IL MIGLIOR TEMPO

a mio nonno Peppino

Quale fu quel tempo

migliore

in cui si struggevano le ore?

Era il tempo in cui

piovevano rose

laddove era grigiore.

Era il tempo del ricordo

quello in cui guardammo 

-lieti-

protesi all’avvenire

con la nostalgia del passato.

Sulle tue ginocchia,

i tuoi occhi azzurri

le tue braccia forti

le tue risate.

Ancora sogno 

quelle ore

quei momenti

quegli attimi

di eternità.

Perché in fondo

l’eternità 

era stare con te.

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LE RADICI DELLA REPUBBLICA

(1945-1965 circa)

L’Italia nasce, come estensione del regno di Piemonte e della casata dei Savoia, il 17 marzo 1861. Rispetto ai confini attuali mancavano il territorio del Lazio (appartenente allo Stato Pontificio), il Veneto, il Friuli e l’Alto Adige ancora parte dell’impero Austriaco. 

Roma passò all’Italia nel 1870 con la breccia di Porta PiaVeneto e Friuli furono annesse in seguito alla III guerra di indipendenza nel 1866 (Prussia e Italia contro l’Austria). 

L’Alto Adige, Trieste e la Dalmazia furono annesse in seguito alla I guerra mondiale (1919). Altri territori, sia europei sia extraeuropei, furono occupati dall’esercito italiano: Somalia, Libia, Etiopia, Rodi e varie isole del Mediterraneo, Albania.

La struttura politica fu quella di una monarchia conservatrice

Nel 1922, con la Marcia su Roma, venne dato a Mussolini daI re Vittorio Emanuele III, come Primo Ministro, la guida del governo che poi si trasformò nel Ventennio Fascista.

Con il Fascismo (Rivoluzione di destra con una politica sociale di stampo socialista) fu la fine delle libertà civili, la persecuzione degli oppositori politici, il varo della legislazione razzista e antisemita, la rottura con le nazioni democratiche per allearsi con la Germania nazista e la decennale preparazione alla guerra. 

Infine la Seconda guerra mondiale (1939-45)

Scatenata da Hitler con l’invasione della Poloniail primo settembre 1939, la guerra viene abbracciata da Mussolini, nel maggio 1940. Gli italiani si ritrovano impantanati in battaglie drammatiche in terra di Russia, in Jugoslavia, in Grecia, in Nord Africa. Se Stalingrado fu l’argine ad est dell’avanzata tedesca e il ribaltamento delle sorti stesse della guerra, il Nord Africa fu l’argine a sud, con il successo degli alleati (Usa e Uk principalmentee lo sbarco sul continente europeo proprio in Italia, in Sicilia. Siamo nel luglio 1943 e di lì a pochi giorni iniziarono anche i bombardamenti alleati sulle città italiane. Il paese era allo stremo e il regime allo sbando. È in questo clima di smobilitazione che possiamo far iniziare la storia della Repubblica italiana. Perché gli anni 1943-1946 rappresentano le radici stesse della democrazia italiana.

25 luglio 1943

Il Gran Consiglio Fascista, guidato da Grandi e Farinacci, vota la sfiducia a MussoliniIl re Vittorio Emanuele III rese esecutiva la sfiducia e lo fece arrestareIl maresciallo Badoglio prese il suo postoma annunciò il rispetto delle alleanze in atto e la continuazione della guerra. 

Agosto 1943 – Truppe tedesche scendono in forze in Italia, mentre da sud gli alleati proseguono l’avanzata verso Napoli. Malgrado i proclami formali, lo Stato Maggiore tedesco non si fida, e sospetta una prossima uscita dell’Italia dall’asse. In effetti fervono le trattative con gli alleati per individuare le condizioni di resa. 

8 settembre 1943 – Data cardine della storia d’Italia. Il capo del governo maresciallo Pietro Badoglio annuncia l’armistizio e la fine delle azioni belliche del regno d’Italia. La tragedia fu che il governo abbandonò a se stessi gli italiani con l’intero territorio nazionale occupato da eserciti stranieri. Le truppe sparse per mezza Europa non avevano ricevuto ordini precisi sul da farsi; la casa reale si rifugiò con tutto il governo a Brindisi, sotto la protezione dei “nuovi amici” inglesi e americani. Seguirono giornate convulse. Il 9 settembre viene fondato il Comitato di Liberazione Nazionale (CNL) per organizzare le azioni delle truppe di partigiani che iniziavano a formarsi nelle montagne del centro-nord occupato dai tedeschi. Il 12 settembre un reparto di paracadutisti tedeschi libera Benito Mussolini dal suo carcere (ritenuto inattaccabile) a Campo Imperatore sul Gran Sasso; il 23 settembre si ricostituisce uno “Stato fantoccio” , la Repubblica Sociale di Salò guidato dallo stesso Mussolini

La Repubblica Sociale Italiana esercitò un potere effettivo in buona parte del Nord Italia, anche se la presenza dell’esercito tedesco fu indispensabile per resistere ai bombardamenti e alle azioni dei partigiani sempre più strutturati e organizzati. 

1944 Marzo –il Pci riconosce il governo Badoglio e prende vita il governo Badoglio II (22 aprile) con la partecipazione di tutti i partiti antifascisti: Dc, Pci, Psi, Pli, Pri, Partito d’Azione.  

4 giugno 1944– Roma viene liberata e dichiarata “città aperta”. 23 novembre – Proclama Alexander. Il comandante in capo delle forze alleate in Italia ordina alle brigate partigiane di sospendere le azioni belliche fino a nuovi ordini. In pratica migliaia di ragazzi fuggiti in montagna per non rispondere alla chiamata nell’esercito della RSI furono abbandonati a loro stessi. La linea gotica segnò questo confine tra l’Italia “libera” e l’Italia occupata dai tedeschi e sostenuta dallo stato fascista di Salò. I partigiani riuscirono a resistere e nella primavera dell’anno successivo contribuirono a liberare l’intera nazione. 

25 aprile 1945. – liberazione di tutto il nord Italia. Giugno – Nuovo governo di coalizione antifascista guidato da Ferruccio Parri (partito d’Azione). Dicembre – Governo De Gasperi (Dc) basato sull’asse Dc-Pci.Palmiro Togliatti fu guardasigilli (ministro dell’interno) e da quella posizione promulgò l’amnistia per i detenuti fascisti (aprile 1946). 

2 giugno 1946 – Il referendum sancisce la fine della monarchia e la nascita della Repubblica italiana. 45.8% favorevoli alla monarchia (maggioranza al sud) e 54.2% per la repubblica. Nello stesso giorno ci furono le elezioni per l’assemblea costituente: DC 35.2%, PSI 20.7%, PCI 19% (a seguire gli altri partiti). Luglio 1946 – Secondo governo De Gasperi. Diminuì la presenza dei comunisti nei vari ministeri. Seguirono vari altri governi a guida De Gasperi, fino alla estromissione assoluta della sinistra dal governo (precisa indicazione degli alleati statunitensi). 1° maggio 1947 – Strage di Portella della Ginestra. Le grandi azioni dei contadini del sud trovarono una brusca chiusura con una serie di azioni repressive molto violente. I governi successivi ostacolarono o smussarono fortemente gli effetti della riforma agraria, che era un passaggio assolutamente indispensabile per lo sviluppo del Meridione. Il motivo numero uno dell’arretratezza meridionale è senz’altro la mancata riforma agraria. 

1° gennaio 1948 entra in carica il presidente della Repubblica provvisorio Enrico de Nicola. Il primo presidente sarebbe stato eletto dall’assemblea parlamentare in seguito alle prime elezioni legislative previste per aprile. 

18 aprile 1948. Sono le elezioni che nell’immaginario collettivo segnarono l’orientamento internazionale dell’Italia: sotto tutela Usa in caso di successo della DC, sotto tutela sovietica in caso di vittoria di socialisti e comunisti. Il risultato fu la Dc al 48% e la coalizione Psi-Pci al 31%. 14 luglio 1948 – Attentato al segretario del Pci Togliatti, che viene ferito in maniera non grave. L’Italia entra nella Nato (1949) ed è tra i fondatori della Comunità Economica Carbone e Acciaio CECA nel 1951. 1953 giugno – Elezioni con la cosiddetta “legge truffa”. Per garantirsi una maggioranza in grado di cambiare anche la costituzione la DC introdusse un bonus per la vittoria elettorale per cui con il 50%+1 si sarebbe preso il 65% dei deputati. La coalizione disegnata intorno alla Dc prese il 49.85% fallendo l’obiettivo per una manciata di voti. Il successivo governo Scelba sarà l’ultimo atto di quel lento spostamento a destra che ha caratterizzato i primi anni di vita della Repubblica. Nel 1954 la guida della DC passa ad Amintore Fanfani che imprimerà un rotta completamente diversa al grande partito centrista. Nello stesso 1954 morirà Alcide De Gasperi, ancora oggi considerato uno dei più grandi statisti del nostro paese. 3 gennaio 1954 – La Rai inizia le trasmissioni televisive in Italia. 1955 – Il Psi di Pietro Nenni, stanco di una politica relegata alla opposizione perpetua, rompe l’alleanza con il Pci e risponde alle aperture di Fanfani. La sinistra della Dc e il Psi pensano ad una politica di riforme di ampia portata in grado di allargare la base di consenso e partecipazione della popolazione italiana, di modernizzare il paese e risolvere quelle contraddizioni che la fine della guerra e del regime non avevano risolto. Inizia così un percorso lento e faticoso per far entrare il Psi al governo. 

