

ַוִיְּכלוּ ַהַמִּים ִמן־ַהֵחֶמת ַוַתְּשֵׁל􏰂 ֶאת־ַהֶיֶּלד ַתַּחת ַאַחד ַהִשּׂיִחם׃ 21:15Equandoַהַמִּים hammàim[l’acqua]dell’otrevennemeno,essalasciòcadereil

fanciullo sotto un arboscello.

ַו ֵתּ ֶל 􏰂 ַו ֵתּ ֶשׁ ב ָל הּ ִמ ֶנּ ֶג ד ַה ְר ֵח ק ִכּ ְמ ַט ֲח ֵו י ֶק ֶשׁ ת ִכּ י ָא ְמ ָר ה ַא ל ־ ֶא ְר ֶא ה ְבּ מ וֹ ת ַה ָיּ ֶל ד ַו ֵתּ ֶשׁ ב ִמ ֶנּ ֶג ד ַו ִתּ ָשּׂ א ֶאת־ ֹק ָלהּ ַו ֵתּ ְב ְךּ׃

vattelèch [E se ne andò], e si pose a sedere di fronte, a distanza d’un tiro ַו ֵתּ ֶל􏰂 21:16 d’arco; perché diceva: ‘Ch’io ל ֹא lò [non] vegga ְבּמוֹת bɵmòt [morire] ַה ָיּ ֶלד hayadel [il

ַו ֵתּ ְב ְךּ ]et-kolàh [la sua voce ֶאת־ ֹק ָלהּ bambino]!’ E sedendo così di fronte, e alzò vattev’ch [e pianse].

ַו ִיּ ְשׁ ַמע ֱא􏰁 ִהים ֶאת־קוֹל ַה ַנּ ַער ַו ִיּ ְק ָרא ַמ ְל ַא􏰂 ֱא􏰁 ִהים ֶאל־ ָה ָגר ִמן־ ַה ָשּׁ ַמ ִים ַויּ ֹא ֶמר ָלהּ ַמה־ ָלּ􏰂 ָה ָגר ַאל־ ִתּי ְר ִאי ִכּי־ ָשׁ ַמע ֱא􏰁 ִהים ֶאל־קוֹל ַה ַנּ ַער ַבּ ֲא ֶשׁר הוּא־ ָשׁם׃

21:17 E ascoltò ֱא􏰁 ִהים Elohìm ֶאת־קוֹל et-kol [la voce] ַה ַנּ ַער hanna’ar [del ragazzo]; ִמן־ Elohìm ad Agar ֱא􏰁 ִהים mal’ach [l’angelo] di ַמ ְל ַא􏰂’ ]vayyikrà [e Chiamò ַו ִיּ ְק ָרא ִכּי־ ,lò [non] temere ל ֹא ?min-hashamàim [dal cielo], e le disse: ‘Che hai, Agar ַה ָשּׁ ַמ ִים ַה ַנּ ַער ]el-kol [la voce ֶאל־קוֹל ]kì shamà Elohìm [poiché Elohìm ha udito ָשׁ ַמע ֱא􏰁 ִהים hanna’ar [del fanciullo] là dov’è.

קוּ ִמי ְשׂ ִאי ֶאת־ ַה ַנּ ַער ְו ַה ֲח ִזי ִקי ֶאת־ ָי ֵד􏰂 בּוֹ ִכּי־ ְלגוֹי ָגּדוֹל ֲא ִשׂי ֶמנּוּ׃ 21:18 Lèvati, prendi ֶאת־ ַה ַנּ ַער et-hanna’ar [il ragazzo] e tienlo per la mano; perché io

farò di lui una ָגּדוֹל gadòl [grande] nazione’.

ַוִיְּפַקח ֱא􏰁ִהים ֶאת־ֵעיֶניָה ַוֵתֶּרא ְבֵּאר ָמִים ַוֵתֶּל􏰂 ַוְתַּמֵלּא ֶאת־ַהֵחֶמת ַמִים ַוַתְּשְׁק ֶאת־ַהָנַּער׃ 21:19Eֱא􏰁ִהים Elohìmleapersegliocchi,edellavideunpozzodiַמִים màim[acqua]: .màim [acqua] l’otre, e diè da bere al ragazzo ַמ ִים vattelèch [e andò], empì di ַו ֵתּ ֶל􏰂

ַוְיִהי ֱא􏰁ִהים ֶאת־ַהַנַּער ַוִיְּגָדּל ַוֵיּ ֶשׁב ַבִּמְּדָבּר ַוְיִהי ֹרֶבה ַק ָשּׁת׃ et-hanna’ar [il ragazzo]; ed egli ֶאת־ ַה ַנּ ַערElohìm con ֱא􏰁 ִהים ]vay’hì [E fu ַו ְי ִהי 21:20

crebbe, abitò ַבּ ִמּ ְד ָבּר bammidbàr [nel deserto], ַו ְי ִהי vay’hì [e fu] tirator d’arco;

