STORIA DI UNA EVERSIONE DI DESTRA
Junio Valerio Borghese (Artena, 6 giugno 1906 – Cadice, 26 agosto 1974).
Era il secondo dei quattro figli del Principe Livio Borghese e di Valeria Keun.
Attratto dalla vita militare, nel 1922 venne ammesso ai corsi della Regia accademia navale, dalla quale uscì nel 1928 come guardiamarina. Nel 1929 venne promosso sottotenente di vascello e imbarcato in Adriatico; nel 1930 frequentò il corso superiore dell’Accademia Navale, e nel 1932 venne trasferito ai sommergibili.
Dopo aver frequentato il corso di armi subacquee, nel 1933, promosso tenente di vascello, venne imbarcato sul Colombo e poi sul Titano. Fu solo nel 1935 che ricevette il primo incarico di sommergibilista.
Dal 15 giugno 1937 assunse, infine, il primo comando: con il nuovo sommergibile Iride prese parte alla guerra civile spagnola.
In seguito all’esperienza della guerra civile spagnola, venne decorato l’8 aprile 1939 della medaglia di bronzo al Valor militare. Permase al comando dell’Iride sino al 18 aprile 1939.
Successivamente proseguì la carriera sempre sui sommergibili.
Trasferito nel Dodecaneso, vi rimase fino all’entrata in guerra dell’Italia, il 10 giugno 1940, dove era comandante del sommergibile Vettor Pisani sin dal 9 maggio e prese parte alla battaglia di Punta Stilo del 9 luglio.
Promosso capitano di corvetta, nel 1940 fu designato al reparto incursori della 1ª Flottiglia MAS, dove divenne comandante del sommergibile Scirè dall’11 settembre 1940.
Il 24 settembre 1940 Borghese cominciò la sua prima operazione contro la piazzaforte di Gibilterra, trasportando dei siluri a lenta corsa con le relative squadre.
Il 2 gennaio 1941 Borghese fu decorato con la Medaglia d’oro al valor militare.
Nel 1942 viaggiò in Europa per raccogliere informazioni che potessero aiutare a compiere azioni belliche.
Il 1º maggio 1943 Borghese assunse il comando della Xª Flottiglia MAS.
L’attività della Xª MAS non si limitò alle incursioni navali contro le forze nemiche inglesi, ma si estese alla costituzione di reparti di terra, che assunsero le dimensioni di una divisione di fanteria leggera. A partire dalla seconda metà del 1944, la Decima fu impiegata anche in attività antipartigiane e rastrellamenti di civili, nelle zone dove agivano i partigiani, al fianco dei tedeschi; in queste azioni si registrarono rappresaglie, saccheggi, sevizie ed esecuzioni sommarie. Negli ultimi mesi del 1944 le azioni di alcuni gruppi degli appartenenti al corpo crearono preoccupazione anche nelle stesse autorità dell’RSI: il prefetto di Milano, Mario Bassi, si lamentò con il Duce per i «furti, rapine, provocazioni gravi, fermi, perquisizioni, contegni scorretti in pubblico» commessi da appartenenti alla Decima, evidenziando come questi causassero preoccupazione nella popolazione, anche per l’apparente impunità che li caratterizzava, chiedendo che la formazione venisse allontanata dalla città.
Il 25 aprile 1945 la Xª MAS con Borghese rimase acquartierata nella caserma di piazzale Fiume in Milano.
Lo scioglimento formale della Xª MAS avvenne a Milano, il 26 aprile 1945 alle 17.00. Borghese fu preso in consegna dalla polizia partigiana. L’11 maggio, con l’aiuto dei servizi segreti americani, fu trasferito a Roma, dove trascorse un breve periodo prima di essere ufficialmente arrestato dalle autorità americane il 19 maggio per essere trasferito nel campo di concentramento di Cinecittà.
Nell’immediato dopoguerra Borghese riuscì a sottrarsi alle forze partigiane che intendevano fucilarlo e fu chiamato a pagare per i crimini commessi ai danni dei civili e contro il governo di Badoglio. Dopo un concitato periodo di latitanza, seguirono ripetuti arresti e trasferimenti da un luogo di detenzione all’altro, in attesa dell’inizio del processo. In tale periodo riuscì a farsi accordare la protezione dai Servizi segreti statunitensi, con i quali era già in contatto da diversi mesi prima della fine della guerra in funzione anticomunista ed antislava.
Borghese ottenne di essere giudicato di fronte a una Corte d’Assise, a lui tutt’altro che sfavorevole.
La Corte di Assise lo giudicò colpevole di collaborazionismo con i tedeschi in azioni di rappresaglia e concorso morale nella strage di partigiani catturati.