1956 – Il XX Congresso del Pcus tenutosi in febbraio sconvolse il quadro politico anche in Italia. Kruscev denunciò la linea politica di Stalin e del Comunismo russo: Stalin era un feroce dittatore, responsabile delle grandi purghe, di aver distrutto la democrazia nel partito e di aver creato un assurdo culto della personalità. Fu un duro colpo per la credibilità politica del Pci. In autunno dello stesso anno ci fu la rivoluzione ungherese, i carri armati a Budapest e la dura repressione sovietica. Fu la fine dell’illusione per molti idealisti di sinistra. Il Pci appoggiò la linea di Mosca ma perse credibilità e l’appoggio di numerosi intellettuali e simpatizzanti. La posizione internazionale del Pci spinse ancora di più il Psi verso una scelta di campo definitiva: a fianco della Dc per una linea riformistica e svincolato completamente dall’influenza dell’Urss

25 marzo 1957 – Trattati di Roma, nasce la Comunità Economica Europea (CEE). Ne fanno parte Italia, Francia, Germania, Paesi Bassi, Belgio e Lussemburgo, entra in vigore il 1° gennaio 1958. 

1958 Maggio – elezioni politiche con risultato di grande stabilità, che confermò il consenso per la Dc (dal 41 al 42%) e al Psi (dal 12 al 14%). Emerse la figura di Amintore Fanfani, presidente del Consiglio con interim agli esteri e – contemporaneamente – segretario del Partito. L’opposizione alla linea di Fanfani (alleanza con il Psi per un vasto programma di riforme) venne principalmente dalla corrente interna alla Dc detta dei “dorotei”. Tra questi i più importanti risultarono essere Mariano Rumor e Emilio Colombo. Contro Fanfani c’erano anche Giulio Andreotti e Mario Scelba (a destra) e Aldo Moro (a sinistra)Nel 1959 Fanfani cadde e il nuovo congresso elesse Aldo Moro segretario della Democrazia Cristiana. La sua caratteristica principale era la prudenza

1960 governo Tambroni – lo stop imposto a Fanfani produsse un governo di transizione spostato a destra, guidato da Fernando Tambroni e appoggiato da Monarchici e Msi. La Dc non poteva avere ulteriormente un governo del genere. Il 22 luglio Tambroni si dimise mentre Moro definì il suo partito “popolare e antifascista”. Con il ritorno di Fanfani, anche la Dc abbandonò (nella sua linea ufficiale), qualunque suggestione di governi vicini ad ambienti di estrema destra. 

Novembre 1960– elezione di John Kennedy (democratico) alla presidenza Usa. La linea democratica di apertura verso l’interno e distensione nella politica internazionale contribuì a creare un clima favorevole ai governi di centro-sinistra (considerati, dalla nuova amministrazione Usa, l’unica soluzione per fare le riforme e per isolare il Pci). 1962 Concilio Vaticano II – Il breve papato di Papa Giovanni XXIII (’58-’63) influì pesantemente nel nuovo clima culturale dell’Italia del boom economico. Angelo Roncalli segnò la rottura del modo di concepire il rapporto tra la Chiesa Cattolica e la società moderna. Con il Concilio e l’enciclica Pacem in Terris il “Papa buono” lanciò un appello alla conciliazione internazionale e a superare la logica della “guerra santa”

Marzo 1963– Primo governo di centro-sinistra. Presidente del Consiglio Amintore Fanfani, maggioranza parlamentare sostenuta da Dc, Psdi e Pri. Il Psi appoggiò l’esecutivo dall’esterno chiedendo tre riforme, considerate condizione “sine qua non” per la collaborazione politica: 1.     Nazionalizzazione industria elettrica 2.     Scuola media unica 3.     Istituzione delle Regioni. La nazionalizzazione dell’energia fu il risultato più evidente. Anche la scuola media unica fu un grande successo del centro-sinistra. I due diversi percorsi scolastici – professionali e licei – furono sostituiti da tre anni “uguali per tutti” con innalzamento dell’età di obbligo scolastico a 14 anni. Nonostante ciò in autunno la spinta riformista si era già esaurita. Inflazione e fuga di capitali limitarono pesantemente l’azione di un governo esposto a pressioni crescenti in senso conservatore. 

27 ottobre 1962 – Moriva in un incidente aereo Enrico Mattei, il creatore dell’ENI (nel 1953). Figura carismatica e controversa, comunque capace di alimentare il grande sviluppo industriale dell’Italia tramite l’intervento diretto di una gigantesca impresa pubblica nel settore energetico. 

1963 9 ottobre – il disastro del Vajont. Un pezzo del monte Toc si stacca e precipita nel gigantesco invaso creato dalla diga del Vajont. 

Dicembre – Il Psi nel governo. Dopo una gestazione di sei anni, finalmente esponenti socialisti entrarono nella squadra di governo. Il segretario Pietro Nenni fu il vicepresidente del primo governo Moro, Antonio Giolitti ministro del Bilancio. Il Psi si divise, con la scissione dell’ala sinistra confluita nel Psiup.

1964. 21 agosto 1964 – Muore a Yalta Palmiro Togliatti storico leader del Pci. La sua successione aprì un dibattito su posizioni più riformiste (Amendola, che auspicava l’alleanza con il Psi per un nuovo riformismo) e più conservatrici (Ingrao, sostenitore della linea di fedeltà alla rivoluzione socialista e all’Urss). Nuovo segretario fu eletto Longo, che tergiversò lunga la linea della continuità e dell’isolamento politico.Estate 1964 – Il Piano “Solo”. Il Generale dei carabinieri Giovanni De Lorenzo organizzò un progetto anti-insurrezionalista. Dovevano essere redatte delle liste di persone (attivisti e dirigenti di sinistra) per prepararne l’arresto e la detenzione. Quindi sarebbero state occupate le prefetture, le centrali telefoniche, le direzioni delle organizzazioni di sinistra (partiti, sindacati, associazioni). Infine sarebbe stata occupata anche la sede Rai per le trasmissioni televisive e radiofoniche. Il Piano non fu nemmeno tentato e la storia emerse alcuni anni dopo grazie a una Commissione Parlamentare d’Inchiesta proprio sulla figura del Generale De Lorenzo. 

Governo Moro II – Nel 1964 fu varato il secondo governo Moro con lo stesso programma del primo e la stessa inconsistenza riformistica. Il Psi andava sempre più integrandosi nel sistema di gestione del potere più per allargare il consenso che per sostenere una visione politica di progresso. Nel corso dell’anno fu eletto il primo presidente della repubblica non della DC, ovvero il socialdemocratico Giuseppe Saragat appoggiato anche dal Pci.

1965 E’ l’anno dove non accade nulla di particolare sulla scena politica italiana, salvo i contrasti all’interno del PCI fra le due correnti di Amendola e Ingrao, o in casa socialista dove troviamo Nenni a riunificare il Psdi. 

Aumenta la disoccupazione, proprio mentre salgono i prezzi e i capitali vanno all’estero.

Sono gli anni dove il divario con il nord aumenta e la “malattia” del Sud da endemica inizia a diventare cronica e si allarga ad altri strati della popolazione.

E’ l’anno in cui il mondo è turbato dalla guerra in Vietnam. Morirono due milioni di persone e i bombardamenti americani furono tre volte di più che su tutta l’Europa e l’Asia durante la Seconda Guerra Mondiale. 14 milioni di tonnellate di bombe su un territorio grande come l’Italia. 

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ALEXANDROS PANAGULIS – Αλέξανδρος Παναγούλης

«Se per vivere, o Libertà / 

chiedi come cibo la nostra carne / 

e per bere / 

vuoi il nostro sangue e le nostre lacrime, / 

te li daremo / Devi vivere»

(Alekos Panagulis, Devi vivere, 1971)

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E’ considerato un eroe della democrazia, contro ogni tipo di tirannide.

Con il suo coraggio e il suo lavoro ha contrassegnato la vita politica ed intellettuale della Grecia contemporanea. In quanto simbolo di libertà e democrazia, ispira le nuove generazioni e trova il suo posto vicino ai politici e agli uomini e donne di tutti i tempi, che hanno combattuto per i diritti dell’uomo e le libertà civili e politiche.

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https://www.raicultura.it/storia/articoli/2019/01/Alekos-Panagulis-03e45327-5691-4140-bcc9-9edc7024e092.html

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Alexandros Panagulis, Alekos  Glifada, 2 luglio 1939 – Atene, 1º maggio 1976) era il secondo figlio di Athena e Vassilios Panagulis. Studiò al Politecnico di Atene e divenne ingegnere elettronico, poi ufficiale dell’esercito greco. Spirito libero e democratico, entrò  nell’Organizzazione giovanile dell’Unione di Centro (O.N.E.K.), partito guidato da Papandreou, Gioventù Democratica Greca (E.DI.N).

Dopo il colpo di Stato dei Colonnelli, del 21 aprile 1967, Alekos entrò nella resistenza contro il regime militare guidato da Geōrgios Papadopoulos: disertò durante il servizio militare a causa delle sue convinzioni democratiche e fondò l’organizzazione Resistenza Greca.