ַו ֵיּ ֶשׁב ְבּ ִמ ְד ַבּר ָפּא ָרן ַו ִתּ ַקּח־לוֹ ִאמּוֹ ִא ָשּׁה ֵמ ֶא ֶרץ ִמ ְצ ָר ִים׃ 21:21 dimorò ְבּ ִמ ְד ַבּר bɵmidbàr [nel deserto] di Paran, e ִאמּוֹ immò [sua madre] gli

prese per moglie una donna ֵמ ֶא ֶרץ me’èretz [dalla terra] d’ ִמ ְצ ָר ִים Mitzràim [Egitto].

ַו ְי ִהי ָבּ ֵעת ַה ִהוא ַויּ ֹא ֶמר ֲא ִבי ֶמ ֶל􏰂 וּ ִפי ֹכל ַשׂר־ ְצ ָבאוֹ ֶאל־ ַא ְב ָר ָהם ֵלא ֹמר ֱא􏰁 ִהים ִע ְמּ􏰀 ְבּ ֹכל ֲא ֶשׁר־ ַא ָתּה ֹע ֶשׂה׃

vay’hì [E fu – Or avvenne] in quel tempo che Abimelec, accompagnato da ַו ְי ִהי 21:22 ֱא􏰁 ִהים’ :]lemòr [dicendo ֵלא ֹמר ,Avrahàm ַא ְב ָר ָהם Picol, capo del suo esercito, parlò ad Elohìm è ִע ְמּ􏰀 immɵchà [con te] in tutto quello che fai;

ְו ַע ָתּה ִה ָשּׁ ְב ָעה ִלּי ֵבא􏰁 ִהים ֵה ָנּה ִאם־ ִתּ ְשׁ ֹקר ִלי וּ ְל ִני ִני וּ ְל ֶנ ְכ ִדּי ַכּ ֶח ֶסד ֲא ֶשׁר־ ָע ִשׂי ִתי ִע ְמּ􏰀 ַתּ ֲע ֶשׂה ִעָמִּדיְוִעם־ָהָאֶרץ ֲאֶשׁר־ַגְּרָתּה ָבּהּ׃

21:23ordunquegiuramiqui,perֱא􏰁ִהים Elohìm,chetuלֹאlò[non]ingannerainéme, ָה ָא ֶרץ bɵnè [figli], né i miei nipoti; ma che userai verso di me e verso ְבּ ֵני né i miei ha’àretz [la terra] dove hai dimorato come forestiero, ַכּ ֶח ֶסד ֲא ֶשׁר־ ָע ִשׂי ִתי kach̠ èsed ashèr-àsìtì [la stessa benevolenza che io ho usata] ִע ְמּ􏰀 immɵchà [con te – verso di te]’.

ַויּ ֹא ֶמר ַא ְב ָר ָהם ָא ֹנ ִכי ִא ָשּׁ ֵב ַע׃

21:24 E ַא ְב ָר ָהם Avrahàm rispose: ‘Lo giuro’.

ְוהוֹ ִכ ַח ַא ְב ָר ָהם ֶאת־ ֲא ִבי ֶמ ֶל􏰂 ַעל־ ֹאדוֹת ְבּ ֵאר ַה ַמּ ִים ֲא ֶשׁר ָגּ ְזלוּ ַע ְב ֵדי 21:25 E ַא ְב ָר ָהם Avrahàm fece delle rimostranze ad Abimelec per cagione di un pozzo

.hammàim[diacqua],dicuiiservidiAbimelecs’eranoimpadronitiperforza ַהַמִּים

ַויּ ֹא ֶמר ֲא ִבי ֶמ ֶל􏰂 ל ֹא ָי ַד ְע ִתּי ִמי ָע ָשׂה ֶאת־ ַה ָדּ ָבר ַה ֶזּה ְו ַגם־ ַא ָתּה ל ֹא־ ִה ַגּ ְד ָתּ ִלּי ְו ַגם ָא ֹנ ִכי ל ֹא ָשׁ ַמ ְע ִתּי ִבְּלִתּי ַהיּוֹם׃

ֶאת־ ]àsah [abbia fatto ָע ָשׂה ]mì [chi ִמי lò [non] so לֹא E Abimelec disse: ‘Io 21:26lò[non]mel’haifattoלֹאet-haddavàrhazzeh[questacosa];tustesso ַהָדָּבר ַהֶזּה

sapere, e io ל ֹא lò [non] ָשׁ ַמ ְע ִתּי shamàtti [ne ho sentito parlare] se non ַהיּוֹם hayòm [oggi]’.

