SPERIMENTAZIONE…

RACCONTO BREVE

AL N.3 DI VIA DELLE BROCCHE

A Via delle Brocche n.3, in zona Campo Marzio, a Roma, viveva il figlio di un Principe. Sì.

Metà figlio di un principe e metà figlio della portiera.

Vittorio.

Le foto di Vittorio tra le mie mani, mentre guardavo fuori dall’appartamento Cenci, al primo piano di Via delle Brocche n.3.

Ci andai nel lontano 198*, quando ancora ero una bambina.

Però Vittorio non me lo posso dimenticare!

Vittorio era un uomo di circa trent’anni e viveva nel sottopiano di Via delle Brocche. Suo padre aveva avuto una bella moglie e una bella casa, un’altra a Portofino e di mestiere faceva il nobile, ma era anche laureato: ingegnere.

Vittorio però era il figlio della portiera. Una donna all’epoca sulla cinquantina, con gli occhi neri, penetranti e i capelli alla Anna Magnani. Un’aria di donna che sa sempre il fatto suo e che sa sempre tutto di tutti. Non per nulla stava alla guardiola.

Vittorio aveva il cognome della madre. Ovvio.

Sapeva chi era suo padre, che viveva al primo piano di Via delle Brocche n.3, però fingeva di non sapere, per proibizione della madre.

Eppure Maria a quel figlio lo chiamava davvero “principe”, per via di suo padre, che Principe lo era davvero.

Io l’appartamento di suo padre lo vidi davvero, mentre mia madre si occupò per un’estate della casa e del suo ordine.

Vittorio ci accoglieva alle otto del mattino del caldo agosto romano, quando per Roma vedi solo turisti e poveri.

Vittorio non parlava molto. Era come sua madre per le fattezze: entrambi mori, entrambi in carne. Dove andava lei, andava lui. Come un cane.

Io no. Non mi piaceva proprio fare quello che diceva mia madre e tantomeno la madre di Vittorio, che dava sempre ordini.

“Cocca, vuoi un bel panino al prosciutto? A Vittorio piace.”

“Cocca, vuoi un bel piatto di spaghetti? Al sugo, buono come lo faccio io, alla marchigiana! A Vittorio piace”.

“Cocca, vuoi una bella parmigiana, fatta fresca fresca ieri sera, quando Vittorio dormiva? A Vittorio piace”…

Io ero Cocca. Non avevo nome. Il nome lo aveva solo Vittorio!

Vittorio sfogliava sempre le stesse riviste di sua madre. Quelle per donne.

Si era fatto una cultura al femminile. Ma lui non parlava. Mi ero sempre chiesta se avesse la lingua.

Non rinunciavo alle prelibatezze per Vittorio, e quando mamma scendeva giù, dal primo piano del Principe, alla guardiola, rimaneva a guardarci, a Vittorio e a me, che mangiavamo ogni giorno vaschette con cose buone.

“Maria ti vizia eh?”-mi diceva mia madre.

“No vizia Vittorio e me perché sto qui!”- rispondevo io.

Vittorio rideva. Mi guardava. E addentava un panino gonfio di prosciutto crudo o gli spaghetti o la carbonara…o quello che sua madre metteva davanti.

Avevamo fatto comunella. Però lui non parlava.

Un giorno in autobus chiesi a mia madre di Vittorio.

“Eh, una storia triste. Lui sai, ti ho detto, è figlio del Principe, come Totò lo era di De Curtis, però sua madre Maria, non potè ottenere il cognome del padre, per lui, perché era sposato suo padre. Con una donna che non poteva dargli figli.

E vedi, Vittorio e Maria vivono nel sottopiano del palazzo. Tipo una cantina ben arredata.”

“Sì, sì, vedo. Ma Vittorio non parla mai. E’ muto?”

“Ma che muto!- rispose mia madre- quello non parla perché parla sempre sua madre”.

E così capii che Vittorio era un furbo. A trent’anni non lavorava, non aveva una vita sua e viveva a casa di mamma’, aspettando i tempi giusti perché suo padre lo riconoscesse.

Ma suo padre mai lo riconobbe.

Mi faceva pena Vittorio. Lo guardavo, mi guardava e io mi sentivo male per lui. Perché mai non si slacciava da sua madre? Crearsi una vita sua…Pensavo che alla fine sarebbe diventato lui il portiere di Via delle Brocche n.3…con la differenza che ad aprire il portone, alle otto, sarebbe stato lui e non sua madre.

Trent’anni dopo, passai per una commissione proprio davanti a Via delle Brocche n.3.

Avevo perso il tram da Piazza del Popolo al Flaminio. Così decisi di andare a vedere se scorgevo Vittorio.

Probabilmente sua madre era morta da tempo e Vittorio avrebbe avuto circa sessant’anni o giù di lì.

Mi misi a camminare sul marciapiedi di fronte al palazzo. Vidi il portone aperto e guardai. In guardiola c’era un uomo. Vittorio? Non so. Non mi sono azzardata ad andare. Però, sollevando lo sguardo, vidi che c’era un cartello: VENDESI PRIMO PIANO. RIVOLGERSI A VITTORIO.

Vittorio, il furbo ora era il padrone dell’appartamento. Non aveva avuto il cognome di suo padre? Chissà.

Ma aveva avuto le chiavi di tutto e con il suo silenzio aveva rotto anche il tabù della miseria e della nobiltà.

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