Si allontanò a Cipro per tentare un attacco a Papadopoulos il 13 agosto 1968 vicino a Varkiza. L’attentato però fallì e Panagulis venne arrestato e fu sottoposto ad atroci torture fisiche e mentali.

Venne condannato a morte il 17 novembre 1968 e trasportato nell’isola di Egina, per l’esecuzione. Però la sentenza non venne eseguita, e così il 25 novembre 1968 Panagulis venne portato nelle prigioni militari di Boiati. 

Il 5 giugno 1969 evase di prigione; dopo essere stato arrestato tentò nuovamente di scappare scavando un buco nel muro della cella ma venne scoperto.

Un mese dopo, sempre a Boiati, venne chiuso in isolamento totale in una cella costruita appositamente per lui. Nel 1970 rischiò di morire nell’incendio della sua cella. 

Passò tre anni e mezzo nella cella detta “tomba”; tentò più volte di evadere nuovamente senza successo. Resistette sempre ad ogni umiliazione e pestaggio. 

Il 21 agosto 1974 venne liberato, grazie all’amnistia. Il giorno successivo conosce la scrittrice e giornalista fiorentina Oriana Fallaci, che divenne la sua compagna di vita. Andò a vivere a Firenze, e la scrittrice rimase incinta di un figlio, ma lo perse dopo un litigio con lo stesso Panagulis.

Nel novembre 1974 Panagulis si presentò con l’Unione del Centro – Nuove forze (E.K. – N.D.) e dopo venne eletto deputato del collegio di Atene.

Soffrì a causa delle ossa rotte a bastonate e delle lesioni a organi interni riportate durante i pestaggi subiti in prigione e anche di problemi di respirazione. 

Già deputato si impegnò nella denuncia contro i Colonnelli e tutti i loro complici; era riuscito ad ottenere dei documenti dell’ESA (i servizi segreti ellenici) che provavano i rapporti di collaborazione tra alcuni politici e la Giunta, primo tra tutti Evangelos Averoff, il quale, essendo Ministro della Difesa e quindi capo di un esercito ripulito solo in parte dai generali corrotti, aveva un potere maggiore del Presidente della Repubblica. 

La notte tra il 30 aprile e il 1º maggio 1976, mentre rientrava a Glifada, sua città natale nei dintorni di Atene, Panagulis rimase vittima di un incidente automobilistico in viale Vouliagmenis, ad Atene. La sua automobile, una Fiat 131, era finita nello scivolo di un’autorimessa. Secondo il governo era stato un incidente mentre secondo Oriana Fallaci era stato una esecuzione da parte di due vetture nelle quali due sicari guidavano al soldo dei nemici di Panagulis.

Il suo funerale, svoltosi nella cattedrale di Atene il 5 maggio vide la presenza di un milione e mezzo di persone del popolo che gridavano: “Zei zei zei” (“Vive vive vive”).

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Oriana Fallaci ha scritto un capolavoro Un Uomo (1979), che è degno di essere messo tra i migliori libri, non solo da leggere ma da insegnare nelle scuole, soprattutto ai ragazzi che non sanno cosa sia la dittatura e nemmeno conoscono le ristrettezze.

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IL GOLPE BORGHESE

STORIA DI UNA EVERSIONE DI DESTRA

Junio Valerio Borghese (Artena, 6 giugno 1906 – Cadice, 26 agosto 1974).

Era il secondo dei quattro figli del Principe Livio Borghese e di Valeria Keun.

Attratto dalla vita militare, nel 1922 venne ammesso ai corsi della Regia accademia navale, dalla quale uscì nel 1928 come guardiamarina. Nel 1929 venne promosso sottotenente di vascello e imbarcato in Adriatico; nel 1930 frequentò il corso superiore dell’Accademia Navale, e nel 1932 venne trasferito ai sommergibili.

Dopo aver frequentato il corso di armi subacquee, nel 1933, promosso tenente di vascello, venne imbarcato sul Colombo e poi sul Titano. Fu solo nel 1935 che ricevette il primo incarico di sommergibilista.

Dal 15 giugno 1937 assunse, infine, il primo comando: con il nuovo sommergibile Iride prese parte alla guerra civile spagnola

In seguito all’esperienza della guerra civile spagnola, venne decorato l’8 aprile 1939 della medaglia di bronzo al Valor militare. Permase al comando dell’Iride sino al 18 aprile 1939.

Successivamente proseguì la carriera sempre sui sommergibili.

Trasferito nel Dodecaneso, vi rimase fino all’entrata in guerra dell’Italia, il 10 giugno 1940, dove era comandante del sommergibile Vettor Pisani sin dal 9 maggio e prese parte alla battaglia di Punta Stilo del 9 luglio. 

Promosso capitano di corvetta, nel 1940 fu designato al reparto incursori della 1ª Flottiglia MAS, dove divenne comandante del sommergibile Scirè dall’11 settembre 1940.

Il 24 settembre 1940 Borghese cominciò la sua prima operazione contro la piazzaforte di Gibilterra, trasportando dei siluri a lenta corsa con le relative squadre. 

Il 2 gennaio 1941 Borghese fu decorato con la Medaglia d’oro al valor militare.

Nel 1942 viaggiò in Europa per raccogliere informazioni che potessero aiutare a compiere azioni belliche. 

Il 1º maggio 1943 Borghese assunse il comando della Xª Flottiglia MAS. 

L’attività della Xª MAS non si limitò alle incursioni navali contro le forze nemiche inglesi, ma si estese alla costituzione di reparti di terra, che assunsero le dimensioni di una divisione di fanteria leggera. A partire dalla seconda metà del 1944, la Decima fu impiegata anche in attività antipartigiane e rastrellamenti di civili, nelle zone dove agivano i partigiani, al fianco dei tedeschi; in queste azioni si registrarono rappresaglie, saccheggi, sevizie ed esecuzioni sommarie. Negli ultimi mesi del 1944 le azioni di alcuni gruppi degli appartenenti al corpo crearono preoccupazione anche nelle stesse autorità dell’RSI: il prefetto di Milano, Mario Bassi, si lamentò con il Duce per i «furti, rapine, provocazioni gravi, fermi, perquisizioni, contegni scorretti in pubblico» commessi da appartenenti alla Decima, evidenziando come questi causassero preoccupazione nella popolazione, anche per l’apparente impunità che li caratterizzava, chiedendo che la formazione venisse allontanata dalla città.

Il 25 aprile 1945 la Xª MAS con Borghese rimase acquartierata nella caserma di piazzale Fiume in Milano. 

Lo scioglimento formale della Xª MAS avvenne a Milano, il 26 aprile 1945 alle 17.00. Borghese fu preso in consegna dalla polizia partigiana. L’11 maggio, con l’aiuto dei servizi segreti americani, fu trasferito a Roma, dove trascorse un breve periodo prima di essere ufficialmente arrestato dalle autorità americane il 19 maggio per essere trasferito nel campo di concentramento di Cinecittà. 

Nell’immediato dopoguerra Borghese riuscì a sottrarsi alle forze partigiane che intendevano fucilarlo e fu chiamato a pagare per i crimini commessi ai danni dei civili e contro il governo di Badoglio. Dopo un concitato periodo di latitanza, seguirono ripetuti arresti e trasferimenti da un luogo di detenzione all’altro, in attesa dell’inizio del processo. In tale periodo riuscì a farsi accordare la protezione dai Servizi segreti statunitensi, con i quali era già in contatto da diversi mesi prima della fine della guerra in funzione anticomunista ed antislava.

Borghese ottenne di essere giudicato di fronte a una Corte d’Assise, a lui tutt’altro che sfavorevole. 

La Corte di Assise lo giudicò colpevole di collaborazionismo con i tedeschi in azioni di rappresaglia e concorso morale nella strage di partigiani catturati. 

Grazie alle disposizioni dell’amnistia Togliatti, il giorno stesso della lettura del dispositivo della sentenza, il 17 febbraio 1949, la Corte dispose l’immediata scarcerazione del condannato, che aveva già scontato per intero, in regime di carcerazione preventiva, la pena residua.

Borghese aderì al Movimento Sociale Italiano nel novembre 1951 e fu nominato presidente onorario, fino al 1953; inizialmente appoggiò la corrente di Almirante, poi abbandonò il partito, che giudicava troppo debole e si avvicinò alla destra extraparlamentare. 

Nel settembre 1968 fondò il Fronte Nazionale, allo scopo — secondo i servizi segreti — «di sovvertire le istituzioni dello Stato con disegni eversivi».

Costituì gruppi clandestini armati, in stretto collegamento con Ordine Nuovo e Avanguardia Nazionale, due organizzazioni del neofascismo.

Intanto nel 1963 la moglie, la principessa Daria Olsoufiev, era morta in un incidente stradale e Borghese aveva ottenuto l’incarico puramente onorario di presidente del Banco di Credito Commerciale e Industriale, che fu in seguito acquisito da Michele Sindona.

Svolgimento dei fatti

https://www.raiplay.it/video/2020/12/Passato-e-Presente—Il-golpe-Borghese-48f6f1e4-509b-49e7-b319-f93cbd8f2ca6.html

Nella notte tra il 7 e l’8 dicembre 1970 promosse un colpo di Statoavviato e poi interrotto, con la collaborazione di altri dirigenti del Fronte Nazionale, paramilitari appartenenti a formazioni del neofascismo e di numerosi alti ufficiali delle forze armate e funzionari ministeriali.

