Penelope

(gr. Πηνελόπεια o Πηνελόπη) Nella mitologia greca, la fedele moglie di Ulisse. Partito Ulisse per la guerra di Troia, Penelope, lasciata a Itaca col figlio Telemaco nato da poco, rimase presto sola padrona dei beni di Ulisse, essendo morta la madre Anticlea, mentre il padre Laerte si ritirava nei campi. Per vent’anni attese il ritorno dello sposo respingendo le domande di matrimonio dei Proci, che s’installarono nella sua casa dilapidandone i beni. Penelope promise allora che si sarebbe sposata quando avesse finito di tessere la veste funebre di Laerte, ma disfaceva di notte il lavoro del giorno, finché non fu tradita da una serva. Al suo ritorno, Ulisse, compiuta la strage dei Proci, le si rivelò e Penelope dopo molte esitazioni lo riconobbe.

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Laerte e Anticlea

Laerte (gr. Λαέρτης) Mitico figlio di Acrisio, discendente da Deucalione, di famiglia originaria di Cefalonia, padre di Ulisse. Secondo una tradizione più recente aveva sposato Anticlea, figlia di Autolico, che si era già unita con Sisifo, per cui Ulisse sarebbe stato in realtà figlio di Sisifo. Durante l’assenza di Ulisse da Itaca, Laerte si ritirò in campagna, con la sola compagnia di una vecchia ancella, il marito di questa, Dolio, e i loro figli. 

La figura compare nell’Odissea di Omero, secondo la quale, Laerte, raggiunto da Ulisse dopo l’uccisione dei Proci, fu ringiovanito da Atena e aiutò il figlio nella lotta contro gli Itacesi ribelli.

Fuseli, Henry; Teiresias Foretells the Future to Odysseus; Amgueddfa Cymru – National Museum Wales; http://www.artuk.org/artworks/teiresias-foretells-the-future-to-odysseus-160183

Anticlea (gr. ᾿Αντίκλεια) Eroina della mitologia greca. Figlia di Autolico, moglie di Laerte, madre di Ctimene e di Ulisse, che secondo una versione postomerica avrebbe concepito da Sisifo. Morì per il dolore della lunga assenza del figlio (o si uccise per la falsa notizia della sua morte). Ulisse poté parlare con lei durante la sua discesa nell’Ade.

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Ulisse

(gr. ᾿Οδυσσεύς, lat. Ulixes) Eroe greco re di Itaca, figlio di Laerte e di Anticlea.

Nell’Iliade è il fedele collaboratore di Agamennone e degli altri eroi, guerriero prode quanto sagace e scaltro

Nell’Odissea, della quale è il protagonista, appare animato da sincera nostalgia della patria e della famiglia, teso a escogitare vie di scampo per sé e per i suoi, protetto e guidato dalla dea Atena nelle sue avventure presso popoli sconosciuti e negli incontri con mostri: i Ciconi, i Lotofagi, il Ciclope Polifemo, Eolo, i Lestrigoni, la maga Circe, i Cimmeri, le ombre dell’Ade, le Sirene, Scilla e Cariddi, Calipso, i Feaci. Tornato a Itaca, con l’aiuto del figlio Telemaco uccide i Proci, pretendenti della fedele moglie Penelope e, paternamente amorevole con i servi fedeli, punisce severamente gl’infedeli. 

I poemi ciclici arricchirono di nuovi episodi la partecipazione dell’eroe alla guerra troiana: la contesa con Palamede, quella con Aiace per le armi di Achille, la parte avuta nel ricondurre Filottete da Lemno nel campo greco, la cattura di Eleno, il rapimento del Palladio, l’impresa del cavallo troiano. Così avvenne che si accentuò il motivo della sagacia di Ulisse, fino a farla diventare astuzia e fraudolenza. In Pindaro, in Sofocle, in Euripide si nota talvolta una certa avversione per Ulisse; i filosofi invece, specialmente gli stoici, lo considerarono come il tipo del saggio, i politici (Polibio) come quello del capo e dell’uomo di azione.

Presso i Romani i poeti peggiorarono la figura morale di Ulisse in contrapposizione a quella del troiano Enea.

Certo Ulisse fu sempre popolare e la sua leggenda si arricchì con il racconto di nuove peregrinazioni; alcune di queste trassero origine dalla predizione di Tiresia che nell’Odissea impose a Ulisse di placare Posidone sacrificandogli là dove fossero ignoti il mare e i remi.

Così Ulisse fu nell’Arcadia e nella Tesprozia, poi nell’Occidente, nella penisola italiana: secondo Aristotele e Teopompo in Etruria a Cortona; secondo la Teogonia esiodea figlio di Ulisse e di Circe è Latino, e gli eroi eponimi di alcune città laziali sono discendenti da Ulisse. Telegono, figlio di Ulisse e di Circe, avrebbe fondato Preneste e Tuscolo; da Telemaco, sposo secondo una tarda tradizione della madre Penelope, sarebbe nato Italo, eponimo d’Italia. Più tardi si attribuì a Ulisse la fondazione di Lisbona (᾿Ολυσιπών) e si narrò di suoi viaggi tra gli Elusati della Gallia, nella Caledonia e nella Germania, dove avrebbe fondato Asciburgio. 

