ANNA ACHMATOVA

“Ho scritto parole che per tanto tempo

non ho osato pronunciare”

Anna Achmatova nacque nel giugno 1889 vicino a Odessa, in Ucraina, da genitori russi.

Si chiamava in realtà Anna Andreevna Gorenko. A un anno fu portata a Carsoe Selo. A cinque anni parlava perfettamente il francese, a undici scrisse la sua prima poesia. Il padre, ingegnere navale, quando iniziò a pubblicare le prime poesie, le suggerì di scegliersi uno pseudonimo. Lei lo prese da una sua bisnonna: Achmatova.


Era una bella donna alta, magra, con lunghe gambe, lunghe braccia sottili, un viso illuminato da occhi sensibili e acuti, un naso aquilino che affascinò i suoi ritrattisti, da Modigliani ad Al’tam, era l’immagine della femminilità, affascinante, dominante, misteriosa…

Si faceva chiamare “Poeta”, al maschile, perché non amava essere chiamata poetessa: le sembrava che limitasse il campo dei sensi e di sapere che la ispiravano.


Nel 1905 i genitori divorziano e lei segue la madre a Evpatorija dove termina il liceo, e poi a Kiev dove si iscrive alla facoltà di giurisprudenza.

Cinque anni dopo, cioè nel 1910 decide di sposare Nikolaj Stepanovic Gumilëv, affermato poeta.

Vanno in viaggio di nozze a Parigi.

Tra gli altri personaggi di spicco, conosce Amedeo Modigliani. Probabilmente molte delle silhouette che il pittore dipinse presero spunto da lei.
Dopo la luna di miele gli sposi si stabiliscono a S.Pietroburgo, dove frequenta dei corsi storico letterari.

Lo stesso anno torna a Parigi e la sua amicizia con Modigliani si consolida: passano lunghe ore sulle panchine del Lussemburgo, a leggere e a recitare a due voci i poeti francesi.
Nel 1911 Gumilëv fonda la Corporazione dei poeti da cui ebbe origine il movimento acmeista, dal greco akmé, che significa vertice. Il movimento si propone di reagire all’oscurità e all’evanescenza del simbolismo imperante, favorendo un’arte chiara e intensa che raggiunge, appunto, l’acme dell’espressione poetica.

Al nuovo movimento aderiscono subito l’Achmatova e l’amico Osip Mandel’stam. L’anno dopo Anna Andreevna pubblica il suo primo libro di poesie: La sera.

Anna è nella attesa di un figlio quando compie col marito un viaggio in Italia: Genova, Padova, Venezia, Bologna, Pisa, Firenze.

Gumilëv visita da solo Roma e Napoli perché la moglie non si stancasse troppo.

Il figlio, Lev Nikolaievic, nasce il 1° ottobre 1912. 

Due anni dopo l’Achmatova dà alle stampe il suo secondo libro: Rosario.
Allo scoppio della Prima Guerra Mondiale, il marito Nikolaj Stepanovic parte per il fronte e Anna si ammala di tubercolosi. 


Alla guerra si aggiunge la rivoluzione, vivere diventa sempre più difficile.

Anna vive quel tempo tra Carskoe Selo, S.Pietrogrado, Slepnevo scrivendo dolorose poesie d’amore che sono il controcanto ai tragici avvenimenti di quegli anni: nel 1917 pubblica Lo stormo bianco.

Intanto Gumilëv combatte, è decorato due volte per atti di valore, invia ai giornali corrispondenze di guerra.

Tornato in patria si butterà a capofitto nella lotta contro rivoluzionaria proclamandosi cristiano e monarchico.
Il rapporto tra i due coniugi ormai irrimediabilmente compromesso culmina nel divorzio ratificato nel 1918.

Il figlio Lev è affidato alla nonna materna a Slepnevo: Anna lascia definitivamente la casa di Carsoe Selo e si trasferisce a Mosca col famoso orientalista Silejko, che diventerà il suo secondo marito.