Al golpe si stima che parteciparono circa 20 000 uomini attivi e altrettanti pronti per essere attivati. Le circostanze del fallimento di quello che è rimasto noto come il “golpe Borghese” (o “golpe dei Forestali”) sono tuttora oscure e controverse. Fu Borghese in persona a impartire il contrordine, ma si rifiutò di spiegarne le ragioni persino ai suoi più fidati collaboratori. Lo fece dopo aver ricevuto una misteriosa telefonata. Alcune fonti individuano in Licio Gelli l’autore della telefonata. Secondo altre fonti fu invece Giulio Andreotti, per il tramite del suo segretario Gilberto Bernabei, a indurre Borghese a decretare il contrordine.

In seguito al fallimento del golpe, Borghese si rifugiò nella Spagna franchista, mentre nel 1971 fu emesso un mandato di cattura per il fallito colpo di Stato. Non fidandosi della giustizia italiana che, peraltro, nel 1973 revocò l’ordine di cattura e lo prosciolse, rimase all’estero fino alla morte, avvenuta in circostanze sospette a Cadice il 26 agosto 1974.

Lo stesso anno, Borghese era stato in Cile con Stefano Delle Chiaie per incontrare il generale Augusto Pinochet e uno dei capi della polizia segreta cilena, Jorge Carrasco.

È sepolto nella cappella di famiglia nella basilica di Santa Maria Maggiore, a Roma.

***

Lo svolgersi sufficientemente esauriente dei fatti accaduti, può essere desunto dalle relazioni della «Commissione parlamentare d’inchiesta sul terrorismo in Italia e sulle cause della mancata individuazione dei responsabili delle stragi», oggi pubbliche, con l’esclusione dei documenti riservati e anonimi, come deliberato dalla stessa nella seduta del 22 marzo 2001. 

L’inchiesta giudiziaria promossa dal Servizio informazioni difesa (SID) nel 1971, infatti, giunsealla magistratura depurata di importanti informazioni da parte del Ministro della Difesa dell’epoca, Giulio Andreotti. Le contraddittorie sentenze giudiziarie per il tentato golpe, quindi, non poterono tener conto di tali informazioni. Dopo una condanna in primo grado di numerosi congiurati il 14 luglio 1978, infatti, la sentenza d’appello del 27 novembre 1984 mandò tutti gli imputati assolti, tranne alcuni per reati minori. Il 25 marzo 1986 la Cassazione confermò l’assoluzione.

Il golpe era stato progettato sin dal 1969 da Junio Valerio Borghese sotto la sigla Fronte Nazionale in stretto collegamento con Ordine Nuovo e Avanguardia Nazionale. Il 4 luglio 1970 era stata costituita una “Giunta nazionale”. 

Il Fronte Nazionale aveva costituito gruppi clandestini armati e aveva stretto relazioni con settori delle Forze Armate. In accordo con diversi vertici militari e membri dei Ministeri, il piano prevedeva l’intervento di gruppi armati su diversi obiettivi di alta importanza strategica: l’occupazione del Ministero dell’Interno, del Ministero della difesa, delle sedi Rai e dei mezzi di telecomunicazione (radio e telefoni) e la deportazione degli oppositori presenti nel Parlamento

Tutto questo sarebbe stato accompagnato da un proclama ufficiale alla nazione, che Borghese stesso avrebbe letto dagli studi occupati della Rai e il cui testo fu rinvenuto tra gli effetti personali di Borghese.

Insieme al proclama fu sequestrato tra le carte di Borghese anche il futuro programma di governo in cui vi si confermava una ferma lealtà atlantica e il piano per l’attuazione di un “patto mediterraneo” con Spagna, Portogallo e Grecia (paesi all’epoca governati da regimi autoritari), l’apertura di relazioni diplomatiche con la Rhodesia e il Sudafrica e la richiesta di ingenti prestiti nei confronti del Presidente degli Stati Uniti, per far fronte alla crisi economica nel paese, in cambio dell’invio di truppe italiane nella guerra del Vietnam e nel Sud-Est asiatico.

Il piano cominciò a essere attuato nella notte tra il 7 e l’8 dicembre 1970, con il concentramento a Roma di diverse centinaia di congiurati. Alcuni militanti di Avanguardia Nazionale, comandati da Stefano Delle Chiaie e con la complicità di funzionari, entrarono nel Palazzo del Ministero dell’interno ed ebbe inizio la distribuzione ai cospiratori di armi e munizioni sottratte all’armeria del ministero.

Un secondo gruppo di militanti si riunì in una palestra di via Eleniana, per attendere la consegna delle armi, che avrebbe dovuto avvenire per ordine del tenente dei paracadutisti Sandro Saccucci e a opera del generale Ugo Ricci. Tra le persone radunate, in parte già in armi, vi erano anche ufficiali dei carabinieriLo stesso Saccucci diresse personalmente un altro gruppo di congiurati, con il compito di arrestare uomini politici.

Il generale dell’Aeronautica militare italiana Giuseppe Casero e il colonnello Giuseppe Lo Vecchio presero posizione al Ministero della Difesa, mentre un gruppo armato del Corpo Forestale dello Stato, di 187 uomini, guidato dal maggiore Luciano Berti, partito nella notte dalla Scuola Forestale di Cittaducale (Rieti), si appostò sulla Via Olimpica non lontano dalle sedi televisive della Rai.

Licio Gelli, futuro maestro venerabile della loggia massonica P2 avrebbe avuto il ruolo di consegnare la persona del Presidente della Repubblica Giuseppe Saragat in mano al Fronte Nazionale, avvantaggiato in ciò dai rapporti diretti con il gen. Vito Miceli che davano a Gelli libero accesso al Quirinale. 

In Lombardia, il maggiore dell’esercito Amos Spiazzi, mosse con il suo reparto verso i sobborghi di Milano, con l’obiettivo di occupare Sesto San Giovanni. 

Altre fonti, acquisite dalla Commissione parlamentare, indicherebbero che la mobilitazione ebbe luogo anche a Venezia, davanti al comando della Marina militare, a Veronain Toscana e Umbria, a Reggio Calabria, ove avrebbe dovuto aver luogo la distribuzione di divise dei Carabinieri.

Il golpe era in fase di avanzata esecuzione quando improvvisamente, quella stessa notte, alle ore 01:49, Borghese stesso ne ordinò l’immediato annullamento, con le medesime modalità dell’ordine, almeno secondo quanto riferito da Spiazzi. Ne sono tuttora ignote le ragioni, perché Borghese rifiutò di spiegarle persino ai suoi più fidati collaboratori. L’effetto pratico più eclatante fu che i circa 200 mitra sottratti dall’armeria del Viminale dovettero essere rimessi al loro posto, tranne uno definitivamente trafugato. 

Nella relazione finale, peraltro, si specifica che agli atti della Commissione è presente una dichiarazione secondo cui: «Il contrordine…, sarebbe giunto proprio da Gelli, essendo venuta meno la disponibilità dell’Arma dei carabinieri e non essendo stato assicurato l’appoggio finale degli USA».

Gli italiani vennero a conoscenza della vicenda solo il 17 marzo 1971, dalle pagine dell’edizione pomeridiana del quotidiano Paese Sera che titolò “Piano eversivo contro la repubblica, scoperto piano di estrema destra”.

Il 18 marzo il sostituto procuratore di Roma Claudio Vitalone firmò sei mandati di arresto con l’accusa di usurpazione dei poteri dello stato e cospirazione per il costruttore edile Remo Orlandini, Mario Rosa, Sandro Saccucci, Giuseppe Lo Vecchio, l’affarista Giovanni De Rosa e Junio Valerio Borghese, il quale, come già scritto,si rese irreperibile fuggendo in Spagna. 

Nella prima inchiesta giudiziaria del 1971, Miceli Direttore del SID mantenne costantemente un atteggiamento reticente, negando sia la concreta rilevanza dell’azione di Borghese, sia la complicità degli apparati di sicurezza. 

La Procura della Repubblica di Roma dispose l’archiviazione dell’indagine del 1971 per mancanza di prove. 

Una seconda inchiesta del 1972, condotta da Gian Adelio Maletti e Antonio Labruna, appurò una solida intesa tra Borghese, Miceli e Orlandini. 

Tale inchiesta fu recepita in un dossier in cui erano descritti il piano e gli obiettivi del tentato colpo di Stato, portando alla luce nuove informazioni che coinvolgevano anche Licio Gelli e la massoneria. 

Il rapporto era pervenuto alla Procura della Repubblica di Roma depurato delle suddette informazioni. Interrogato al riguardo dalla magistratura, Andreotti dichiarò di aver ritenuto di dover tagliare alcune parti del dossier e di non renderle pubbliche, in quanto tali informazioni erano «inessenziali», poiché non c’erano prove certe. 

Il 30 dicembre 1974 intervenne la Corte di Cassazione, unificando e trasferendo a Roma le coeve indagini dei giudici di Torino e di Padova concernenti l’organizzazione segreta La Rosa dei Venti. Ne conseguì che l’inchiesta sul gruppo veneto si arenò nel gran calderone del golpe Borghese. 