ַוִיַּקּחַאְבָרָהםצֹאןוָּבָקרַוִיֵּתּןַלֲאִביֶמֶל􏰂ַוִיְּכְרתוְּשֵׁניֶהםְבִּרית׃ Avrahàm pecore e buoi e li diede ad ַא ְב ָר ָהם]vayikkàch̠ [E prese ַו ִיּ ַקּח 21:27

Abimelec; e ְשׁ ֵני ֶהם shɵnehèm [i due – loro due – ambedue] fecero ְבּ ִרית bɵrìt [patto – alleanza].

ַוַיּ ֵצּב ַאְבָר ָהם ֶאת־ ֶשׁ ַבע ִכְּב ֹשׂת ַהצֹּאן ְל ַבְדּ ֶהן׃ 21:28 Poi ַא ְב ָר ָהם Avrahàm mise da parte ֶאת־ ֶשׁ ַבע et-shevà [sette] agnelle del gregge.

ַויֹּאֶמר ֲאִביֶמֶל􏰂 ֶאל־ַאְבָרָהם ָמה ֵהָנּה ֶשַׁבע ְכָּב ֹשׂת ָהֵאֶלּה ֲא ֶשׁר ִהַצְּבָתּ ְלַבָדָּנה׃ 21:29 E Abimelec disse ad ַא ְב ָר ָהם Avrahàm: ‘Che voglion dire queste ֶשׁ ַבע shevà [sette] agnelle che tu hai messe da parte?’

ַ ו יּ ֹ א ֶ מ ר ִ כּ י ֶ א ת ־ ֶ שׁ ַ ב ע ְ כּ ָ ב ֹשׂ ת ִ תּ ַ קּ ח ִ מ ָ יּ ִ ד י ַ בּ ֲ ע ב וּ ר ִ תּ ְ ה ֶ י ה ־ ִ לּ י ְ ל ֵ ע ָ ד ה ִ כּ י ָ ח ַ פ ְ ר ִ תּ י ֶ א ת ־ ַ ה ְ בּ ֵ א ר ַ ה זּ ֹ א ת ׃

-et ֶאת־ ֶשׁ ַבע Avrahàm rispose: ‘Tu accetterai dalla mia mano queste ַא ְב ָר ָהם 21:30 shevà [sette] agnelle, affinché questo mi serva di testimonianza che io ho scavato questo pozzo’.

ַעל־ ֵכּן ָק ָרא ַל ָמּקוֹם ַההוּא ְבּ ֵאר ָשׁ ַבע ִכּי ָשׁם ִנ ְשׁ ְבּעוּ ְשׁ ֵני ֶהם׃ karà[Chiamò]quelluogoBeer-Sceba,perché ָקָראal-kèn[Perciò]egli ַעל־ֵכּן21:31

.shɵnehèm [ambedue] vi avevan fatto giuramento ְשׁ ֵני ֶהם ]shàm [ivi ָשׁם

ַוִיְּכְרתוּ ְבִרית ִבְּבֵאר ָשַׁבע ַוָיָּקם ֲאִביֶמֶל􏰂וִּפיֹכל ַשׂר־ְצָבאוֹ ַוָיּ ֻשׁבוּ ֶאל־ֶאֶרץ ְפִּלְשִׁתּים׃ 21:32 Così fecero ְבּ ִרית bɵrìt [patto – alleanza] a Beer-Sceba. Poi Abimelec, con Picol, ֶאל־ ]vashùvu [E ritornarono – e se ne tornarono ַו ָיּ ֻשׁבוּ ,capo del suo esercito, si levò .el-èretz[aterra]de’Filistei ֶאֶרץ

ַו ִיּ ַטּע ֶא ֶשׁל ִבּ ְב ֵאר ָשׁ ַבע ַו ִיּ ְק ָרא־ ָשׁם ְבּ ֵשׁם יהוה ֵאל עוֹ ָלם׃ 21:33 E ַא ְב ָר ָהם Avrahàm piantò un tamarindo a Beer-Sceba, ַו ִיּ ְק ָרא־ ָשׁם vayyikrà-

shàm [e Chiamò] (invocò) quivi] ְבּ ֵשׁם bɵshèm [il nome di] יהוה Yahweh ֵאל עוֹ ָלם El ‘olàm [Elohìm eterno-della eternità].

ַוָיָּגר ַאְבָרָהם ְבֶּאֶרץ ְפִּלְשִׁתּים ָיִמים ַרִבּים׃

bɵèretz ְבּ ֶא ֶרץ Avrahàm ַא ְב ָר ָהם ]vayagar [E soggiornò – dimorò come forastiero ַו ָיּ ָגר 21:34 [in terra] de’ Filistei molti girni (molto tempo).