Nel 1921 Gumilëv accusato di aver sobillato, con un complotto, la rivolta dei marinai a Kronstad è condannato a morte e fucilato per ordine di Lenin.
Nello stesso anno Anna Achmatova pubblica Piantaggine.
Dalla seconda metà degli anni Venti fino al 1940 il Partito cerca di murarla viva nella sua casa di Leningrado, un minuscolo appartamento. Non ha il coraggio di imprigionarla e di deportarla, ma la tiene d’occhio continuamente, creandole il vuoto intorno e sottoponendola a continui ricatti, colpendola negli affetti più cari.

Imprigionano, il suo secondo marito, che morirà in un campo di concentramento. Per vivere deve impiegarsi come bibliotecaria presso l’istituto di Agronomia, cosa che le da diritto ad un po’ di legna da bruciare.
Anna Achmatova passa molti mesi a correre da un carcere all’altro, in fila con molte altre madri e spose che attendono pazientemente di poter consegnare un pacco di viveri o di indumenti ai propri congiunti incarcerati.

Logorata dall’ansia per la sorte del figlio, condannato a morte, Lev vedrà commutata la pena nell’esilio, e lei scriverà Requiem, che non verrà pubblicato, troppo evidenti sono i riferimenti al terrore staliniano: è il più grande atto di accusa di un popolo contro la tirannia. Il poeta dei dolci amori sfortunati era diventato il poeta di una grande tragedia nazionale.


Ci fu un momento in cui l’Achmatova scrisse parole disperate:
Bisogna uccidere fino in fondo la memoria
bisogna che l’anima si purifichi
bisogna di nuovo imparare a vivere.

Ma il Poema senza eroe che cominciò a scrivere nel 1940 è proprio la dimostrazione che il poeta non aveva ucciso la memoria, che la sua anima non si era impietrita in conseguenza delle tragiche violenze vissute.


Continuò a salire il suo calvario. Condannata dal Comitato Centrale del Partito come poeta decadente, ignorata dalle riviste e dalle case editrici, colpita negli affetti più cari, Anna era “civilmente” morta.

Fu riportata in vita allo scoppio della seconda guerra mondiale, quando Stalin decise, per rafforzare il regime, di ricorrere a tutti i valori nazionali e patriottici: tra questi vi era ancora l’Achmatova: i suoi versi non erano stati dimenticati, le sue poesie passavano da una mano all’altra in copie manoscritte. 

Le fu chiesto di dare il suo contributo alla grande guerra patriottica e lei scrisse versi dignitosi ed eleganti; parlò da radio Leningrado, mentre la città era stretta d’assedio durante quei tragici 999 giorni, e lanciò un messaggio alle donne.


Nel 1941 il regime la mise in salvo, così come metteva in salvo i capolavori dell’Ermitage e i libri rari delle biblioteche.

Fu portata in aereo a Mosca e poi a Taskent: nessuno le aveva comunicato che il figlio si era offerto volontario ed era stato mandato al fronte.
Nel 1944 Anna Achmatova torna a Mosca, ma durante il breve soggiorno è invitata a prender parte a una serata di poesia, riportando un enorme successo personale che risulterà sgradito al dittatore.

Si incontrerà con un diplomatico Ishaia Berlin, addetto culturale all’ambasciata inglese. Cadde di nuovo in disgrazia, pensata come traditrice.

Il povero Lev venne di nuovo imprigionato, le riviste su cui Anna aveva potuto pubblicare qualche poesia furono soppresse.


I primi cenni del disgelo cominciarono a verificarsi soltanto negli anni Cinquanta: Anna venne riabilitata, poesie sue cominciarono a comparire su alcune riviste.

Nel ‘56, tre anni dopo la morte di Stalin, Lev Nikolaevic venne finalmente scarcerato

Più tardi Anna ebbe il permesso di tornare in Italia: Roma, Taormina, Catania; qui ebbe il premio Etna-Taormina.

Si recò anche in Inghilterra a ricevere la laurea honoris causa all’Università di Oxford.

Furono anni tranquilli. Nel ‘66 fu ricoverata nell’ospedale Botkin di Mosca.

Si spense a Domodedovo, presso Mosca, il 5 marzo 1966.

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