Il nome ᾿Οδυσσεύς, che in Corinto, Atene e Beozia si presenta nella forma ᾿Ολυσσεύς (cfr. il lat. Ulixes), appare già nei testi micenei. Il carattere delle avventure di Ulisse dopo la distruzione di Troia è tale da far ritenere che esse non siano un arricchimento posteriore della leggenda come avvenne per altri nòstoi di eroi achei, ma il nucleo fondamentale del suo mito e che la loro popolarità abbia fatto inserire Ulisse tra gli eroi della guerra troiana. La doppia forma del nome sembra indicare che le popolazioni della Grecia centrale lo conobbero indipendentemente dai carmi epici sorti intorno a lui nell’Asia Minore, e Ulisse sarebbe quindi una figura mitica anteriore alla colonizzazione greca oltre l’Egeo.

IL PERSONAGGIO NELLA LETTERATURA MODERNA E NELLA MUSICA

Il mito di Ulisse è presente in tutta la letteratura moderna, dal celebre episodio dell’Inf.XXVI, alla Circe di G.B. Gelli, dalla Circe di Lope de Vega a El mayor encantoAmor di Calderón de la Barca, alla Ulissea di G. Pereira de Castro, dall’Ulysse di F. Ponsard all’Arco di Ulisse di G. Hauptmann. 

Tra le varie opere musicali: Il ritorno di Ulisse in patria di C. Monteverdi, il poema sinfonico Il ritorno di Odisseo di R. ZandonaiI.

ICONOGRAFIA

L’arte antica raffigurò spesso gli episodi salienti del mito. Sui vasi attici del sec. 5° a.C. sono raffigurati l’incontro con Nausicaa, il riconoscimento della nutrice, l’uccisione dei Proci, la disputa per le armi di Achille; su un vaso italiota compare la discesa all’Ade; sui vasi del sec. 4° l’incontro con le Sirene, il ratto del Palladio, e abbiamo anche parodie dell’episodio di Circe su vasi cabirici del sec. 5° e della Dolonia su un vaso italiota. 

Perdute sono le pitture greche classiche, ma possediamo un ciclo di stile ellenistico dell’Esquilino (Musei Vaticani) di età augustea con vari episodi dell’Odissea. Alcune scene compaiono in fregi e rilievi classici, su urnette e pitture etrusche e sarcofagi romani e monumenti minori. 

Celebri le due tele di C. Lorrain (al Louvre e all’Ermitage), quella di P. Rubens (Firenze, Galleria Palatina), e quella di G. Reni (Napoli, Museo nazionale di Capodimonte).

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Itaca

Itaca (Ιθάκη, Ithaki in greco) è un’isola greca del mar Ionio appartenente all’arcipelago delle isole Ionie. È universalmente nota per essere stata patria dell’eroe leggendario Ulisse, re dell’isola, le cui gesta sono descritte nel poema epico di Omero Odissea.

L’isola fu abitata già dal XXI secolo a.C. ed ebbe particolare rilevanza durante il periodo miceneo. Durante la guerra di Troia fu il regno dei leggendari re Laerte ed Ulisse. I Romani occuparono l’isola nel II secolo a.C., ed in seguito essa divenne parte dell’Impero bizantino. I Normanni di Sicilia regnarono su Itaca nel XII e XIII secolo, e dopo un breve periodo di dominazione turca cadde nelle mani dei Veneziani.

In seguito Itaca fu occupata dalla Francia alla fine del XVIII secolo e nel 1809 fu conquistata dal Regno Unito. Tra 1800 e 1807 fece parte della Repubblica delle Sette Isole Unite, sotto protettorato russo-ottomano ma a guida veneto-greca. Fu questa la prima esperienza di autogoverno greco, in cui ebbero un ruolo principale i greco-veneti, tra i quali Giovanni Capodistria.

Nel 1864 è entrata a far parte della Grecia. Un terremoto nel 1953 ha procurato gravi danni in tutta l’isola, ma la ricostruzione è stata abbastanza fedele alla tipologia dell’edilizia tradizionale.

Itaca è universalmente nota per essere stata, secondo la leggenda, la patria dell’eroe leggendario Ulisse (Odisseo) e per esservi ambientata parte dell’Odissea, il celeberrimo poema di Omero. Secondo alcuni studiosi Itaca potrebbe essere la patria di Omero stesso. Tuttavia, fin dall’antichità si è notata incoerenza tra la descrizione dell’isola nel poema e l’Itaca visibile.

In particolare, tre aspetti della descrizione rappresentano le più grandi incongruenze. In primo luogo, l’antica Itaca è descritta come un’isola piana («χθαμαλὴ»), invece l’odierna è un’isola montuosa.

Poi è descritta come «la più inoltrata nel mare, diretta verso il tramonto» («πανυπερτάτη εἰν ἁλὶ… πρὸς ζόφον»), e da ciò si dovrebbe supporre che si trovi all’estremità occidentale del proprio arcipelago, invece nell’arcipelago dell’odierna Itaca è Cefalonia l’isola più occidentale.

Infine, non è chiaro a quali isole moderne (presumibilmente nel medesimo arcipelago) dovrebbero corrispondere quelle che Omero chiama Dulichio e Samo.