Nascita di Isacco e cacciata di Agar e di Ismaele

21Il Signore visitò Sara, come aveva detto, e fece a Sara come aveva promesso.Sara concepì e partorì ad Abramo un figlio nella vecchiaia, nel tempo che Dio aveva fissato. 3 Abramo chiamò Isacco il figlio che gli era nato, che Sara gli aveva partorito. Abramo circoncise suo figlio Isacco quando questi ebbe otto giorni, come Dio gli aveva comandato. Abramo aveva cento anni quando gli nacque il figlio Isacco. 6Allora Sara disse: “Motivo di lieto riso mi ha dato Dio: chiunque lo saprà riderà lietamente di me!”. Poi disse: “Chi avrebbe mai detto ad Abramo che Sara avrebbe allattato figli? Eppure gli ho partorito un figlio nella sua vecchiaia!”.
Il bambino crebbe e fu svezzato e Abramo fece un grande banchetto quando Isacco fu svezzato. Ma Sara vide che il figlio di Agar l’Egiziana, quello che lei aveva partorito ad Abramo, scherzava con il figlio Isacco. 10 Disse allora ad Abramo: “Scaccia questa schiava e suo figlio, perché il figlio di questa schiava non deve essere erede con mio figlio Isacco”.11 La cosa sembrò un gran male agli occhi di Abramo a motivo di suo figlio. 12 Ma Dio disse ad Abramo: “Non sembri male ai tuoi occhi questo, riguardo al fanciullo e alla tua schiava: ascolta la voce di Sara in tutto quello che ti dice, perché attraverso Isacco da te prenderà nome una stirpe. 13 Ma io farò diventare una nazione anche il figlio della schiava, perché è tua discendenza”. 
14 Abramo si alzò di buon mattino, prese il pane e un otre d’acqua e li diede ad Agar, caricandoli sulle sue spalle; le consegnò il fanciullo e la mandò via. Ella se ne andò e si smarrì per il deserto di Betsabea. 15 Tutta l’acqua dell’otre era venuta a mancare. Allora depose il fanciullo sotto un cespuglio 16 e andò a sedersi di fronte, alla distanza di un tiro d’arco, perché diceva: “Non voglio veder morire il fanciullo!”. Sedutasi di fronte, alzò la voce e pianse. 17 Dio udì la voce del fanciullo e un angelo di Dio chiamò Agar dal cielo e le disse: “Che hai, Agar? Non temere, perché Dio ha udito la voce del fanciullo là dove si trova. 18 Àlzati, prendi il fanciullo e tienilo per mano, perché io ne farò una grande nazione”. 19 Dio le aprì gli occhi ed ella vide un pozzo d’acqua. Allora andò a riempire l’otre e diede da bere al fanciullo. 20 E Dio fu con il fanciullo, che crebbe e abitò nel deserto e divenne un tiratore d’arco. 21 Egli abitò nel deserto di Paran e sua madre gli prese una moglie della terra d’Egitto.
Disputa tra Abramo e Abimèlec22 In quel tempo Abimèlec con Picol, capo del suo esercito, disse ad Abramo: “Dio è con te in quello che fai. 23 Ebbene, giurami qui per Dio che tu non ingannerai né me né la mia prole né i miei discendenti: come io ho agito lealmente con te, così tu agirai con me e con la terra nella quale sei ospitato”. 24 Rispose Abramo: “Io lo giuro”. 25 Ma Abramo rimproverò Abimèlec a causa di un pozzo d’acqua, che i servi di Abimèlec avevano usurpato. 26 Abimèlec disse: “Io non so chi abbia fatto questa cosa: né tu me ne hai informato né io ne ho sentito parlare prima d’oggi”. 27 Allora Abramo prese alcuni capi del gregge e dell’armento e li diede ad Abimèlec: tra loro due conclusero un’alleanza. 28 Poi Abramo mise in disparte sette agnelle del gregge. 29 Abimèlec disse ad Abramo: “Che significano quelle sette agnelle che hai messo in disparte?”. 30 Rispose: “Tu accetterai queste sette agnelle dalla mia mano, perché ciò mi valga di testimonianza che ho scavato io questo pozzo”. 31 Per questo quel luogo si chiamò Bersabea, perché là fecero giuramento tutti e due. 32 E dopo che ebbero concluso l’alleanza a Bersabea, Abimèlec si alzò con Picol, capo del suo esercito, e ritornarono nel territorio dei Filistei. 33 Abramo piantò un tamerisco a Bersabea, e lì invocò il nome del Signore, Dio dell’eternità. 34 E visse come forestiero nel territorio dei Filistei per molto tempo.

NOTE

21,3 Isacco significa “egli (Dio) sorride”.21,6 riderà lietamente di me: l’annuncio di nascita era stato accompagnato dal riso incredulo dei genitori (17,17 e 18,12-15); qui il verbo indica invece il riso di sorpresa di chi verrà a conoscenza dell’evento.