Grazie alle disposizioni dell’amnistia Togliatti, il giorno stesso della lettura del dispositivo della sentenza, il 17 febbraio 1949, la Corte dispose l’immediata scarcerazione del condannato, che aveva già scontato per intero, in regime di carcerazione preventiva, la pena residua.
Borghese aderì al Movimento Sociale Italiano nel novembre 1951 e fu nominato presidente onorario, fino al 1953; inizialmente appoggiò la corrente di Almirante, poi abbandonò il partito, che giudicava troppo debole e si avvicinò alla destra extraparlamentare.
Nel settembre 1968 fondò il Fronte Nazionale, allo scopo — secondo i servizi segreti — «di sovvertire le istituzioni dello Stato con disegni eversivi».
Costituì gruppi clandestini armati, in stretto collegamento con Ordine Nuovo e Avanguardia Nazionale, due organizzazioni del neofascismo.
Intanto nel 1963 la moglie, la principessa Daria Olsoufiev, era morta in un incidente stradale e Borghese aveva ottenuto l’incarico puramente onorario di presidente del Banco di Credito Commerciale e Industriale, che fu in seguito acquisito da Michele Sindona.
Svolgimento dei fatti
https://www.raiplay.it/video/2020/12/Passato-e-Presente—Il-golpe-Borghese-48f6f1e4-509b-49e7-b319-f93cbd8f2ca6.html
Nella notte tra il 7 e l’8 dicembre 1970 promosse un colpo di Stato, avviato e poi interrotto, con la collaborazione di altri dirigenti del Fronte Nazionale, paramilitari appartenenti a formazioni del neofascismo e di numerosi alti ufficiali delle forze armate e funzionari ministeriali.
Al golpe si stima che parteciparono circa 20 000 uomini attivi e altrettanti pronti per essere attivati. Le circostanze del fallimento di quello che è rimasto noto come il “golpe Borghese” (o “golpe dei Forestali”) sono tuttora oscure e controverse. Fu Borghese in persona a impartire il contrordine, ma si rifiutò di spiegarne le ragioni persino ai suoi più fidati collaboratori. Lo fece dopo aver ricevuto una misteriosa telefonata. Alcune fonti individuano in Licio Gelli l’autore della telefonata. Secondo altre fonti fu invece Giulio Andreotti, per il tramite del suo segretario Gilberto Bernabei, a indurre Borghese a decretare il contrordine.
In seguito al fallimento del golpe, Borghese si rifugiò nella Spagna franchista, mentre nel 1971 fu emesso un mandato di cattura per il fallito colpo di Stato. Non fidandosi della giustizia italiana che, peraltro, nel 1973 revocò l’ordine di cattura e lo prosciolse, rimase all’estero fino alla morte, avvenuta in circostanze sospette a Cadice il 26 agosto 1974.
Lo stesso anno, Borghese era stato in Cile con Stefano Delle Chiaie per incontrare il generale Augusto Pinochet e uno dei capi della polizia segreta cilena, Jorge Carrasco.
È sepolto nella cappella di famiglia nella basilica di Santa Maria Maggiore, a Roma.
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Lo svolgersi sufficientemente esauriente dei fatti accaduti, può essere desunto dalle relazioni della «Commissione parlamentare d’inchiesta sul terrorismo in Italia e sulle cause della mancata individuazione dei responsabili delle stragi», oggi pubbliche, con l’esclusione dei documenti riservati e anonimi, come deliberato dalla stessa nella seduta del 22 marzo 2001.
L’inchiesta giudiziaria promossa dal Servizio informazioni difesa (SID) nel 1971, infatti, giunsealla magistratura depurata di importanti informazioni da parte del Ministro della Difesa dell’epoca, Giulio Andreotti. Le contraddittorie sentenze giudiziarie per il tentato golpe, quindi, non poterono tener conto di tali informazioni. Dopo una condanna in primo grado di numerosi congiurati il 14 luglio 1978, infatti, la sentenza d’appello del 27 novembre 1984 mandò tutti gli imputati assolti, tranne alcuni per reati minori. Il 25 marzo 1986 la Cassazione confermò l’assoluzione.
Il golpe era stato progettato sin dal 1969 da Junio Valerio Borghese sotto la sigla Fronte Nazionale in stretto collegamento con Ordine Nuovo e Avanguardia Nazionale. Il 4 luglio 1970 era stata costituita una “Giunta nazionale”.