Lo storiografo greco Strabone, del primo secolo d.C., nella sua Geografia, fu il primo a identificare l’isola di Odisseo con la moderna Itaca. Basandosi sui primi commentatori dell’Odissea, tradusse la parola χθαμαλὴ non come “priva di rilievi” bensì come “vicina alla terraferma”. Identificò l’omerica Samo con la moderna Cefalonia, e ritenne che Dulichio fosse un’isola delle odierne Echinadi. Inoltre, la moderna Itaca si trova più a nord di Cefalonia, di Zacinto e di quella che lui presupponeva essere Dulichio, e pertanto ritenne che l’omerico «la più inoltrata nel mare, diretta verso il tramonto» andasse in realtà tradotto come «diretta verso il nord».

La teoria di Strabone non raccolse però il consenso di tutta la comunità letteraria. In età moderna alcuni studiosi hanno obiettato che l’Itaca di Omero potrebbe invece essere un’isola oggi nota con altro nome.

La teoria più conosciuta in proposito è quella di Wilhelm Dörpfeld, secondo cui l’Itaca omerica sarebbe da individuare nella vicina isola di Leucade.

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Trama dell’Odissea

L’Odissea, come l’Iliade, è un poema epico attribuito a Omero.

L’Odissea narra il lungo viaggio (il nostos) compiuto da Odisseo (Ulisse per i Latini) per ritornare in patria, a Itaca, dopo l’espugnazione della città di Troia. L’opera presenta anche le vicende successive alla morte di Ettore, con cui l’Iliade si concludeva, come la conquista della città di Troia, avvenuta attraverso l’inganno del cavallo escogitato dal nostro protagonista. Il poema è costituito, come l’Iliade, da 24 libri in esametri, raccolti in tre grandi nuclei tematici:

  • la Telemachia (libri I-IV): i primi quattro canti dell’Odissea sono dedicati al figlio di Ulisse, Telemaco.
  • I viaggi di Odisseo (libri V -XII): narrano il naufragio di Ulisse a seguito della furia di Poseidone presso i Feaci, nell’isola di Scheria, e la sua permanenza sull’isola. Segue la narrazione di alcune sue imprese.
  • Il ritorno e la vendetta di Odisseo (libri XIII – XXIV): qui vengono trattati il ritorno ad Itaca di Ulisse e la sua vendetta contro i Proci.

Contenuto dell’opera

Proemio

Come l’Iliade, anche l’Odissea si apre con un proemio costituito dall’invocazione della musa ispiratrice e dalla protasi, in cui si sintetizza il contenuto dell’intera vicenda. In particolare viene descritto Ulisse, mettendo in evidenza le divergenze con Achille, protagonista dell’Iliade: egli è una persona che soffre per la lontanza da casa, è intelligente, astuto, pronto a sfruttare ogni situazione ed insaziabilmente curioso. Non a caso, il primo aggettivo che lo caratterizza è polytropon, cioè “multiforme, polimorfo” e “trascinato dal fato, dal destino”. Al termine viene anche citato un fatto narrato nel XII libro dell’Odissea, il cosiddetto Episodio di Iperione, in cui i compagni di Ulisse uccidono e si cibano delle vacche sacre del Dio Sole, il quale, sentendosi oltraggiato, li punisce con la morte.

Telemachia (libri I-IV)

Sono trascorsi dieci anni dalla fine della guerra di Troia, per la quale Ulisse era partito da Itaca quando il figlio era ancora un bambino. Ora Telemaco ha circa vent’anni e vive con la madre Penelope e con i proci, ovvero 119 nobili di Itaca che pretendono in sposa la presunta vedova, per ottenere la corona. La donna, sperando nel ritorno del marito, promette a costoro che sceglierà un nuovo re solo se  riuscirà a concludere un sudario per il suocero Laerte, prima che giunga Ulisse. Per evitare le nozze tuttavia, Penelope disfa durante la notte la tela tessuta di giorno. Nel frattempo un concilio degli dei si riunsice per decidere il destino di Odisseo trattenuto ormai da otto anni dalla ninfa Calipso sull’isola di Ogigia. Non appena Poseidone, che odia Ulisse, si allontana per partecipare ad un banchetto, gli dei decidono di concedere a Ulisse il ritorno a Itaca. Ermes si recherà allora presso Calipso per convincerla a lasciare andare il nostro protagonista, mentre la dea Atena, assunte le sembianze del re Mentes, si reca da Telemaco, per indurlo a partire alla ricerca del padre.

Intanto Femio, cantore della reggia di Ulisse, recita un poema, intolatato Il ritorno da Troia, che turba Penelope, rammemorandole il marito. Inizia così il racconto del viaggio di Telemaco che si reca, all’insaputa della madre, dapprima presso uno dei più venerabili eroe greci reduci da Troia, Nestore, e poi, accompagnato da Pisistrato, figlio di Nestore, da Menelao, a Sparta. Quest’ultimo gli rivela che in Egitto ha saputo dal dio del mare Proteo che Odisseo è appunto prigioniero della ninfa ad Ogigia. Telemaco scopre anche della morte di Agamennone, assassinato dalla moglie Clittemnestra e dall’amante Egisto. Intanto a Itaca, sotto la guida di Antinoo, i proci si stabiliscono definitivamente nel palazzo di Penelope e, venuti a conoscenza della spedizione del figlio Telemaco, organizzano un agguato per sbarazzarsi di un fastidioso erede. Penelope, non appena viene avvisata si rivolge ad Atena e ne invoca l’aiuto: questa le apparirà in sogno, rassicurandola sulle sorti del figlio.