21,17 Dio udì: in ebraico si sente risuonare in questa espressione il nome Ismaele.

21,21 deserto di Paran: nel sud della terra di Canaan.21,31 Bersabea: si trova nel Negheb, nel sud della terra di Canaan. Il nome è spiegato come “pozzo del giuramento” o “pozzo delle sette (agnelle)”. Vedi anche 26,33.

21,32-34 territorio dei Filistei: la zona costiera della terra di Canaan, che i Filistei occuparono nel periodo abitualmente attribuito all’insediamento di Israele dopo l’esodo (XIII-XII sec. a.C.). Qui la denominazione è anacronistica.

21,33 Più volte Abramo sancisce la sua permanenza nella terra con l’edificazione di un altare (vedi 12,7; 13,4.18).

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GENESI 20

Bɵreshìt 20

ַו ִיּ ַסּ ע ִמ ָשּׁ ם ַא ְב ָר ָה ם ַא ְר ָצ ה ַה ֶנּ ֶג ב ַו ֵיּ ֶשׁ ב ֵבּ י ן ־ ָק ֵד שׁ וּ ֵב י ן שׁ וּ ר ַו ָיּ ָג ר ִבּ ְג ָר ר ׃ ַה ֶנּ ֶגב]ha’àretz [la terra ָה ָא ֶרץ Avrahàm si partì di là andando verso ַא ְב ָר ָהם 20:1

haNeghev [del Neghev – del mezzodì], dimorò ֵבין־ ָק ֵדשׁ vɵin-Kadesh [fra Kades] e Shur, .vayyagar [e abitò come forestiero – soggiorno] in Gherar ַו ָיּ ָגר

ַויּ ֹא ֶמר ַא ְב ָר ָהם ֶאל־ ָשׂ ָרה ִא ְשׁתּוֹ ֲא ֹח ִתי ִהוא ַו ִיּ ְשׁ ַלח ֲא ִבי ֶמ ֶל􏰂 ֶמ ֶל􏰂 ְגּ ָרר ַו ִיּ ַקּח ֶאת־ ָשׂ ָרה׃ ֲא ֹח ִתי ִהוא’ :]ishtò [sua moglie ִא ְשׁתּוֹ Sarah ָשׂ ָרה Avrahàm diceva di ַא ְב ָר ָהם E 20:2
ach̠ otì hiv [Ell’è mia sorella]’. ַו ִיּ ְשׁ ַלח vayish’làch̠ [E mandò] Abimelec, ֶמ ֶל􏰂 mèlech [re] di Gherar, ַו ִיּ ַקּח vayikkàch̠ [e prese] ָשׂ ָרה Sarah.

ַו ָיּב ֹא ֱא􏰁 ִהים ֶאל־ ֲא ִבי ֶמ ֶל􏰂 ַבּ ֲחלוֹם ַה ָלּ ְי ָלה ַויּ ֹא ֶמר לוֹ ִה ְנּ􏰀 ֵמת ַעל־ ָה ִא ָשּׁה ֲא ֶשׁר־ ָל ַק ְח ָתּ ְו ִהוא ְבּ ֻע ַלת ָבּ ַעל׃

,hallàjlah[nellanotte],inunsogno ַהָלְּיָלה,Elohìm ֱא􏰁ִהים]vaiyavò[Evenneַוָיּבֹא20:3 ad Abimelec, ַויֹּא ֶמר לוֹ Vayòmer lo [e gli disse]: ‘Ecco, tu sei morto, a motivo della

donna che ti sei presa; perch’ella ha marito’.

ַו ֲא ִב י ֶמ ֶל 􏰂 ל ֹ א ָק ַר ב ֵא ֶל י ָה ַו יּ ֹ א ַמ ר ֲא ֹד ָנ י ֲה ג וֹ י ַגּ ם ־ ַצ ִדּ י ק ַתּ ֲה ֹר ג ׃ ֲא ֹד ָני ‘ :]Vayomàr [e disseַויֹּא ַמר ;lò [non] s’era accostato a lei לֹא Or Abimelec 20:4 Adonay [mio Signore], faresti tu perire un popolo, ַגּם־ ַצ ִדּיק gam-tzaddìk [anche se

giusto]?

ֲהלֹאהוּא ָאַמר־ִלי ֲאֹחִתי ִהואְוִהיא־ַגם־ִהוא ָאְמָרה ָאִחיהוּא ְבָּתם־ְלָבִביוְּבִנְקֹין ַכַּפּי ָעִשׂיִתי ז ֹאת׃

ach̠ otì hiv [essa è mia sorella]? e ֲא ֹח ִתי ִהוא :halò [non?] m’ha egli detto ֲהלֹא 20:5 anche lei stessa ha detto: Egli è ָא ִחי ach̠ i [mio fratello]. Io ho fatto זֹאת zòt [questo] nellaintegritàdelmioֵלב lèv[cuore]econmaniinnocenti’.