Il 30 maggio 1977 cominciò il processo per il golpe a 48 imputati. Anche Remo Orlandini dichiarò che la notte dell’8 dicembre, dopo l’avvio dell’operazione, ricevette una telefonata da Borghese il quale gli ordinava di rientrare, ma il motivo del contrordine era sconosciuto.

Il 14 luglio 1978 la Corte d’assise di Roma inflisse 46 condanne da due a dieci anni di carcere per costituzione di associazione sovversiva finalizzata alla cospirazione contro i poteri dello Stato, ma assolvendo gli imputati dall’accusa di insurrezione armata. Le condanne più alte furono inflitte al costruttore Orlandini (dieci anni) e al maggiore Mario Rosa (otto). Tra gli altri condannatiː il deputato del Movimento Sociale Italiano ed ex paracadutista Sandro Saccucci (quattro anni) e il colonnello Amos Spiazzi (cinque anni). Ad Orlandini, Rosa, Stefano Delle Chiaie e Spiazzi fu comminata anche la pena accessoria dell’interdizione perpetua dai pubblici uffici; a Sandro Saccucci l’interdizione per cinque anni. L’ex capo del SID generale Vito Miceli fu assolto dall’accusa di favoreggiamento, perché “il fatto non sussiste”.

Subito dopo la sentenza di primo grado il settimanale OP, diretto da Mino Pecorelli diffuse la notizia che solo una parte delle informazioni fosse stata effettivamente posta a disposizione degli inquirenti e che quelle concernenti il coinvolgimento di alti ufficiali delle Forze Armate e dello stesso Servizio di informazione, con riferimenti a Licio Gelli, erano state in realtà in larga parte soppresse. Pecorelli, peraltro, non poté essere chiamato a riferire ai giudici d’appello perché il 20 marzo 1979 fu ucciso a pochi passi dalla redazione del suo giornale, da killer rimasti tuttora ignoti.

Il giudizio d’appello per il fallito golpe si concluse in Corte d’assise, il 27 novembre 1984, con l’assoluzione con la formula “perché il fatto non sussiste” dei 46 imputati già condannati in primo grado dall’accusa di cospirazione politica, indipendentemente dalle ammissioni di taluni di essi.  

La Suprema Corte confermò, il 25 marzo 1986, la sentenza di secondo grado, ribadendo l’insussistenza della cospirazione politica e confermando le condanne per i reati minori. Tale provvedimento della Corte di Cassazione, ormai definitivo e irrevocabile, consentì agli imputati assolti o condannati a pene minori di potersi avvalere, anche per il futuro, dell’articolo 649 del codice di procedura penale, il quale stabilisce che nessuno può essere processato più volte «per il medesimo fatto». 

La Commissione Anselmi focalizzò in particolare il ruolo ricoperto da Licio Gelli e Vito Miceli, durante e dopo il golpe. 

In alcuni interrogatori del 1974 Nicoli e Degli Innocenti avrebbero rivelato la presenza a Roma, nella notte tra il 7 e l’8 dicembre 1970, di alcuni esponenti siciliani di Cosa nostra che avrebbero avuto il compito di uccidere il capo della Polizia Angelo Vicari. 

Tommaso Buscetta e Luciano Liggio, pur motivati da intenti diversi, furono i primi a parlare di un coinvolgimento di Cosa Nostra, nella fase preparatoria del tentativo golpistico di Junio Valerio Borghese. Il contatto tra la mafia e Borghese sarebbe avvenuto attraverso esponenti di alcune logge massoniche

Il coinvolgimento dell’organizzazione mafiosa venne confermato dallo stesso Buscetta e dall’altro collaboratore di giustizia Antonino Calderone, i quali rievocarono la vicenda nel corso del processo Andreotti (1995-1996).

Buscetta e Salvatore Greco (affiliato ad una delle logge palermitane ubicate in via Roma 391), che all’epoca si trovavano negli Stati Uniti, furono informati del progetto di Borghese dai boss Giuseppe Calderone e Giuseppe Di Cristina, ed invitati a tornare rapidamente in Italia per discuterne insieme. Giunti a Catania, parteciparono ad alcune riunioni preliminari alla presenza di Luciano Liggio (all’epoca latitante), Calderone e Di Cristina. Successivamente questi ultimi due s’incontrarono a Roma con Junio Valerio Borghese, al fine di stabilire quella che sarebbe stata la contropartita di Cosa Nostra in cambio del suo intervento in Sicilia a fianco dei golpisti. Borghese promise l’aggiustamento di alcuni processi, in particolare quelli di Liggio, Riina e Natale Rimi. 

Altra importante riunione si svolse a Milano, con la partecipazione di esponenti di Cosa Nostra del livello di Stefano Bontate, Badalamenti, Calderone, Di Cristina, Buscetta e Caruso. Nel corso della riunione Cosa Nostra decise l’adesione al progettato colpo di Stato. Buscetta tornò quindi negli Stati Uniti, dove, il 25 agosto 1970, appena giunto, fu arrestato. Nel corso della medesima audizione, Buscetta indicò nel colonnello Russo dei carabinieri il nominativo della persona incaricata di trarre in arresto il prefetto di Palermo. Specificò inoltre che i boss mafiosi non conoscevano personalmente Borghese. Di Cristina e Calderone sarebbero stati infatti contattati da alcuni appartenenti alla massoneria che spiegarono loro cosa Borghese avesse in animo di fare, con la richiesta a Cosa Nostra di una preliminare adesione. Seguì poi un incontro presso la sede di una loggia massonica e si pervenne ad una prima intesa di massima. 

Di “certi passaggi del golpe Borghese, (…) in cui sicuramente era coinvolta la mafia siciliana” parlò anche Giovanni Falcone dinanzi alla Commissione antimafia nel 1988.

Anche la ‘Ndrangheta avrebbe avuto un ruolo nel golpe: secondo quanto dichiarato nel 1992 dal collaboratore di giustizia Giacomo Lauro, nell’estate del 1970, avvenne un incontro a Reggio Calabria tra i capi De Stefano Paolo e Giorgio e il principe Borghese attraverso l’avvocato Paolo Romeo (‘ndranghetista ed esponente di Avanguardia Nazionale) per discutere sul colpo di Stato. L’organizzazione criminale avrebbe messo in azione 4.000 uomini per il colpo di Stato. 

Alcuni documenti desecretati a partire dagli anni 1990 avrebbero fatto emergere altri elementi integrativi dei fatti. Nel 2004 si è scoperto che il piano di Borghese era noto al governo degli Stati Uniti d’America.

Un rapporto dei servizi segreti italiani, allegato ai lavori della commissione parlamentare d’inchiesta sulla P2, afferma che i golpisti erano in contatto con membri della NATO, tanto che quattro navi NATO erano in allerta a Malta. 

Deduzioni

Dinanzi a questi fatti storici e giudiziari, si capisce chiaramente come fosse il clima politico degli anni Sessanta e Settanta. Da un lato l’Italia doveva stare in adesione al Patto Atlantico, con gli Stati Uniti. In Italia era netto il bipolarismo: centro-destra spesso al potere contro la sinistra; gli Stati Uniti difensori dell’ordine costituito. Dall’altra le forme eversive: la destra estrema, con Borghese, contraria al moderatismo della DC al potere e la sinistra marxista. 

La Mafia e la loggia massonica, come tentacoli sotterranei contrari alla democrazia, agivano e proliferavano.Le motivazioni della storia più recente vanno sempre trovate nella storia dagli anni Venti in poi, del Novecento.

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DESERTA ESTATE

“Aestas volat, hora fugit”

L’estate vola e il tempo fugge

Questo caldo tempo, 

in deserte vie,

non onora la Vita vera.

Non incontri nessuno

che voglia condividere 

le sue morte giornate

e si rintana all’ombra 

di nudi ingressi

e di vuoti condomini.

Ma la Vita vera

spesso si nasconde

all’ombra delle solitudini,

laddove lo sguardo altrui

rimane lontano,

come quando all’orizzonte

vedi salire dalla terra

il fuoco del Mezzogiorno.

E ti accorgi di come, in realtà,

il fuori non corrisponde al dentro,

il corpo non corrisponde all’anima,

la vera libertà non corrisponda al potere

al luogo, al fuori, ma al dentro, 

a ciò che lasci,

a ciò che ritieni,

al percepire che, aldilà del tutto umano,

ci siano uno spazio e un tempo non equivalenti.

Le ragioni della Vita 

non si trovano nel caldo tempo,

non si trovano nelle vie deserte, dell’estate,

nemmeno nella pienezza delle voci umane.

La Vita vera è nascosta nelle pieghe interne

dell’anima, laddove a volte, nemmeno a Dio

è permesso l’ingresso, se tu non vuoi.

E ti ritrovi a vagare nel flusso delle esperienze

quelle che nessuno vede e nessuno sa,

come quando, la città rimane sola, 

senza i suoi abitanti.

Morta, in agonia.

La Città eterna.

La Città eterna.

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POLIZIE SEGRETE SOVIETICHE

LA ČEKA

La prima polizia segreta dopo la Rivoluzione russa, organizzata in seguito al decreto di Lenin del 20 dicembre 1917, si chiamava “Čeka (abbreviazione di Večeka, “Comitato straordinario di tutta la Russia per combattere la controrivoluzione ed il sabotaggio“).

I suoi appartenenti erano denominati čekisti, un nome che è ancora utilizzato per riferirsi all’odierno FSB russosuccessore del KGB.