I viaggi di Odisseo (libri V-XII)

Calipso, dopo aver ricevuto da Ermes l’ordine di lasciare partire Ulisse, promette all’eroe greco il dono dell’immortalità, che Odisseo rifiuta per la nostalgia che prova nei confronti della patria e della amata moglie. La ninfa così, seppur a malincuore, aiuta l’eroe nella costruzione di una zattera per aiutarlo ripartire. Dopo alcuni giorni di tranquilla navigazione, Ulisse è vittima di una violenta tempesta scatenata da Poseidone. Dopo due giorni e due notti, l’eroe, attraverso l’aiuto della dea Atena, riesce ad approdare sulla spiaggia dell’isola di Scheria, dove stremato, si addormenta. Atena appare in sogno a Nausicaa, figlia di Alcinoo, re dell’isola, e le consiglia di recarsi al fiume per lavare il corredo nuziale. Nausicaa, il mattino seguente, si reca al fiume dove gioca a palla con le ancelle, fino a svegliare Ulisse, che le chiede informazioni sul luogo in cui si trova. Spaventate, le serve si danno alla fuga: solo Nausicaa ascolta l’eroe e gli offre il suo aiuto, esortandolo a chiedere l’ospitalità ai genitori.

Il giorno seguente è organizzato un banchetto in suo onore, e Demodoco, un cantore, racconta gli episodi riguardanti la caduta di Troia e dell’inganno del cavallo: Ulisse, nel sentire la storia della guerra, piange e Alcinoo lo invita a rivelare la sua identità. Odisseo rivela il suo nome e inizia a narrare il ritorno a partire dal termine della guerra. Incomincia qui il lungo flashback attraverso il quale si ripercorrono le vicende dell’eroe greco. Dopo la guerra, Ulisse sbarca nella terra dei Ciconi e saccheggia la città di Ismara, nella regione della Tracia. Costretto alla fuga (nella quale egli perde alcuni uomini), Ulisse approda all’isola dei Lotofagi, i “mangiatori di loto”, un fiore che fa dimenticare il passato, e poi alla terra dei Ciclopi, dei mostruosi giganti pastori con un solo occhio. Qui l’eroe greco e i suoi compagni sono catturati da Polifemo, e Ulisse si salva ricorrendo alla sua proverbiale astuzia: dopo aver detto al mostro di chiamarsi “Nessuno”, Odisseo fa ubriacare il ciclope e poi lo acceca con un palo rovente. Quando Polifemo urla che “Nessuno lo ha accecato”, gli altri ciclopi credono semplicemente ch’egli abbia esagerato con il vino. Ulisse e i compagni, nascosti sotto alcune pecore, sfuggono poi al mostro che controlla i suoi animali tastandoli con le gigantesche mani.

Ulisse si dirige poi da Eolo, dio dei venti, il quale dona loro un otre, racchiudente i venti contrari alla navigazione. Sfortunatamente, però, proprio nel momento in cui già appare all’orizzonte l’amata Itaca, i compagni, credendo che l’otre celi un tesoro, lo aprono, liberando i venti sfavorevoli che rispingono le navi di Ulisse in alto mare. Ulisse si reca nuovamente da Eolo per scusarsi e per implorare invano un’altra occasione. L’eroe approda poi nella terra dei Lestrigoni, dei giganti cannibali che fanno strage dell’equipaggio di Ulisse, che fugge con l’unica nave superstite verso l’isola di Eea. Qui la seducente maga Circe, invaghita del protagonista, trasforma il resto della truppa in maiali: Odisseo spezzerà l’incantesimo solo grazie ad un’erba magica donatagli da Ermes. Dopo un soggiorno di quasi un anno presso la maga, quest’ultima lo invia nel paese dei Cimmeri, da cui Ulisse potrà scendere nell’Ade. Qui egli incontra molti eroi greci, tra cui Agamennone, Achille ed Eracle e soprattutto l’indovino Tiresia, che gli predice la lotta contro i Proci, lo invita a prestare attenzione alle vacche del dio Iperione e gli annuncia una misteriosa morte lontano dalla patria.

Ulisse torna da Circe e, seguendo i suoi consigli, riparte per mare. Incrociando le Sirene, egli tura le orecchie dei compagni con della cera e si lega all’albero della nave, per ascoltare il canto delle creature mitologiche senza cedervi (e quindi naufragare). Ulisse supera poi i mostri Scilla e Cariddi, posti all’altezza dello stretto di Messina, e approda in Trinacria, l’attuale Sicilia. Qui i compagni, stremati dal lungo viaggio e dalla fame, si cibano delle vacche del dio Sole  provocando l’ira del dio, che si vendica con una tempesta non appena essi riprendono il mare. Unico superstite, Odisseo giunge all’isola di Calipso, dove rimane per otto anni.

Termina qui il racconto di Ulisse ai Feaci, che, commossi, lo riportano a Itaca.