ַ ו יּ ֹ א ֶ מ ר ֵ א ָ ל י ו ָ ה ֱ א 􏰁 ִ ה י ם ַ בּ ֲ ח 􏰁 ם ַ גּ ם ָ א ֹ נ ִ כ י ָ י ַ ד ְ ע ִ תּ י ִ כּ י ְ ב ָ ת ם ־ ְ ל ָ ב ְ ב 􏰀 ָ ע ִ שׂ י ָ ת זּ ֹ א ת ָ ו ֶ א ְ ח ֹשׂ 􏰂 ַ גּ ם ־ ָ א ֹ נ ִ כ י א וֹ ְ ת 􏰀 ֵמ ֲח ט וֹ ־ ִל י ַע ל ־ ֵכּ ן ל ֹ א ־ ְנ ַת ִתּ י 􏰀 ִל ְנ ֹגּ ַע ֵא ֶל י ָה ׃

Elohìm nel sogno: ‘Anch’io so che ֱא􏰁 ִהים ]vayòmer elàv [e disse a lui ַויֹּא ֶמר ֵא ָליו 20:6

tu hai fatto questo ְב ָתם־ ְל ָב ְב􏰀 bɵtam-lɵvav’chà [nella integrità del tuo cuore]; e t’ho

quindipreservatodalpeccarecontrodime;ַעל־ֵכּן al-kèn[perciò]לֹאlò[non]tiho permesso di toccarla.

ְו ַע ָתּה ָה ֵשׁב ֵא ֶשׁת־ ָה ִאישׁ ִכּי־ ָנ ִביא הוּא ְו ִי ְת ַפּ ֵלּל ַבּ ַע ְד􏰀 ֶו ְח ֵיה ְו ִאם־ ֵאי ְנ􏰀 ֵמ ִשׁיב ַדּע ִכּי־מוֹת ָתּמוּת ַא ָתּה ְו ָכל־ ֲא ֶשׁר־ ָל􏰂׃

20:7 Or dunque, restituisci ֵא ֶשׁת־ ָה ִאישׁ èshet-ha’ìsh [la moglie a quest’uomo], perché è lò [non] la לֹאnavij [profeta]; ed egli pregherà per te, e tu vivrai. Ma, se ָנּ ִביא

restituisci, sappi che, ִכּי־מוֹת ָתּמוּת kì-mòt tamut [per certo, morrai]: ַא ָתּה attah [tu] e tutti i tuoi’.

ַו ַיּ ְשׁ ֵכּם ֲא ִבי ֶמ ֶל􏰂 ַבּ ֹבּ ֶקר ַו ִיּ ְק ָרא ְל ָכל־ ֲע ָב ָדיו ַו ְי ַד ֵבּר ֶאת־ ָכּל־ ַה ְדּ ָב ִרים ָה ֵא ֶלּה ְבּ ָא ְז ֵני ֶהם ַו ִיּי ְראוּ ָה ֲא ָנ ִשׁים ְמ ֹאד׃

20:8 E Abimelec si levò ַבּ ֹבּ ֶקר babòker [nel mattino], ַו ִיּ ְק ָרא vayyikrà [e Chiamò] tutti i suoi servi, ַו ְי ַד ֵבּר vaydabèr [e parlò e raccontò] in loro presenza tutte queste cose. E quegli uomini furon presi da ְמ ֹאד mɵòd [gran] paura.

ַוִיְּקָרא ֲאִביֶמֶל􏰂 ְלַאְבָרָהם ַויֹּאֶמרלוֹ ֶמה־ָעִשׂיָת ָלּנוּוֶּמה־ָחָטאִתי ָל􏰂 ִכּי־ֵהֵבאָת ָעַליְוַעל־ַמְמַלְכִתּי ֲח ָט ָאה ְג ֹד ָלה ַמ ֲע ִשׂים ֲא ֶשׁר לֹא־ ֵי ָעשׂוּ ָע ִשׂי ָת ִע ָמּ ִדי׃

Vayòmerlo ַויֹּאֶמרלוֹAvrahàm ַאְבָרָהםvayyikrà[eChiamò]Abimelecad ַוִיְּקָרא20:9 [E gli disse]: ‘Che ci hai tu fatto? E in che t’ho io offeso, che tu abbia fatto venir su me e sul mio regno un sì gran peccato? Tu m’hai fatto cose che לֹא lò [non] si debbono fare’.

