NASCERE CON LA CAMICIA

“Quando avrai oltrepassato la soglia di questa vita mortale,

sarai nel cosmo infinito e ritroverai la tua origine.”

PRIMA PARTE

“Dicevi sempre che ero nata in modo diverso. E forse avevi ragione, grande nonna Maria!”

I monti della Barbagia sono meglio di cento città visitate. 

I monti della Barbagia sanno di quella essenzialità che non si conosce altrove, se non nel deserto.

Perché la Sardegna non è la terra dei continentali, che vengono a sporcarla, ma dei nativi o degli eredi.

E io non sono nata lì, ma sono una erede.

Ci sono situazioni che non abbiamo scelto. Qualcuno ha scelto per noi.

Mia madre ha scelto per me. Mi sta bene.

Prima non accettavo mia madre. Ora mi identifico in lei. Perché ogni figlia è la derivazione della madre. La mia era una gran donna. Io mi sentivo una protuberanza di mia madre, finché sono cresciuta e sono diventata me stessa.

Però non ho mai dimenticato lei.

Diciamo che le dedico questo libro.

Ogni ragazza vede nella madre ciò che vorrebbe essere o…non essere, ma non c’è nulla da fare: il DNA parla.

Mio padre sta nel sottofondo. Avendolo visto solo in foto, cerco rassomiglianze…almeno fisiche e ci sono solo gli occhi. I suoi sono i miei e i miei i suoi, e quell’aria da intellettuale bohémien, a volte triste a volte giocoso, come sono io.

Ma io sono 75% di mamma e 25% di papà.

Lo sento.

Quando sarò passata al di là di questa vita terrena, voglio proprio verificare di persona com’era lui in verità e com’era lei.

Il tempo scorre e lascia dietro di sé delle scaglie di dolore e gioia, incertezze, rimpianti e desideri.

Il momento presente non sa minimamente quanto belle fossero le aspettative dell’infanzia e della prima giovinezza.

Poi nemmeno sa quali sono quelle del futuro, se mai ci saranno.

Resta forse una certa acredine per ciò che non si è stati e non si è fatto.

Il presente è l’unico possesso fuggente.

Un attimo solo e ciò che sei e sarai, potrebbe sfuggirti di mano.

Ecco perché scrivere: anche se nessuno leggesse nulla, avrai lasciato un segno della tua presenza.

Nel silenzio in cui la vita ti lascia, puoi ritrovarti o affondare.

Meglio la prima opzione.

-“Sei nata con la camicia”.- Quante volte mia nonna mi avrà ripetuto questa frase, quasi contenta o anche irritata, però profetessa in ogni caso.

Sì, perché io sempre mi sono reputata differente da tutti. Anche da quelli di casa.

La camicia bianca, quella con il colletto inamidato, con i polsini, al femminile, quella che indossavo e che sapeva di pulito, di casa.

La camicia è simbolo di pulizia. Te la chiudi bene o la lasci un poco aperta, ha sempre il suo stile.

Io avevo il mio stile. Le mie velleità di artista, di scrittrice, di studiosa, di “secchiona”, come la gente mediocre dice, a volte, queste caratteristiche mi hanno tracciato il cammino.

Sarà che mi è rimasto solo lo studio e la conoscenza….

Forse i due talenti del vangelo, per me, sono questi.

Fra poco è Natale. Gli anni passano. Umanamente parlando, senti che non sei più bambina, ragazza, giovane. Sei una donna. Sei adulta.

Ripenso ai natali di famiglia: l’albero, il presepe, i doni da aprire nella notte, il calore della casa di famiglia, fuori il freddo e i problemi.

Tutti dovrebbero avere questo. Tutti hanno diritto al proprio angolo di paradiso. 

Io sono cresciuta in una famiglia credente.

Ogni festa era con la compagnia della Sacra Famiglia.

Sopra il letto di ogni membro della casa, vi era sempre un’immagine sacra.

Non si faceva nulla senza invocare Dio o la Madonna.

L ‘ umiltà non era una facciata. 