Il ritorno e la vendetta (libri XIII-XXIV)

Giunto alla spiaggia di Itaca, Ulisse, viene trasformato in un vecchio mendicante. In seguito Atena si reca a Sparta da Telemaco, per esortarlo a fare ritorno a casa, mentre Ulisse chiede ospitalità a Eumeo, un umile porcaro rimastogli fedele dopo tanti anni, venendo così a sapere della tirannia imposta dai proci alla moglie Penelope. Raggiunto dal figlio, cui svela la propria identità, Ulisse organizza il piano per attuare la vendetta.

Odisseo, sempre con le sembianze di un misero mendicante, si reca alla reggia reale, dove ha modo di osservare la volgarità dei proci. Riconosciuto solo dal fedelissimo cane Argo, che muore subito dopo averlo rivisto, Ulisse ha un colloquio con la moglie, che non sa di trovarsi di fronte al marito. Ulisse, mantenendo l’incognito, le annuncia il suo futuro ritorno. In mezzo alle continue prepotenze dei proci, anche nei confronti dello stesso Ulisse (riconosciuto, per via di una cicatrice, dalla vecchia nutrice Euriclea, cui però l’eroe greco impone il silenzio), Penelope indice una gara con l’arco di Ulisse per scegliere un nuovo re. La donna sposerà chi saprà tendere l’arco e scoccare una freccia attraverso l’anello di dodici scuri. Mentre i proci falliscono miseramente, Ulisse supera facilmente la prova e, con l’aiuto di Telemaco, stermina gli avversari. Penelope pone al marito un’ultima prova: descrivere con tutti i dettagli il loro letto nuziale. Ulisse si reca poi dal padre Laerte, cui descrive con precisione un frutteto donatogli dal genitore. Placata con l’aiuto di Atena un’ultima rivolta interna, Ulisse, tornato re di Itaca, stila patti di pace e tranquilla convivenza.

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L’Odissea

L’Odissea (circa dodicimila versi) è il poema del ritorno a casa di Odisseo (Ulisse), l’ultimo degli eroi di Troia a riguadagnare la patria, il protagonista del ritorno più lungo e avventuroso, ma anche più ricco di fama. Qui Odisseo è l’incontrastato protagonista, benché non manchino altri personaggi importanti: alcuni direttamente ereditati dall’Iliade, come Nestore, Menelao e gli altri reduci incontrati nel regno dei morti, fra cui Achille; poi Circe e Nausicaa, Polifemo e Alcinoo, Telemaco e Penelope, le creature fantastiche incontrate nei viaggi e le figure della reggia di Itaca, come i pretendenti di Penelope e la vecchia nutrice Euriclea, gli aedi Femio e Demodoco.

Caratterizzante per la struttura del poema è l’inizio in medias res.

La guerra è finita da dieci anni, gli altri eroi greci sono già tutti felicemente tornati alle loro case oppure infaustamente periti nel ritorno o al ritorno, mentre il solo Odisseo è trattenuto lontano a causa dell’ostilità di Posidone, adirato con lui per la vicenda di Polifemo (il Ciclope, figlio del dio del mare, che l’eroe ha accecato).

Da otto anni ormai egli è costretto a rimanere nell’isola della ninfa Calipso, dove è pervenuto dopo le avventure che egli stesso racconta nei canti IX-XII, occorsegli dopo la partenza da Troia. Si tratta di un vero e proprio flashback, ottenuto con la tecnica del racconto nel racconto, esposto ‘in io’ dal protagonista stesso, che spezza la linearità del tempo narrativo e mostra una capacità di strutturare la narrazione certamente evoluta rispetto al più semplice sviluppo dell’Iliade: una delle ragioni, insieme alla materia avventurosa e al tema del viaggio e del ritorno, per cui l’Odissea è vista come testo-forma archetipale del romanzo.

Il tema conduttore del ritorno in patria di Odisseo con la riconquista del trono, della famiglia e dei beni attraverso l’uccisione dei pretendenti, si arricchisce facilmente di numerose avventure piene di motivi fiabeschi e folklorici sostenuti dalla struttura del viaggio.

Chi ha concepito l’Odissea, ha scelto la figura di un autorevole reduce e ha inglobato nel suo viaggio una serie di episodi e di contenuti tali da farne il più lungo, grandioso ed emblematico dei ritorni.

L’abile innesto del racconto nel racconto fornisce all’insieme una solidità strutturale incontrovertibile proprio in quanto meno semplice del modello iliadico.

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La ‘storia sacra’ degli dèi e degli eroi

Nei poemi omerici si trovano riferimenti a episodi anteriori all’insediarsi definitivo del potere degli dèi olimpi e al costituirsi stabile dell’assetto del pantheon greco, con Zeus al potere e le varie sfere di influenza distribuite fra le divinità maggiori.

Tracce della più antica ‘storia sacra’ dei Greci, il poderoso intreccio delle ramificate vicende del mito e delle sue varianti: antiche lotte fra gli dèi, collocate in un’epoca in cui evidentemente il potere di Zeus e delle divinità olimpie non era ancora così ben insediato e strutturato, come appare nella letteratura arcaica. Anche la parte primordiale del mito, dalle origini del mondo (cosmogonia) fino al suo assetto ‘attuale’, doveva dunque essere nota all’Iliade e all’Odissea, almeno per quelle linee essenziali che ne facevano la ‘storia antica’ della religione dei poemi.