ַו יּ ֹ א ֶמ ר ֲא ִב י ֶמ ֶל 􏰂 ֶא ל ־ ַא ְב ָר ָה ם ָמ ה ָר ִא י ָת ִכּ י ָע ִשׂ י ָת ֶא ת ־ ַה ָדּ ָב ר ַה ֶזּ ה ׃

20:10 E di nuovo Abimelec disse ad ַא ְב ָר ָהם Avrahàm: ‘A che miravi, facendo questo?’

ַויּ ֹא ֶמר ַא ְב ָר ָהם ִכּי ָא ַמ ְר ִתּי ַרק ֵאין־ ִי ְר ַאת ֱא􏰁 ִהים ַבּ ָמּקוֹם ַה ֶזּה ַו ֲה ָרגוּ ִני ַעל־ ְדּ ַבר ִא ְשׁ ִתּי׃ 20:11 E ַא ְב ָר ָהם Avrahàm rispose: ‘L’ho fatto, perché dicevo fra me: Certo, in questo luogoֵאין־ִיְרַאת èn-yir’àt[nonc’ètimor]diֱא􏰁ִהים Elohìm;em’ucciderannoacausadi .]ishttì [mia moglie ִא ְשׁ ִתּי

ְו ַגם־ ָא ְמ ָנה ֲא ֹח ִתי ַבת־ ָא ִבי ִהוא ַא􏰂 לֹא ַבת־ ִא ִמּי ַו ְתּ ִהי־ ִלי ְל ִא ָשּׁה׃ 20:12 Inoltre, ella è proprio ֲא ֹח ִתי ach̠ otì [mia sorella], ַבּת bat [figlia] di ָא ִבי àvi [mio ְל ִא ָשּׁה immì [mia madre]; ed è diventata ִא ִמּיbat [figlia] di ַבּת ]lò [non ל ֹא padre], ma

lɵìsshah [per moglie].

ַו ְי ִהי ַכּ ֲא ֶשׁר ִה ְתעוּ ֹא ִתי ֱא􏰁 ִהים ִמ ֵבּית ָא ִבי ָו ֹא ַמר ָלהּ ֶזה ַח ְס ֵדּ􏰂 ֲא ֶשׁר ַתּ ֲע ִשׂי ִע ָמּ ִדי ֶאל ָכּל־ ַה ָמּקוֹם ֲא ֶשׁר ָנבוֹא ָשׁ ָמּה ִא ְמ ִרי־ ִלי ָא ִחי הוּא׃

ָא ִבי Elohìm errare lungi dalla casa di ֱא􏰁 ִהים vay’hì [E fu] quando mi fece ַו ְי ִהי 20:13 àvi [mio padre], ָו ֹא ַמר vaomar [e io dissi] a lei: Questo è il favore che tu mi farai; dovunquegiungeremo,diraidime:Èָאִחי ach̠i[miofratello]’.

ַוִיַּקּחֲאִביֶמֶל􏰂צֹאןוָּבָקרַוֲעָבִדיםוְּשָׁפֹחתַוִיֵּתּןְלַאְבָרָהםַוָיֶּשׁבלוֵֹאתָשָׂרהִאְשׁתּוֹ׃ vayikkàch̠ [E prese] Abimelec delle pecore, de’ buoi, de’ servi e delle ַו ִיּ ַקּח 20:14 serve, e li diede ad ַא ְב ָר ָהם Avrahàm, e לוֹ lo [gli] restituì ֵאת ָשׂ ָרה et Sarah [Sarah]
.]ishtò [sua moglie ִא ְשׁתּוֹ

ַויֹּאֶמר ֲאִביֶמֶל􏰂 ִהֵנּה ַאְרִצי ְלָפֶני􏰀 ַבּטּוֹב ְבֵּעיֶני􏰀 ֵשׁב׃ 20:15 E Abimelec disse: ‘ ִה ֵנּה hinneh [Ecco], ַא ְר ִצי ar’zì [mia terra] ְל ָפ ֶני􏰀 lɵfanècha [ti

sta dinanzi]; ַבּטּוֹב ְבּ ֵעי ֶני􏰀 ֵשׁב battov bɵenècha shèv [nel bene ai toui occhi, abita, – dovunque ti piacerà risiedì]’.

וּ ְל ָשׂ ָרה ָא ַמר ִה ֵנּה ָנ ַת ִתּי ֶא ֶלף ֶכּ ֶסף ְל ָא ִחי􏰂 ִה ֵנּה הוּא־ ָל􏰂 ְכּסוּת ֵעי ַנ ִים ְל ֹכל ֲא ֶשׁר ִא ָתּ􏰂 ְו ֵאת ֹכּל ְו ֹנ ָכ ַחת׃

ָא ִחי􏰀 natàtti [io ho dato] a ָנ ַת ִתּי ,]hinneh [Ecco ִה ֵנּה ‘ :Sarah disse ָשׂ ָרה E a 20:16
ach̠ ìcha [tuo fratello] ֶא ֶלף elef [mille] pezzi d’ ֶכּ ֶסף kèsef [argento]; ִה ֵנּה hinneh [ecco]

ִא ָתּ􏰂 lɵchòl [a tutti] quelli che sono ְל ֹכל questo ti sarà un velo sugli occhi di fronte ittàch [con te], e sarai giustificata dinanzi a tutti’.