Responsabili:

  • Feliks Dzeržinskij 1917 – 1918
  • Jakov Peters 1918
  • Feliks Dzeržinskij 1918 – 1922
LA GPU
Il 6 febbraio 1922 la Čeka diventa Direzione Politica di Stato -GPU, una sezione dell’NKVD, “commissariato del Popolo per gli Affari Interni”. Responsabile:Feliks Dzeržinskij 1922 – 1923  
L’OGPU
Il 15 novembre 1923 la GPU si riorganizza nell’OGPU “Direzione Comune Politica di Stato” o “Ufficio Politico di Stato di tutta l’Unione” alle dipendenze del Consiglio dei commissari del popolo dell’URSS.
Responsabili: Feliks Dzeržinskij 1923 – 20 luglio 1926 Vjačeslav Menžinskij luglio 1926 – maggio 1934 
LA GUGB
Il 10 luglio 1934 l’OGPU diviene la GUGB, Direzione Generale per la Sicurezza dello Stato dell’URSS.
Responsabili: Genrich Jagoda 1934 – 1936 Nikolaj Ežov 1936 – 1938 Lavrentij Berija 1938 – 1945.
Il 3 febbraio 1941 il GUGB e l’NKVD (Comitato per la sicurezza dello stato) sono per un breve periodo separati, poi riuniti e, nel 1943, separati ancora.  
Segue la NKGB, Commissariato del Popolo per la Sicurezza dello StatoResponsabile: Vsevolod Merkulov 3 febbraio – 20 luglio 1941 Vsevolod Merkulov 14 aprile 1943 – 1946  
Il 18 marzo 1946 tutti i Commissariati del Popolo sono rinominati Ministeri.
I MINISTERI
MGB – “Ministero per la sicurezza di stato”
Responsabili: Viktor Abakumov 1946 – 1951 Sergej Ogol’cov agosto – dicembre 1951 Semën Ignat’ev 1951 – 1953 
KI – “Comitato di Informazione”
Responsabili:Pëtr Fedotov MGB Fëdor Kuznecov GRU Jakov Malik Ministero degli Esteri.
Il 30 maggio 1947 ci fu la decisione ufficiale di aggiornare il coordinamento dei diversi servizi di intelligence e di concentrarne gli sforzi sui filoni principali.
Nell’estate del 1948 il personale militare del KI venne restituito all’esercito sovietico, per ricostituire una sezione estera dell’intelligence militare del GRU.
Le sezioni del KI che si occupavano del blocco orientale e degli emigrati sovietici vennero riportate sotto l’MGB alla fine del 1948. Nel 1951 il KI ritornò all’MGB. 
L’ MVD “Ministero degli affari interni”
Il 5 marzo 1953: MVD e MGB vengono fuse nell’MVD da Lavrentij Berija.
Responsabile:Sergej Kruglov marzo 1953 – marzo 1954 
Il 13 marzo 1954: con l’epurazione di Berija, le funzioni di polizia segreta vengono nuovamente separate dal ministero dell’interno (MVD), ma il nuovo organo indipendente non è un ministero (come era il MGB), ma 

Un COMITATO, detto KGB, sotto il controllo del Consiglio dei ministri. Questo assetto del KGB resterà stabile sino al 1991.  
IL KGB – Comitato per la sicurezza di stato
Sigla che significa “Comitato per la sicurezza dello Stato“: era la principale agenzia di sicurezza, servizio segreto e polizia segreta dell’Unione Sovietica, attiva dal 13 marzo 1954 al 3 dicembre 1991.
Nel 1954 il KGB raccolse l’eredità della NKVD (Comitato per la sicurezza dello stato), organo di polizia segreta dell’Unione Sovietica. Ufficialmente sottoposto al Consiglio dei ministri, dipendeva di fatto dal Politburo e dal segretario generale del Partito comunista (PCUS)  Lavrenti Berija, dopo la morte di Stalin, e partecipò attivamente alle battaglie sotterranee che insanguinarono il mondo della guerra fredda, insieme agli altri servizi segreti mondiali.
Il KGB tentò e in qualche caso ottenne l’infiltrazione di suoi agenti nei governi amici e nemicinelle forze armate e nelle organizzazioni pacifiste straniere. La pratica dell’infiltrazione, che può assumere la funzione di tentare di destabilizzare governi “nemici”, era assolutamente condivisa nell’opposto blocco della NATO dai rispettivi servizi dei suoi paesi membri.
Quanto alla raccolta di informazioni, invece, fece anch’esso ricorso alle cosiddette “trappole al miele”, cioè facendo accostare al potenziale informatore una “disinteressata” anima gemella che riusciva ad avere accesso a informazioni riservatissime sfruttando la solitudine della persona avvicinata, nel caso delle donneo il richiamo del sesso, soprattutto negli uomini. Il KGB era “la spada e lo scudo del partito”, custode della lealtà all’interno e all’esterno dell’Unione Sovietica. Luoghi celebri legati alla memoria del KGB sono il palazzo della Lubjanka, già sede delle Assicurazioni Rossija, e il carcere di Lefortovo.
Nel 1991, Vladimir Krjučkov, responsabile principale del KGB, capeggiò il fallito colpo di Stato contro il presidente Michail Gorbačëv.
In seguito a ciò Krjučkov venne arrestato e il 3 dicembre 1991 il KGB cessò di esistere.
Successivamente le sue competenze vennero divise tra diverse organizzazioni:
FSB: sicurezza interna e controspionaggio. 
SVR: spionaggio estero. 
FAPSI: si trattava dell’organismo tecnico dei servizi russi.
Successivamente, è stato assorbito dall’FSB.
Guardie di Frontiera.

Tra i suoi presidenti, Jurij Andropov ha ricoperto la carica di Segretario generale del PCUS, e il Presidente russo Vladimir Putin proviene dalle sue file ed è stato anche presidente dell’FSB, che è l’erede del KGB.
Responsabili:
Ivan Serov 13 marzo 1954 – 8 dicembre 1958 Aleksandr Šelepin 25 dicembre 1958 – 13 novembre 1961 Vladimir Semičastnyj 13 novembre 1961 – 18 maggio 1967 Jurij Andropov 18 maggio 1967 – 26 maggio 1982 Vitalij Fedorčuk 26 maggio 1982 – 17 dicembre 1982 Viktor Čebrikov 17 dicembre 1982 – 1º ottobre 1988 Vladimir Krjučkov 1º ottobre 1988 – 22 agosto 1991 Leonid Šebaršin 22 agosto 1991 – 23 agosto 1991 (facente funzioni)Vadim Bakatin 23 agosto 1991 – 22 ottobre 1991Viktor Barannikov, 15 gennaio 1992 – 27 luglio 1993 Nikolaj Goluško, 28 luglio 1993 – 28 febbraio 1994 Sergej Stepašin, 3 marzo 1994 – 30 giugno 1995 Anatoly Safonov, 30 giugno 1995 – 24 luglio 1995 Michail Barsukov, 24 luglio 1995 – 20 giugno 1996 Nikolaj Kovalëv, 20 giugno 1996 – 25 luglio 1998 Vladimir Putin, 25 luglio 1998 – 9 agosto 1999 Nikolaj Patrušev, 9 agosto 1999 – 12 maggio 2008 Aleksandr Bortnikov, 12 maggio 2008 – in carica.
Dopo che il Comitato per l’Emergenza di Stato fallisce nel rovesciare Gorbačëv e Boris El’cin prende il controllo, il generale Vadim Bakatin riceve l’ordine di sciogliere il KGB.
L’FSB
FSB – Polizia segreta e servizi di intelligence della Federazione Russa, successore russo del KGB
Nel 1998 El’cin nominò Vladimir Putin, un veterano del KGB che sarebbe poi succeduto a El’cin, come direttore dell’FSB. Putin condusse una profonda riorganizzazione, che includeva il licenziamento della maggior parte del personale di vertice dell’FSB. 
Putin nominò Nikolaj Patrušev capo dell’FSB nel 1999.
L’FSB è stato posto sotto il controllo diretto del Presidente con un decreto emesso il 17 maggio 2000.
Nella struttura risultante, l’FSB doveva avere un direttore, un primo vicedirettore e altri nove vicedirettori, tra cui un possibile segretario di Stato e i capi di sei dipartimenti:Dipartimento di Sicurezza Economica, Dipartimento di Controspionaggio, Servizio Organizzazione e Personale, Dipartimento di erogazione delle attività, Dipartimento di Analisi, Previsione e Pianificazione Strategica, Dipartimento per la Tutela del Sistema Costituzionale e la Lotta al Terrorismo.
L’FSB era l’unica base di potere del nuovo presidente, e la ristrutturazione ha quindi rafforzato la posizione di Putin.
Il 28 giugno 2004, in un discorso agli alti ufficiali dell’FSB, Putin ha sottolineato tre compiti principali dell’agenzia: neutralizzare lo spionaggio straniero, salvaguardare la sicurezza economica e finanziaria del paese e combattere la criminalità organizzata.