Molte grandiose saghe (come quelle di Eracle, degli Atridi, di Edipo, la stessa vicenda di Troia di cui fa parte il contenuto dei poemi) erano note all’epica arcaica, entro il cui alveo sono nate l’Iliade e l’Odissea.

Queste lunghe e complicate vicende mitiche si ritrovano in molti testi posteriori, con varianti più o meno importanti, e furono anche oggetto di raccolte mitografiche manualistiche ed erudite: ma la sistemazione delle loro linee essenziali è precedente alla più antica poesia conservata.
La ‘storia sacra’ cominciava dalle origini del mondo. Sono vicende di cui si colgono bene i caratteri primordiali.

All’inizio era Chaos, da cui nacquero Gaia (Terra), Tartaro (gli abissi della terra), Eros (che unisce gli esseri), Notte. Gaia generò per primo Urano (Cielo) stellato, che l’avvolse interamente tutto intorno: da questa sorta di copula cosmica di cielo e terra (Urano-Gaia) furono generati vari esseri divini, come Oceano, Mnemosine e numerosi altri, ultimo dei quali fu Crono.

Gaia però era infelice a causa di tale eccessiva fecondità e chiese ai figli di liberarla dal peso: solo Crono accettò il compito e riuscì a tagliare i genitali del padre, rendendolo inoffensivo. Al potere di Urano sull’universo succedette così quello di suo figlio, in seguito sconfitto a sua volta dal figlio Zeus, che instaurò nell’universo il potere degli Olimpi. Tre generazioni divine conducevano all’assetto religioso e al pantheon usuale per i Greci di età storica: ne conseguivano le svariate avventure degli eroi, esseri semidivini figli di un dio e una donna mortale o di una dea e un uomo mortale.
Nell’insieme del mito sono infiniti i collegamenti e i legami che ne evidenziano il carattere di ‘epopea’ del popolo e della cultura greca. Tuttavia i Greci non avevano un testo rivelato e canonico: non avevano dunque una ortodossia teologica e e religiosa, intorno alla quale dividersi e scagliarsi anatemi. È un concetto essenziale, che spiega bene l’assenza dell’idea di una «eresia» religiosa nel senso per noi abituale e la libertà con cui poeti, scrittori e pensatori utilizzavano il mito, modificandolo per i loro scopi artistici o argomentativi: talvolta la variazione di un singolo elemento assume un significato di basilare importanza per i fini estetici o ideologici dell’autore.

Il primo efficace intervento sul mito lo operò proprio il poeta che ‘inventò’ l’Iliade, ossia Omero, qualunque cosa questo voglia dire. Da un insieme poderoso di storie o, se vogliamo, anche soltanto dal lungo svilupparsi della saga di Troia (dal giudizio di Paride fino ai ritorni dei reduci), egli scelse di raccontare un segmento molto piccolo, un episodio della durata di una cinquantina di giorni alla fine del nono anno di assedio.
Dopo di lui, un altro geniale poeta o lui stesso, non sappiamo esattamente, ne raccolse l’esempio, isolando ed esaltando uno dei ritorni degli eroi di Troia: ne fece una peregrinazione decennale, piena di avventure e di significati, e ne risultò l’Odissea. Ma costruì un modello narrativo meno lineare, iniziando relativamente vicino al ritorno in patria del protagonista e facendo raccontare a lui stesso le vicende precedenti, con un flashback fatto di un racconto ‘in io’ all’interno del racconto in terza persona.

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La trama dell’Iliade

Ilìade (gr. ‘Ιλιάς) Titolo con cui è indicato, già in Erodoto (II, 116), uno dei due grandi poemi (Iliade e Odissea) attribuiti dalla tradizione ad Omero (in origine ἰλιάς è aggettivo e significa “d’Ilo, di Troia”, sicché doveva sottintendersi un sostantivo: ἡ ἰλιὰς ποίησις o sim.). L’Iliade ci è giunta in codici risalenti all’attività critica dei filologi alessandrini: sono 15.696 esametri, divisi – da Zenodoto – in 24 libri, contraddistinti con le 24 lettere maiuscole dell’alfabeto greco (le minuscole indicano invece i libri dell’Odissea; sicché ancora adesso, nell’uso filologico: B 150 = Iliade, II 150; β 150 = Odissea, II 150); ognuno dei libri è preceduto da uno o più titoletti (rapidissimi sommari del contenuto), alcuni dei quali sembrano attestare una articolazione in vari episodi precedente alla divisione in libri degli alessandrini, naturalmente imposta dalle necessità della recitazione rapsodica, forse in relazione col modo stesso di formarsi dei poemi omerici. 

LA TRAMA

Il poema narra un breve episodio della guerra decennale che una coalizione di principi greci, sotto la guida d’Agamennone, avrebbe condotto contro la città di Troia per vendicare l’offesa fatta da Paride, figlio del re troiano Priamo, a Menelao col rapimento della moglie Elena. Tale guerra, secondo le ricerche archeologiche condotte nella Troade da H. Schliemann e W. Dörpfeld, avrebbe un fondamento storico nella distruzione della città, e precisamente del VI dei nove strati messi in luce dagli scavi (del VIIa, secondo W. Blegen), avvenuta circa il 1200 a. C. 