ַוִיְּתַפֵּלּל ַאְבָרָהם ֶאל־ָהֱא􏰁ִהיםַוִיְּרָפּא ֱא􏰁ִהים ֶאת־ֲאִביֶמֶל􏰂ְוֶאת־ִאְשׁתּוְֹוַאְמֹהָתיוַוֵיֵּלדוּ׃ ְו ֶאת־ Elohìm guarì Abimelec ֱא􏰁 ִהים Elohìm, e ֱא􏰁 ִהים Avrahàm pregò ַא ְב ָר ָהם E 20:17 .vɵet-ish’tò [e la sua moglie] e le serve di lui, ed esse poteron partorire ִא ְשׁתּוֹ

ִכּי־ ָע ֹצר ָע ַצריהוה ְבּ ַעד ָכּל־ֶר ֶחם ְל ֵבית ֲאִבי ֶמ ֶל􏰂 ַעל־ְדּ ַבר ָשָׂרה ֵא ֶשׁת ַאְבָר ָהם׃ 20:18 Poiché יהוה Yahweh aveva del tutto resa sterile ְל ֵבית lɵvèt [la casa] di Abimelec, a motivo di ָשׂ ָרה Sarah moglie di ַא ְב ָר ָהם Avrahàm.

TRADUZIONE

Sara insidiata da Abimèlec

20Abramo levò le tende, dirigendosi nella regione del Negheb, e si stabilì tra Kades e Sur; poi soggiornò come straniero a Gerar. Siccome Abramo aveva detto della moglie Sara: “È mia sorella”, Abimèlec, re di Gerar, mandò a prendere Sara. 3Ma Dio venne da Abimèlec di notte, in sogno, e gli disse: “Ecco, stai per morire a causa della donna che tu hai preso; lei appartiene a suo marito”. Abimèlec, che non si era ancora accostato a lei, disse: “Mio Signore, vuoi far morire una nazione, anche se giusta?Non è stato forse lui a dirmi: “È mia sorella”? E anche lei ha detto: “È mio fratello”. Con cuore retto e mani innocenti mi sono comportato in questo modo”. Gli rispose Dio nel sogno: “So bene che hai agito così con cuore retto e ti ho anche impedito di peccare contro di me: perciò non ho permesso che tu la toccassi. Ora restituisci la donna di quest’uomo, perché è un profeta: pregherà per te e tu vivrai. Ma se tu non la restituisci, sappi che meriterai la morte con tutti i tuoi”. 
Allora Abimèlec si alzò di mattina presto e chiamò tutti i suoi servi, ai quali riferì tutte queste cose, e quegli uomini si impaurirono molto. Poi Abimèlec chiamò Abramo e gli disse: “Che cosa ci hai fatto? E che colpa ho commesso contro di te, perché tu abbia esposto me e il mio regno a un peccato tanto grande? Tu hai fatto a mio riguardo azioni che non si fanno”. 10 Poi Abimèlec disse ad Abramo: “A che cosa miravi agendo in tal modo?”. 11 Rispose Abramo: “Io mi sono detto: certo non vi sarà timor di Dio in questo luogo e mi uccideranno a causa di mia moglie. 12 Inoltre ella è veramente mia sorella, figlia di mio padre, ma non figlia di mia madre, ed è divenuta mia moglie. 13 Quando Dio mi ha fatto andare errando lungi dalla casa di mio padre, io le dissi: “Questo è il favore che tu mi farai: in ogni luogo dove noi arriveremo dirai di me: è mio fratello””. 
14 Allora Abimèlec prese greggi e armenti, schiavi e schiave, li diede ad Abramo e gli restituì la moglie Sara. 15 Inoltre Abimèlec disse: “Ecco davanti a te il mio territorio: va’ ad abitare dove ti piace!”. 16 A Sara disse: “Ecco, ho dato mille pezzi d’argento a tuo fratello: sarà per te come un risarcimento di fronte a quanti sono con te. Così tu sei in tutto riabilitata”. 17 Abramo pregò Dio e Dio guarì Abimèlec, sua moglie e le sue serve, sì che poterono ancora aver figli. 18 Il Signore, infatti, aveva reso sterili tutte le donne della casa di Abimèlec, per il fatto di Sara, moglie di Abramo.

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