Il Fronte Nazionale aveva costituito gruppi clandestini armati e aveva stretto relazioni con settori delle Forze Armate. In accordo con diversi vertici militari e membri dei Ministeri, il piano prevedeva l’intervento di gruppi armati su diversi obiettivi di alta importanza strategica: l’occupazione del Ministero dell’Interno, del Ministero della difesa, delle sedi Rai e dei mezzi di telecomunicazione (radio e telefoni) e la deportazione degli oppositori presenti nel Parlamento.
Tutto questo sarebbe stato accompagnato da un proclama ufficiale alla nazione, che Borghese stesso avrebbe letto dagli studi occupati della Rai e il cui testo fu rinvenuto tra gli effetti personali di Borghese.
Insieme al proclama fu sequestrato tra le carte di Borghese anche il futuro programma di governo in cui vi si confermava una ferma lealtà atlantica e il piano per l’attuazione di un “patto mediterraneo” con Spagna, Portogallo e Grecia (paesi all’epoca governati da regimi autoritari), l’apertura di relazioni diplomatiche con la Rhodesia e il Sudafrica e la richiesta di ingenti prestiti nei confronti del Presidente degli Stati Uniti, per far fronte alla crisi economica nel paese, in cambio dell’invio di truppe italiane nella guerra del Vietnam e nel Sud-Est asiatico.
Il piano cominciò a essere attuato nella notte tra il 7 e l’8 dicembre 1970, con il concentramento a Roma di diverse centinaia di congiurati. Alcuni militanti di Avanguardia Nazionale, comandati da Stefano Delle Chiaie e con la complicità di funzionari, entrarono nel Palazzo del Ministero dell’interno ed ebbe inizio la distribuzione ai cospiratori di armi e munizioni sottratte all’armeria del ministero.
Un secondo gruppo di militanti si riunì in una palestra di via Eleniana, per attendere la consegna delle armi, che avrebbe dovuto avvenire per ordine del tenente dei paracadutisti Sandro Saccucci e a opera del generale Ugo Ricci. Tra le persone radunate, in parte già in armi, vi erano anche ufficiali dei carabinieri. Lo stesso Saccucci diresse personalmente un altro gruppo di congiurati, con il compito di arrestare uomini politici.
Il generale dell’Aeronautica militare italiana Giuseppe Casero e il colonnello Giuseppe Lo Vecchio presero posizione al Ministero della Difesa, mentre un gruppo armato del Corpo Forestale dello Stato, di 187 uomini, guidato dal maggiore Luciano Berti, partito nella notte dalla Scuola Forestale di Cittaducale (Rieti), si appostò sulla Via Olimpica non lontano dalle sedi televisive della Rai.
Licio Gelli, futuro maestro venerabile della loggia massonica P2 avrebbe avuto il ruolo di consegnare la persona del Presidente della Repubblica Giuseppe Saragat in mano al Fronte Nazionale, avvantaggiato in ciò dai rapporti diretti con il gen. Vito Miceli che davano a Gelli libero accesso al Quirinale.
In Lombardia, il maggiore dell’esercito Amos Spiazzi, mosse con il suo reparto verso i sobborghi di Milano, con l’obiettivo di occupare Sesto San Giovanni.
Altre fonti, acquisite dalla Commissione parlamentare, indicherebbero che la mobilitazione ebbe luogo anche a Venezia, davanti al comando della Marina militare, a Verona, in Toscana e Umbria, a Reggio Calabria, ove avrebbe dovuto aver luogo la distribuzione di divise dei Carabinieri.
Il golpe era in fase di avanzata esecuzione quando improvvisamente, quella stessa notte, alle ore 01:49, Borghese stesso ne ordinò l’immediato annullamento, con le medesime modalità dell’ordine, almeno secondo quanto riferito da Spiazzi. Ne sono tuttora ignote le ragioni, perché Borghese rifiutò di spiegarle persino ai suoi più fidati collaboratori. L’effetto pratico più eclatante fu che i circa 200 mitra sottratti dall’armeria del Viminale dovettero essere rimessi al loro posto, tranne uno definitivamente trafugato.
Nella relazione finale, peraltro, si specifica che agli atti della Commissione è presente una dichiarazione secondo cui: «Il contrordine…, sarebbe giunto proprio da Gelli, essendo venuta meno la disponibilità dell’Arma dei carabinieri e non essendo stato assicurato l’appoggio finale degli USA».
Gli italiani vennero a conoscenza della vicenda solo il 17 marzo 1971, dalle pagine dell’edizione pomeridiana del quotidiano Paese Sera che titolò “Piano eversivo contro la repubblica, scoperto piano di estrema destra”.