L’azione si svolge in una cinquantina di giorni: Apollo, adirato contro Agamennone che ha negato al suo sacerdote Crise il riscatto della figlia Criseide, sua schiava, fa scoppiare una pestilenza nel campo greco; in una tempestosa assemblea Achille propone che Criseide sia resa al padre; Agamennone lo minaccia di rivalersi su di lui, portandogli via la schiava Briseide, e così fa infatti, mentre Achille si ritira dal combattimento. La madre di lui, Tetide, ottiene da Zeus la promessa di fare in modo che i Greci debbano dolersi della sua assenza (I).

Il giorno seguente Agamennone schiera l’esercito e, per metterlo alla prova, propone il ritorno in patria: i Greci aderiscono con troppo entusiasmo alla proposta e corrono verso le navi, a stento trattenuti da Ulisse, che batte il più riottoso di tutti, Tersite; rassegna dell’esercito, Catalogo delle navi (II).

Greci e Troiani decidono di dirimere la contesa con un duello tra Paride e Menelao; durante la tregua Elena, dall’alto delle mura, mostra ai vecchi troiani i vari eroi greci (teicoscopia); nel duello Paride sta per soccombere, ma Afrodite lo sottrae miracolosamente al combattimento (III).

La tregua, per volere di Atena, è rotta da Pandaro, che ferisce Menelao con una freccia; si riaccende la battaglia (IV),

nella quale Diomede dà prova del suo valore (Aristìa di Diomede V).

Ettore si reca in città per esortare la madre Ecuba a far voti e preghiere ad Atena; s’incontra con la moglie Andromaca (VI).

Tornato nel campo, rincuora i Troiani e si batte con Aiace Telamonio; il duello resta indeciso; tregua per il seppellimento dei morti (VII).

Gli dei, per volere di Zeus, si astengono dalla battaglia, che volge a favore dei Troiani (La battaglia interrotta VIII).

Un’ambasceria di Ulisse, Aiace, Fenice, cerca invano di placare l’ira di Achille (IX).

Durante la notte Ulisse e Diomede escono dal campo greco, s’incontrano col troiano Dolone, uscito anch’esso a esplorare, e da lui hanno notizie intorno alla disposizione del campo troiano; uccidono Dolone; uccidono Reso re dei Traci e ne rapiscono i cavalli (Dolonìa X).

La guerra procede con alterne vicende, ma in complesso è favorevole ai Troiani che respingono i Greci fin sotto le navi e sono sul punto di incendiarle (XI-XV).

Patroclo chiede e ottiene da Achille di vestirsi delle sue armi e, con esse entrato nel combattimento, restaura le sorti dei Greci, finché è ucciso da Ettore (Patroclìa XVI);

intorno al cadavere si accende la mischia; Menelao e Aiace riescono a sottrarlo ai Troiani, ma le armi restano a Ettore (XVII).

Achille decide di riprendere la lotta per vendicare l’amico Patroclo; per invito di Tetide, Efesto gli fabbrica nuove armi (XVIII).

Achille si riconcilia con Agamennone; rientra nella battaglia (XIX),

a cui partecipano ormai tutti gli dei (Teomachia XX);

lotta col fiume Xanto (XXI);

s’incontra con Ettore e l’uccide (XXII);

celebra riti funebri in onore di Patroclo (XXIII);

per dodici giorni strazia e tiene insepolto il cadavere di Ettore finché, per volere di Zeus, lo restituisce a Priamo, venuto segretamente nella sua tenda con l’aiuto di Ermete; il poema termina con la descrizione dei funerali e del compianto di Ettore (Riscatto di Ettore XXIV). 

L’azione del poema, quale appare al lettore che a esso si accosti prescindendo dalla pur legittima istanza della cosiddetta “questione omerica”, è tutta imperniata nella tragica figura di Achille, l’eroe dall’impeto strenuo e dal doloroso destino, e segue la parabola della sua μῆνις: l'”ira”, che scoppia stizzosa nella contesa con Agamennone, si rinnova e si nobilita nel desiderio di vendicare Patroclo, giunge a un parossismo disumano nello scempio del cadavere di Ettore, cede o si annulla di fronte alle preghiere di Priamo, per la consapevolezza di un destino ineluttabile che accomuna nel dolore vincitore e vinti.

Per contro, la critica antiunitaria ha creduto di poter distinguere nella compagine del poema diverse individualità poetiche: un poeta dell'”ira”, il più antico; uno, più recente, del Riscatto di Ettore, uno dell’Aristìa di Diomede, uno della Dolonìa ecc.; infine, per conciliare in qualche modo il punto di vista antiunitario con quello unitario, un poeta a cui si dovrebbe la riunione delle singole parti in un’unica architettura. A tale poeta si attribuisce da taluni il libro VIII (La battaglia interrotta) che, pur essendo essenziale all’architettura del poema, appare spesso come un centone di passi, tolti ad altre parti di esso. Comunque si voglia risolvere la questione omerica, la costituzione dell’Iliade in una forma pressappoco identica a quella in cui ci è pervenuta, deve porsi circa il sec. 8° a. C. 