Dal 2014, l’FSB ha dedicato ingenti risorse alla preparazione per l’acquisizione da parte della Russia dell’Ucraina, nella sua parte orientale. 
Prima dell’invasione del 2022, le agenzie di intelligence in Ucraina, Germania, Regno Unito e Stati Uniti hanno riferito che l’FSB prevedeva di sostituire i leader eletti dell’Ucraina con gli ucraini che ora vivono in Russia. 
I servizi di sicurezza dell’FSB sono stati accusati di essere implicati nell’assassinio di due nomi celebri, uccisi sul finire del 2006:
Aleksandr Litvinenko: ex appartenente al servizio, rifugiatosi nel Regno Unito ed avvelenato a Londra da una dose di Polonio-210 il 23 novembre 2006, dopo aver accusato pubblicamente Putin e l’FSB di aver commissionato gli attentati di Mosca del settembre 1999. Questo risulterebbe infondato perché gli attentati sono stati eseguiti da fondamentalisti islamici delle regioni meridionali della Russia, che vogliono l’indipendenza.
Anna Politkovskaja: giornalista più volte protagonista di affermazioni ed articoli critici con il presidente e a difesa dei diritti umani ed uccisa nel giorno del compleanno dello stesso Putin (7 ottobre 2006) da quattro colpi di pistola nell’androne del suo condominio, mentre rincasava dopo aver fatto acquisti.   

   
Fonti: Treccani, siti storici esteri e italiani, rielaborazione e riassunto storico dell’autrice
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MARINA CVETAEVA E MUR

Marina era nata a Mosca l’8 ottobre 1892 da Ivan Vladimirovič Cvetaev, professore di Belle Arti all’Università di Mosca, e Marija Aleksandrovna Mejn, eccellente pianista allieva di Nikolaj Rubinštejn. 

Marina iniziò a scrivere precocemente all’età di sei anni, sia nella sua lingua madre, il russo, sia anche in francese e tedesco, lingue apprese da padre e madre e dalla balia. 

Era una giovane molto intelligente, di carattere forte e vivace, appassionato. 

Diventò precocemente famosa, grazie ai suoi versi simbolistici e ai suoi racconti.

Durante delle vacanze estive, nella dacia (villa di campagna) della famiglia Efron, a Koktebel’, in Crimea, Marina incontrò per la prima volta (1911) Sergej Jakovlevič Efron.

Si innamorò subito di questo giovane di diciotto anni -lei ne aveva diciannove-e si sposarono dopo poco. Entrambi scrivevano poesie.

Durante gli anni ’20, Marina e suo marito erano sotto l’occhio del ciclone dei comunisti, perché entrambi appartenevano ai bianchi, ossia a famiglie avverse alla Rivoluzione russa del 1917. 

La loro figlia Ariadna, Alja, la primogenita, era nata nel 1912 e nel 1937 era tornata a Mosca, ma riconosciuta subito per essere figlia di Sergej, venne mandata in un campo di lavoro; seguì nel 1918, Irina, morta di stenti, a neanche tre anni, in un ricovero, nel 1920, perché sua madre, rimasta sola a Mosca, non aveva più come mantenerla e Georgij, detto Mur, nato nel 1925, il figlio più piccolo, che Marina ebbe in Cecoslovacchia e che visse con lei in Francia dal novembre 1925, fino al loro estremo ritorno in Unione Sovietica, nel 1939.

Il marito Sergej Jakovlevič Ėfron militava come ufficiale dell’Armata bianca; costui emigrò prima a Berlino e poi a Praga nel 1922.

Marina aveva sempre la speranza di ricongiungersi al marito, che era stato arrestato dalla polizia comunista, per essere visto come “nemico” interno. Sergej finse di essersi pentito di essere tra i Bianchi, ma in realtà accettò di essere spia della controparte, per conoscere le mosse dei comunisti; scoperto, fu arrestato il 10 dicembre 1937 e venne prima messo in un gulag e poi fucilato dall’NKVD (antecedente del KGB, polizia comunista) nel 1941, perché la polizia aveva torturato sua figlia Ariadna, tenuta poi in un gulag fino al 1953, morte di Stalin. Nel 1955 Ariadna venne fatta uscire dal gulag e riabilitata. Passò poi la sua vita a parlare e scrivere dei suoi genitori e del fratello.

Marina e il giovane figlio Mur erano tornati in Russia allo scoppio della seconda guerra mondiale, con lo scopo di cercare il marito e la figlia. Marina tentò di chiedere aiuto all’Unione degli Scrittori, disposta a fare qualsiasi lavoro per mantenersi e mantenere Mur, ma purtroppo, non ottenne nulla e i pochi risparmi iniziarono a scarseggiare. Mur era cresciuto in Francia, aveva un carattere sensibile ma chiuso, intelligentissimo, sapeva scrivere e parlare correntemente russo e francese. La madre Marina amava moltissimo Mur. 

Mur voleva studiare. Dipendeva in tutto dalla mamma e teneva un diario di tutto. Leggeva tantissimo e desiderava solo ritrovare il papà e la sorella. La madre sentiva disperazione e nessuno la aiutava. Nell’estate del 1941, per via dei bombardamenti tedeschi, molta gente venne allontanata obbligatoriamente dal nord, verso le zone del sud dell’Unione Sovietica. Con disagi immani e sempre in treno, Marina e Mur arrivarono in agosto in un villaggio sperduto della cittadina di Elabuga,  nella repubblica del Tatarsan, sulle rive del fiume Kama.

Qui Marina trovò una camera per sé e Mur e cercò instancabilmente un posto di lavoro, anche nella cittadina vicina, ma invano.

Sfinita e senza più risorse, Marina si impiccò alla trave della cucina della piccola isba, dove vivevano, il 31 agosto 1941. 

Mur tornò a casa e trovò l’orribile scena e tre biglietti scritti da sua madre, ma la polizia comunista non gli diede nemmeno tempo di piangere e seppellire sua madre, perché Marina venne messa in una fossa comune. Mur scrisse allora alla zia Lilja, che si trovava a Mosca e le chiese qualche soldo; nel frattempo riuscì a vendere per poco qualche oggetto della mamma. Restò nella casa della suicida per tre giorni. Il 4 settembre partì per Čistopol’, a sud-ovest di Elabuga, ospite dello scrittore Nikolaj Aseev e della moglie. Tutti lo trattavano con frettolosa simpatia, togliendoselo di dosso: aveva sedici anni, la sorella nei Gulag, il padre giustiziato, la madre ammazzata dal sortilegio dei delatori e dei traditori. Puzzava di morte. Per pagargli il vitto, vendettero abiti e oggetti di Marina; lui, il ragazzo, riuscì a piazzare il cappotto con bavero di montone della madre.

Nel suo diario, che è stato ritrovato dopo anni -e la sorella poi curò nelle edizioni in russo e in francese-, si parla degli avvenimenti legati alle traversie patite dalla mamma e da lui; il suo desiderio di ragazzo, di conoscere una ragazza, di studiare, di crescere e rivedere il papà e la sorella. Il 22 settembre Mur sbarcò a Mosca, poi fu dislocato di nuovo a sud, a Taškent, nell’attuale Uzbekistan.

Lì riuscì anche a studiare, ma fu malato e riuscì a vivere isolato e in abbandono con i pochi soldi della zia.Nell’ottobre del 1943, ritornò a Mosca e riuscì ad iscriversi all’Istituto di Letteratura, ma purtroppo la guerra interruppe ogni desiderio: “Ho visto i morti per la prima volta in vita mia, fino ad oggi mi sono sempre rifiutato di guardare i cadaveri, compreso quello di mia madre Marina.”, scrive, nell’ultima lettera alla zia. “La morte è terribile, mostruosa… le sfuggirò”. Venne poi costretto all’arruolamento il 26 febbraio del 1944. I giovani venivano mandati a combattere nelle prime linee e così Mur fu colpito da un proiettile morendo il 7 luglio del 1944, a Drujka, in Bielorussia, diciannovenne: un proiettile gli aveva fracassato il cranio.

***

Colpisce la storia di questa famiglia. Chissà quante persone nella storia hanno sofferto per la cattiveria e per l’ignavia di altri. La Memoria serve più a noi, che a loro, ai quali, ci si augura, la Misericordia divina avrà riservato Quiete Eterna.

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E SE DOMANI

Siamo forse abituati a considerare la nostra vita, dalla nascita alla sua morte, così come ci appare, per noi e per le persone che ci circondano, senza pensare che noi non eravamo così come appariamo. Secondo la visione cattolica, tratta dalla Scrittura e da quanto emerge dalla predicazione di Gesù, ma anche da quanto la medicina ha compreso e riconosciuto, attraverso la biologia, noi siamo frutto dell’unione tra il seme di nostro padre e la cellula uovo di nostra madre. Questa unione che, volente o nolente, ha costituito un nuovo essere, non è frutto del caso.

Prima di diventare un piccolo embrione e poi un feto e vedere la luce di questo mondo, la nostra anima era nel regno di Dio. Gesù, come si racconta nel Vangelo, quando lo volevano far cadere nei tranelli, circa il regno di Dio, affermava che noi siamo figli di Dio, del Dio vivente e che in cielo saremo come angeli di Dio, ossia la nostra corporeità avrà avuto la sua funzione distintiva e anche procreativa sulla terra ( non per tutti, perché ci sono coloro che non procreano per il servizio divino, come sacerdoti e religiosi/religiose), ma la nostra persona avrà altra dinamica e non sarà più necessario il corpo, ma solo la nostra anima individuale, esistente prima della creazione del mondo e esistente in eterno.