Il 18 marzo il sostituto procuratore di Roma Claudio Vitalone firmò sei mandati di arresto con l’accusa di usurpazione dei poteri dello stato e cospirazione per il costruttore edile Remo Orlandini, Mario Rosa, Sandro Saccucci, Giuseppe Lo Vecchio, l’affarista Giovanni De Rosa e Junio Valerio Borghese, il quale, come già scritto,si rese irreperibile fuggendo in Spagna.
Nella prima inchiesta giudiziaria del 1971, Miceli Direttore del SID mantenne costantemente un atteggiamento reticente, negando sia la concreta rilevanza dell’azione di Borghese, sia la complicità degli apparati di sicurezza.
La Procura della Repubblica di Roma dispose l’archiviazione dell’indagine del 1971 per mancanza di prove.
Una seconda inchiesta del 1972, condotta da Gian Adelio Maletti e Antonio Labruna, appurò una solida intesa tra Borghese, Miceli e Orlandini.
Tale inchiesta fu recepita in un dossier in cui erano descritti il piano e gli obiettivi del tentato colpo di Stato, portando alla luce nuove informazioni che coinvolgevano anche Licio Gelli e la massoneria.
Il rapporto era pervenuto alla Procura della Repubblica di Roma depurato delle suddette informazioni. Interrogato al riguardo dalla magistratura, Andreotti dichiarò di aver ritenuto di dover tagliare alcune parti del dossier e di non renderle pubbliche, in quanto tali informazioni erano «inessenziali», poiché non c’erano prove certe.
Il 30 dicembre 1974 intervenne la Corte di Cassazione, unificando e trasferendo a Roma le coeve indagini dei giudici di Torino e di Padova concernenti l’organizzazione segreta La Rosa dei Venti. Ne conseguì che l’inchiesta sul gruppo veneto si arenò nel gran calderone del golpe Borghese.
Il 30 maggio 1977 cominciò il processo per il golpe a 48 imputati. Anche Remo Orlandini dichiarò che la notte dell’8 dicembre, dopo l’avvio dell’operazione, ricevette una telefonata da Borghese il quale gli ordinava di rientrare, ma il motivo del contrordine era sconosciuto.
Il 14 luglio 1978 la Corte d’assise di Roma inflisse 46 condanne da due a dieci anni di carcere per costituzione di associazione sovversiva finalizzata alla cospirazione contro i poteri dello Stato, ma assolvendo gli imputati dall’accusa di insurrezione armata. Le condanne più alte furono inflitte al costruttore Orlandini (dieci anni) e al maggiore Mario Rosa (otto). Tra gli altri condannatiː il deputato del Movimento Sociale Italiano ed ex paracadutista Sandro Saccucci (quattro anni) e il colonnello Amos Spiazzi (cinque anni). Ad Orlandini, Rosa, Stefano Delle Chiaie e Spiazzi fu comminata anche la pena accessoria dell’interdizione perpetua dai pubblici uffici; a Sandro Saccucci l’interdizione per cinque anni. L’ex capo del SID generale Vito Miceli fu assolto dall’accusa di favoreggiamento, perché “il fatto non sussiste”.
Subito dopo la sentenza di primo grado il settimanale OP, diretto da Mino Pecorelli diffuse la notizia che solo una parte delle informazioni fosse stata effettivamente posta a disposizione degli inquirenti e che quelle concernenti il coinvolgimento di alti ufficiali delle Forze Armate e dello stesso Servizio di informazione, con riferimenti a Licio Gelli, erano state in realtà in larga parte soppresse. Pecorelli, peraltro, non poté essere chiamato a riferire ai giudici d’appello perché il 20 marzo 1979 fu ucciso a pochi passi dalla redazione del suo giornale, da killer rimasti tuttora ignoti.
Il giudizio d’appello per il fallito golpe si concluse in Corte d’assise, il 27 novembre 1984, con l’assoluzione con la formula “perché il fatto non sussiste” dei 46 imputati già condannati in primo grado dall’accusa di cospirazione politica, indipendentemente dalle ammissioni di taluni di essi.
La Suprema Corte confermò, il 25 marzo 1986, la sentenza di secondo grado, ribadendo l’insussistenza della cospirazione politica e confermando le condanne per i reati minori. Tale provvedimento della Corte di Cassazione, ormai definitivo e irrevocabile, consentì agli imputati assolti o condannati a pene minori di potersi avvalere, anche per il futuro, dell’articolo 649 del codice di procedura penale, il quale stabilisce che nessuno può essere processato più volte «per il medesimo fatto».
La Commissione Anselmi focalizzò in particolare il ruolo ricoperto da Licio Gelli e Vito Miceli, durante e dopo il golpe.