Certo c’era anche la fierezza.

L ‘ umiltà e la fierezza sono due caratteristiche che sembrano antitetiche, ma che fanno parte della mia eredità familiare.

Umiltà perché nulla di quanto accadeva si sarebbe fatto senza la volontà salvifica di Dio e… fierezza, per l’orgoglio derivante dalle origini. Diciamo che cielo e terra si incrociavano per non lasciarsi più.

La fragilità della condizione umana per me, da piccola, non era percepita. Esisteva il Mito. Esiste ancora il Mito. Il Mito come patrimonio e possesso di un popolo, che lascia ai suoi figli ricordi di gesta prodigiose.

In tutto ciò mia nonna Maria giocò un ruolo fondamentale: quello di Narratrice prodigiosa di storie.

Io vivevo delle storie raccontatemi da lei.

D’inverno, davanti alla finestra della nostra cucina: io sulle sue ginocchia, ascoltavo canti e gesta del popolo Sardo.

Le fate, nelle loro Domus de Jana, le vecchie che sapevano leggere il futuro, i Pastori che andavano lontano a pascolare il gregge, le donne chiuse in casa, con i figli piccoli e il focolare sempre acceso…

Io vivevo in quelle storie, in quei sogni ad occhi aperti.

Io ero in quelle fate, in quei pastori, in quelle donne, in quei bambini.

Io ero in quelle terre brulle, nel silenzio…nel vento freddo, quello che ti taglia le guance e che però non vorresti mai scambiare con altro.  

Un poco più grande, a circa quindici, sedici anni, andare per le vie in cui il vento ti entrava in petto e ti squarciava il malessere, era la mia miglior diversione.

Nel quartiere dove era nata e aveva vissuto Grazia Deledda, era per me come essere di casa.

Spesso, da sola, me ne andavo là. Stavo davanti all’ingresso, osservavo attentamente ogni pietra di granito che costituiva il muro, il fico oltre il muro, le finestre al secondo piano…tutto, per immaginarmi la scrittrice che più amavo in quel momento e nella quale mi identificavo.

Ero anche io una piccola scrittrice e vivere nella città di lei mi era di aiuto e conforto.

Sempre la carta e la penna sono state le mie compagne nella solitudine.

E la Solitudine per i Sardi è anche un santuario, un luogo di Dio, proprio dove Grazia Deledda ha voluto essere sepolta. Guarda verso il Monte Ortobene.

In un mondo in cui la donna era ed è Madre e Moglie, ma non altro, non libera, non amante, non padrona di sé, il mio sogno era quello di essere differente.

Sapevo che sarei stata differente, nel senso che non mi sarei mai adeguata agli stereotipi.

Io potevo studiare. Molte ragazze alla mia età, quindici, sedici anni, erano già fidanzate, erano già programmate… a scuola, al liceo erano poche.

Io ero la terza di tre ragazze, in una classe di 22, gli altri erano maschi.

Eppure non ero nemmeno come le altre due, che si spalleggiavano e che venivano da un paese di pastori. La “cittadina” e la “continentale” ero io.

Sapere di essere al liceo, in un mondo di maschi e soprattutto di ragazzi intelligenti, mi ha sempre spinto a emergere.

I ragazzi non competevano con me. Io ero indipendente, una outsider, come nelle corse dei cavalli.

Ricordo solo che era dura per tutti, al ginnasio e poi al liceo. Il latino, il greco, la filosofia…eppure ero fiera di sgobbare. Stavo dimostrando a me stessa e al mondo arcaico nel quale vivevo, che una ragazza può essere come i ragazzi e forse anche migliore di loro.

Meglio di loro. Mio nonno per i miei diciotto anni, visto che vi sarebbero state le elezioni, mi disse che molti suoi amici di partito gli avevano chiesto di me, se fossi disposta a candidarmi.

Io, benchè lusingata, non accettai, ma in un pomeriggio in cui si riunivano nel salone del grande albergo di N., andai con mio nonno.