La nostra persona, così come è visibile ora, svolge ogni sua funzione, ma non lo farà, fisicamente, in modo definitivo. L’anima, infatti, preesistente al corpo e assegnata solo al nostro corpo, alla fine di questa parentesi terrena, fatta di istanti, minuti, giorni, mesi e anni, tornerà a Dio, nell’attesa della Risurrezione dai morti, annunciata da Gesù e alla riconfigurazione dell’Universo.

E possiamo pensare che, una volta che saremo al cospetto di Dio, come anima, incontreremo anche tutti coloro che ci hanno preceduto: persone conosciute o meno, questo non importa.

Sarà possibile, quindi, vedere i nostri cari e altri.

Parlare con loro, amarli in eterno, così come Dio ha amato noi in eterno, al punto da donarci una vita senza fine.

E se domani incontrassimo i nostri cari, oppure persone di cui abbiamo sentito parlare o abbiamo immaginato, sarà bellissimo.

Mi fa tristezza pensare che molta gente non crede e vive nel mondo come cagnolini senza padrone.

Gesù ci ha promesso una Vita eterna e nemmeno sappiamo come possa essere bello andare a conoscere le persone care che, appunto, ci hanno preceduto nella fede.

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I VALORI

Questa riflessione la dedico

a tutte le persone che non fanno compromessi.

A volte lo sguardo retrospettivo sulla vita può essere nostalgico e a volte può essere propulsivo. Essere tradizionalisti non significa essere retrogradi, così come essere progressisti non significa essere sconsiderati o eccessivi. Se applichiamo alle cose la giusta misura, possiamo stabilire leciti confini.

Dedico questa riflessione alle poche persone che reputo ancora solide, circa i valori della propria vita. Certamente ogni persona ha i suoi valori, ossia dà importanza a qualcosa più che ad altra. Ogni persona nella sua esistenza attua delle strategie per cui possa sentirsi realizzata e felice. Ma spesso la realtà disattende le proprie aspettative o i propri sogni.

E allora? Cosa si fa se le cose non vanno secondo i propri desideri? Rinunciarvi? Lottare per essi? Fare compromessi? Cambiare?

Personalmente penso che rinunciare ai propri sogni e ai propri desideri possa portare alla rinuncia al senso della vita. Invece, portarli avanti, nel modo corretto, spinge la persona alla piena realizzazione di se stessa. Il cammino non è senza ostacoli, ma ne vale la pena.

Non sono mai stata persona da compromessi. In questo non sono malleabile, né ho prezzo; penso infatti che fare accordi per sbarcare il lunario non sia dignitoso, benchè nella vita abbia visto molti farlo e io rimanere della mia e andare avanti comunque.

I valori dell’onestà e della determinazione sono per me fortezza.

Non mi interessa assolutamente l’amicizia delle persone e il successo come ipocrita paga per aver venduto i valori.

C’è chi lo fa e per me non esiste proprio.

Orgogliosamente rifiuto ogni tipo di menzogna o di doppiezza.

Per me il fariseismo è la peggiore malattia, e soprattutto in certi ambienti, può essere la rovina.

Chi non è in un certo modo, ossia chi non è capace di sopportare anche la solitudine e il disprezzo per tutelare i valori fondanti della sua esistenza, semplicemente “non è”: non è capace, non è forte e non è affidabile.

La ruvidezza non piace a nessuno.

Piacciono più i salamelecchi e piacciono più le maschere.

Ma per chi, come me, non ama né gli uni né le altre, anche la solitudine può essere la benvenuta, laddove sia la giusta compagna, dinanzi ai compromessi.

E se è vero che l’onestà e la verità sono il raggiungimento di un certosino lavoro su di sé, la vera relazione e la vera amicizia possono ripagare.

La Scrittura mette sempre in guardia da falsità, doppiezza, giochi di potere e tentazioni dell’apparire.

Meglio soli che accompagnati da mille facce.

L’autenticità si ripaga da se stessa.

La verità incorona chi la sostiene e tanto basta a chi è saggio.

I veri valori non sono commerciabili.

Auguriamoci che ci siano altri che li sostengano.

Saluti

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SPERIMENTAZIONE…

RACCONTO BREVE

AL N.3 DI VIA DELLE BROCCHE

A Via delle Brocche n.3, in zona Campo Marzio, a Roma, viveva il figlio di un Principe. Sì.

Metà figlio di un principe e metà figlio della portiera.

Vittorio.

Le foto di Vittorio tra le mie mani, mentre guardavo fuori dall’appartamento Cenci, al primo piano di Via delle Brocche n.3.

Ci andai nel lontano 198*, quando ancora ero una bambina.

Però Vittorio non me lo posso dimenticare!

Vittorio era un uomo di circa trent’anni e viveva nel sottopiano di Via delle Brocche. Suo padre aveva avuto una bella moglie e una bella casa, un’altra a Portofino e di mestiere faceva il nobile, ma era anche laureato: ingegnere.

Vittorio però era il figlio della portiera. Una donna all’epoca sulla cinquantina, con gli occhi neri, penetranti e i capelli alla Anna Magnani. Un’aria di donna che sa sempre il fatto suo e che sa sempre tutto di tutti. Non per nulla stava alla guardiola.

Vittorio aveva il cognome della madre. Ovvio.

Sapeva chi era suo padre, che viveva al primo piano di Via delle Brocche n.3, però fingeva di non sapere, per proibizione della madre.

Eppure Maria a quel figlio lo chiamava davvero “principe”, per via di suo padre, che Principe lo era davvero.

Io l’appartamento di suo padre lo vidi davvero, mentre mia madre si occupò per un’estate della casa e del suo ordine.

Vittorio ci accoglieva alle otto del mattino del caldo agosto romano, quando per Roma vedi solo turisti e poveri.

Vittorio non parlava molto. Era come sua madre per le fattezze: entrambi mori, entrambi in carne. Dove andava lei, andava lui. Come un cane.

Io no. Non mi piaceva proprio fare quello che diceva mia madre e tantomeno la madre di Vittorio, che dava sempre ordini.

“Cocca, vuoi un bel panino al prosciutto? A Vittorio piace.”

“Cocca, vuoi un bel piatto di spaghetti? Al sugo, buono come lo faccio io, alla marchigiana! A Vittorio piace”.

“Cocca, vuoi una bella parmigiana, fatta fresca fresca ieri sera, quando Vittorio dormiva? A Vittorio piace”…

Io ero Cocca. Non avevo nome. Il nome lo aveva solo Vittorio!

Vittorio sfogliava sempre le stesse riviste di sua madre. Quelle per donne.

Si era fatto una cultura al femminile. Ma lui non parlava. Mi ero sempre chiesta se avesse la lingua.

Non rinunciavo alle prelibatezze per Vittorio, e quando mamma scendeva giù, dal primo piano del Principe, alla guardiola, rimaneva a guardarci, a Vittorio e a me, che mangiavamo ogni giorno vaschette con cose buone.

“Maria ti vizia eh?”-mi diceva mia madre.

“No vizia Vittorio e me perché sto qui!”- rispondevo io.

Vittorio rideva. Mi guardava. E addentava un panino gonfio di prosciutto crudo o gli spaghetti o la carbonara…o quello che sua madre metteva davanti.

Avevamo fatto comunella. Però lui non parlava.

Un giorno in autobus chiesi a mia madre di Vittorio.

“Eh, una storia triste. Lui sai, ti ho detto, è figlio del Principe, come Totò lo era di De Curtis, però sua madre Maria, non potè ottenere il cognome del padre, per lui, perché era sposato suo padre. Con una donna che non poteva dargli figli.

E vedi, Vittorio e Maria vivono nel sottopiano del palazzo. Tipo una cantina ben arredata.”

“Sì, sì, vedo. Ma Vittorio non parla mai. E’ muto?”

“Ma che muto!- rispose mia madre- quello non parla perché parla sempre sua madre”.

E così capii che Vittorio era un furbo. A trent’anni non lavorava, non aveva una vita sua e viveva a casa di mamma’, aspettando i tempi giusti perché suo padre lo riconoscesse.

Ma suo padre mai lo riconobbe.

Mi faceva pena Vittorio. Lo guardavo, mi guardava e io mi sentivo male per lui. Perché mai non si slacciava da sua madre? Crearsi una vita sua…Pensavo che alla fine sarebbe diventato lui il portiere di Via delle Brocche n.3…con la differenza che ad aprire il portone, alle otto, sarebbe stato lui e non sua madre.

Trent’anni dopo, passai per una commissione proprio davanti a Via delle Brocche n.3.

Avevo perso il tram da Piazza del Popolo al Flaminio. Così decisi di andare a vedere se scorgevo Vittorio.

Probabilmente sua madre era morta da tempo e Vittorio avrebbe avuto circa sessant’anni o giù di lì.

Mi misi a camminare sul marciapiedi di fronte al palazzo. Vidi il portone aperto e guardai. In guardiola c’era un uomo. Vittorio? Non so. Non mi sono azzardata ad andare. Però, sollevando lo sguardo, vidi che c’era un cartello: VENDESI PRIMO PIANO. RIVOLGERSI A VITTORIO.

Vittorio, il furbo ora era il padrone dell’appartamento. Non aveva avuto il cognome di suo padre? Chissà.

Ma aveva avuto le chiavi di tutto e con il suo silenzio aveva rotto anche il tabù della miseria e della nobiltà.

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