In alcuni interrogatori del 1974 Nicoli e Degli Innocenti avrebbero rivelato la presenza a Roma, nella notte tra il 7 e l’8 dicembre 1970, di alcuni esponenti siciliani di Cosa nostra che avrebbero avuto il compito di uccidere il capo della Polizia Angelo Vicari.
Tommaso Buscetta e Luciano Liggio, pur motivati da intenti diversi, furono i primi a parlare di un coinvolgimento di Cosa Nostra, nella fase preparatoria del tentativo golpistico di Junio Valerio Borghese. Il contatto tra la mafia e Borghese sarebbe avvenuto attraverso esponenti di alcune logge massoniche.
Il coinvolgimento dell’organizzazione mafiosa venne confermato dallo stesso Buscetta e dall’altro collaboratore di giustizia Antonino Calderone, i quali rievocarono la vicenda nel corso del processo Andreotti (1995-1996).
Buscetta e Salvatore Greco (affiliato ad una delle logge palermitane ubicate in via Roma 391), che all’epoca si trovavano negli Stati Uniti, furono informati del progetto di Borghese dai boss Giuseppe Calderone e Giuseppe Di Cristina, ed invitati a tornare rapidamente in Italia per discuterne insieme. Giunti a Catania, parteciparono ad alcune riunioni preliminari alla presenza di Luciano Liggio (all’epoca latitante), Calderone e Di Cristina. Successivamente questi ultimi due s’incontrarono a Roma con Junio Valerio Borghese, al fine di stabilire quella che sarebbe stata la contropartita di Cosa Nostra in cambio del suo intervento in Sicilia a fianco dei golpisti. Borghese promise l’aggiustamento di alcuni processi, in particolare quelli di Liggio, Riina e Natale Rimi.
Altra importante riunione si svolse a Milano, con la partecipazione di esponenti di Cosa Nostra del livello di Stefano Bontate, Badalamenti, Calderone, Di Cristina, Buscetta e Caruso. Nel corso della riunione Cosa Nostra decise l’adesione al progettato colpo di Stato. Buscetta tornò quindi negli Stati Uniti, dove, il 25 agosto 1970, appena giunto, fu arrestato. Nel corso della medesima audizione, Buscetta indicò nel colonnello Russo dei carabinieri il nominativo della persona incaricata di trarre in arresto il prefetto di Palermo. Specificò inoltre che i boss mafiosi non conoscevano personalmente Borghese. Di Cristina e Calderone sarebbero stati infatti contattati da alcuni appartenenti alla massoneria che spiegarono loro cosa Borghese avesse in animo di fare, con la richiesta a Cosa Nostra di una preliminare adesione. Seguì poi un incontro presso la sede di una loggia massonica e si pervenne ad una prima intesa di massima.
Di “certi passaggi del golpe Borghese, (…) in cui sicuramente era coinvolta la mafia siciliana” parlò anche Giovanni Falcone dinanzi alla Commissione antimafia nel 1988.
Anche la ‘Ndrangheta avrebbe avuto un ruolo nel golpe: secondo quanto dichiarato nel 1992 dal collaboratore di giustizia Giacomo Lauro, nell’estate del 1970, avvenne un incontro a Reggio Calabria tra i capi De Stefano Paolo e Giorgio e il principe Borghese attraverso l’avvocato Paolo Romeo (‘ndranghetista ed esponente di Avanguardia Nazionale) per discutere sul colpo di Stato. L’organizzazione criminale avrebbe messo in azione 4.000 uomini per il colpo di Stato.
Alcuni documenti desecretati a partire dagli anni 1990 avrebbero fatto emergere altri elementi integrativi dei fatti. Nel 2004 si è scoperto che il piano di Borghese era noto al governo degli Stati Uniti d’America.
Un rapporto dei servizi segreti italiani, allegato ai lavori della commissione parlamentare d’inchiesta sulla P2, afferma che i golpisti erano in contatto con membri della NATO, tanto che quattro navi NATO erano in allerta a Malta.
Deduzioni
Dinanzi a questi fatti storici e giudiziari, si capisce chiaramente come fosse il clima politico degli anni Sessanta e Settanta. Da un lato l’Italia doveva stare in adesione al Patto Atlantico, con gli Stati Uniti. In Italia era netto il bipolarismo: centro-destra spesso al potere contro la sinistra; gli Stati Uniti difensori dell’ordine costituito. Dall’altra le forme eversive: la destra estrema, con Borghese, contraria al moderatismo della DC al potere e la sinistra marxista.
La Mafia e la loggia massonica, come tentacoli sotterranei contrari alla democrazia, agivano e proliferavano.Le motivazioni della storia più recente vanno sempre trovate nella storia dagli anni Venti in poi, del Novecento.