Ricordo ancora che ero vestita con una camicetta di raso verde-acqua, dei pantaloni in pelle nera e degli stivaletti a caviglia, molto belli, ai quali tenevo in modo speciale.

Mi chiamarono sul palco, rifecero la proposta, ma rifiutai. Però dissi alcune parole di incoraggiamento al pubblico presente.

Tutti gli occhi erano puntati verso di me.

Scendendo le scalette laterali, un forte applauso accompagnò il mio passo.

Mi volto indietro a guardare al mio passato, perché esso mi dà conforto. In tutto ciò che ho vissuto, sola o con la mia famiglia, c’è stato un segno di Dio.

Sotto il Suo sguardo, anche nelle vicende drammatiche.

Fondamentalmente mi sono forgiata al duro lavoro. Non avevo problemi economici. Mio nonno, che era militare, aveva maturato una pensione veramente buona e mia nonna anche. 

In casa ero la loro unica nipote e si può dire che ogni loro attenzione e speranza fossero indirizzate verso di me.

La camera che mi avevano preparato fin dal mio settimo anno d’età (perché prima dormivo in una culla-letto nella loro camera, dai quattordici mesi…) era molto grande. Un ingresso con anticamera, due letti singoli sulla destra, per quando fosse venuta mia madre o mia zia, un grande armadio fino a soffitto alla sinistra dell’ingresso, una scrivania-libreria, alla sinistra dell’armadio, una finestra su un giardino, una scrivania più piccola alla destra, e infine una grande libreria fino al soffitto, oltre i due letti.

Mio zio più piccolo, fratello di mia madre, aveva acquistato per me la Treccani completa, con l’obbligo, alla sera, prima di dormire, di leggere una o due pagine, in ordine.

Così, prima per obbligo, poi per curiosità, ogni sera, dopo le ventuno, visto che non potevo guardare la tv, leggevo la Treccani.

A dodici anni, mi regalò la collana di psicoanalisi, quella di letteratura italiana per ragazzi e poi…per l’esame di terza media, la collana Einaudi…quella che si completava ogni mese, con l’arrivo di un libro nuovo.

A quattordici anni avevo già letto intera la Bibbia e tutto Freud. Iniziando il Ginnasio, nonno acquistò per me i Classici Greci e Latini.

Leggevo l’Eneide a mia nonna, in originale e poi le facevo la parafrasi, così, mentre lei ascoltava, io mi esercitavo.

Mia nonna con le amiche diceva di avere una nipote che studiava in latino e in greco…e io sorridevo per lei, che non aveva terminato le elementari. Lei era una grande lettrice. In casa i maschi avevano fatto studi tecnici e i suoi cugini erano avvocati a S., mentre le ragazze non avevano potuto studiare, visti i vecchi criteri di un tempo.

Però lei si riscattava tramite me.

Non era lo stesso per la famiglia di mio nonno, che aveva titoli nobiliari e studi accademici (tutti erano militari).

Mia nonna diceva che io sarei stata differente. E fu così.

Insomma, ognuno dei parenti, nei miei confronti, ha dato il suo contributo alla mia formazione: la nonna mi ha trasmesso la fede e la capacità di narrare, mio nonno tutto l’affetto del mondo, l’orgoglio e poi, economicamente parlando, il denaro per comprare libri su libri, fare viaggi e comprare vestiti, oltre ciò che desideravo di più, per il mio svago; gli zii le enciclopedie e i libri in abbonamento ogni mese, mia zia i vestiti e le scarpe, mia madre tutto quanto si trattasse della salute fisica e morale.

Io non mancavo di nulla. Io ero la Regina della mia casa, loro erano il mio tutto.

Non mi mancava né carattere né motivazioni.

Io conosco cosa sia lottare per le proprie idee e sono anticonvenzionale. Nello stesso tempo molto stakanovista e briosa. Non mi annoiavo mai. Nemmeno ora. Perché trovo sempre qualcosa che mi incuriosisca e non mi faccia appiattire.

Ero nata con la camicia.


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