LE TRADUZIONI

Il poema omerico fu tradotto più volte in latino sia nell’epoca repubblicana (da Gneo Mazio e da Ninnio Crasso) sia nell’età imperiale (da Azio Labeone, da Polibio liberto di Claudio e dall’ignoto autore – da qualcuno identificato con Silio Italico – della cosiddetta Iliade latina o Omero latino, che è però un compendio). All’Omero latino, alle narrazioni prosastiche di Ditti e Darete, alle testimonianze indirette di scrittori latini si ridusse la conoscenza del poema durante il Medioevo. Prima traduzione in prosa latina dell’intero poema (e dell’Odissea) fu quella, assai rozza, che Leonzio Pilato fece per volontà di G. Boccaccio e di F. Petrarca (intorno al 1360); altre versioni si ebbero, durante l’Umanesimo, in prosa e in versi latini: fra le altre quelle, parziali, di L. Bruni, di L. Valla, di A. Poliziano. Della fine del Cinquecento è la traduzione spagnola di C. de Mesa. Del sec. 18° le traduzioni in italiano di A. M. Salvini (integrale), di S. Maffei (parziale), e la libera versione di M. Cesarotti (1786). Più famosa di tutte quella, in endecasillabi sciolti, di V. Monti (1810); e ben nota anche la traduzione che di due frammenti fece U. Foscolo (1807, 1821). Fra le traduzioni inglesi sono da ricordare quella di G. Chapman (1609) e soprattutto quella di A. Pope (1715-20); fra le tedesche quelle di L. Stolberg, di J. Bodmer e H. Voss (scorcio del 18° sec. – principio del 19°); tra le francesi quella di Leconte de Lisle (1850). Infine, tra le versioni italiane recenti, ricorderemo quelle di E. Romagnoli, di N. Festa (in prosa), di R. Calzecchi Onesti e di G. Tonna (in prosa).

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Gli dèi nell’Iliade

  • Zeus: figlio di Crono e Rea, è il re degli dèi e signore dell’Olimpo. Non si schieraapertamente né dalla parte degli achei né da quella dei troiani.

A  FAVORE DEGLI ACHEI

  • Era: moglie di Zeus e regina degli dèi, parteggia per i greci perché il troiano Paride non le ha assegnato il titolo di più bella tra le dee.
  • Atena: figlia di Zeus, è la dea della guerra e della sapienza; anch’essa combatte contro itroiani per vendicarsi del giudizio di Paride.
  • Teti: ninfa marina, figlia di Nereo e sposa del mortale Peleo, è la madre di Achille.
  • Efesto: figlio di Era, è il dio del fuoco e il fabbro degli dèi; costruirà per Achille una nuova e splendida armatura.
  • Poseidone: fratello di Zeus, è il re del mare. È nemico dei troiani perché dopo la costruzione delle mura di Troia non ha ricevuto il compenso pattuito.

A FAVORE DEI TROIANI

  • Apollo: figlio di Zeus e di Latona, è il dio della luce, della musica e delle Muse. È schierato contro i Greci, nel cui campo scatena una terribile pestilenza.
  • Afrodite: figlia di Zeus, è la dea dell’amore e della bellezza; è schierata dalla parte dei troiani in seguito al giudizio di Paride. È anche la madre di Enea, l’eroe troiano da cui, secondo laleggenda, discenderanno i fondatori della stirpe romana.
  • Ares: figlio di Zeus e di Era, è il dio della guerra. Nonostante sia una divinità, viene ferito da Diomede, uno dei guerrieri greci.
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I personaggi dell’Iliade

TRA GLI ACHEI (GRECI)

Achille: figlio della divinità marina Teti e del re Peleo, è il guerriero più forte e valoroso.

Secondo una leggenda, appena nato fu immerso dalla madre nelle acque dello Stige, in quanto questo fiume aveva la proprietà di rendere invulnerabile chiunque vi si bagnasse; solo il tallone per il quale Teti lo reggeva rimase asciutto, e questo, quindi, fu il suo unico punto debole.

Agamennone: re di Argo e di Micene, è il supremo comandante degli eserciti achei che combattono contro i troiani. È un personaggio duro e arrogante.

Menelao: re di Sparta e fratello di Agamennone, è il marito tradito della bella Elena, fuggita con il principe troiano Paride.

Odisseo (Ulisse): re di Itaca, oltre a essere un guerriero forte e valoroso, è famoso per la sua astuzia. Le sue avventure sono narrate nell’Odissea.

Patroclo: il più caro amico di Achille, verrà ucciso in duello da Ettore.

TRA I TROIANI

Priamo: re di Troia, è marito di Ecuba e padre di cinquanta figli, tra i quali Ettore e Paride.

Ettore: figlio di Priamo, è il più valoroso eroe troiano. È presentato come un uomo generoso, profondamente attaccato alla patria, ai genitori, alla moglie Andromaca e al figlioletto Astianatte; combatte non per ricevere onori, ma perché è suo dovere.

Muore nel duello con Achille e il poema dell’Iliade termina con i suoi funerali.

Paride: fratello di Ettore, è la causa, seppure involontaria, della guerra di Troia.

È lui, infatti, che rapisce Elena, moglie di Menelao, scatenando la sua ira e quella di tutti i greci.

Andromaca: moglie di Ettore e madre di Astianatte.

Ecuba: moglie di Priamo e madre di Ettore.

Elena: bellissima moglie di Menelao, rapita da Paride e da lui condotta nella città di Troia.


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