Nei secoli immediatamente precedenti e successivi l’era cristiana (all’incirca III secolo a.C. – III secolo d.C.), quando la comunità religiosa ebraica era relativamente stabile attorno al tempio di Gerusalemme ma anche nella fiorente diaspora nei vicini paesi del medio oriente, vennero composti un elevato numero di scritti attualmente noti come apocrifi dell’Antico Testamento. La lingua di tali testi era l’ebraico (in questo periodo ormai una lingua morta usata solo nel culto liturgico), l’aramaico (la lingua ufficiale del medio oriente parlata anche in Palestina) e il greco (che costituiva la lingua franca all’interno della sfera ellenista, parlata in particolare dalle comunità giudaiche nella diaspora in Egitto). Il contenuto e/o l’attribuzione pseudoepigrafa di questi apocrifi era legato ai testi della attuale Tanakh, i soli ammessi nella liturgia ufficiale del tempio di Gerusalemme o della sinagoga.
Settanta
La comunità degli Ebrei presente nella città ellenista di Alessandria d’Egitto tradusse i testi della Tanakh in greco, la loro lingua vernacolare, in un lasso di tempo che va dal III secolo a.C. (Torah) al I secolo a.C. (alcuni Scritti). Il nome col quale viene indicata la traduzione è Settanta, in riferimento al leggendario numero dei traduttori della Torah come descritto dalla Lettera di Aristea. La versione ebbe una notevole fortuna tra gli Ebrei di lingua greca presenti non solo in Egitto ma nell’intero medio oriente: per essi, al pari dei loro con-religionari palestinesi, l’ebraico rappresentava ormai solo una lingua morta (analogamente gli Ebrei della Terra d’Israele di lingua aramaica avevano composto i targumim).La Settanta includeva anche diversi libri in greco composti nella diaspora in Egitto che non erano usati né nel culto ufficiale del tempio di Gerusalemme né in quello della sinagoga della diaspora. Per sottolineare la discrepanza numerica tra i testi contenuti nella Tanakh e nella Settanta tra gli attuali studiosi si parla solitamente di:
- canone palestinese o canone breve, includente i libri ebraico-aramaici della attuale Tanakh;
- canone alessandrino o canone lungo, includente oltre ai libri presenti nel canone palestinese anche i testi scritti in greco nella diaspora, contenuti nella Settanta.
Il canone dei libri sacri per gli ebrei comprende in definitiva 24 libri (il numero però diventa 39 contando separatamente i dodici profeti minori, i due libri di Samuele, i due libri dei Re, Esdra e Neemia, i due libri delle Cronache).
Le prime comunità cristiane hanno usato, nel culto liturgico e come riferimento per la compilazione dei testi del Nuovo Testamento, la traduzione greca dell’Antico Testamento (termine coniato dalla tradizione cristiana) iniziata ad Alessandria d’Egitto nel III secolo a.C. e terminata nel I secolo a.C. Delle circa 350 citazioni dell’AT presenti nel NT circa 300 seguono seppure con una certa libertà redazionale la Settanta greca invece che il testo ebraico (detto poi testo masoretico).
La Settanta comprende anche altri testi prodotti nella diaspora alessandrina complessivamente tra il IV-I secolo a.C. cihamati nella tradizione cattolica deuterocanonici (apocrifi in quella protestante):
- Giuditta
- Tobia
- Primo libro dei Maccabei
- Secondo libro dei Maccabei
- Sapienza di Salomone
- Siracide
- Baruc
- Lettera di Geremia
- aggiunte a Daniele
- aggiunte a Ester
Nuovo Testamento
I 27 testi che compongono l’attuale Nuovo Testamento sono stati composti in lingua greca in un periodo relativamente limitato che va circa dal 51 (Prima lettera ai Tessalonicesi) al 95 (Apocalisse di Giovanni). Tra i biblisti è ampiamente diffusa, seppure non unanime, l’ipotesi che la redazione dei Vangeli si sia basata su una precedente raccolta proto-evangelica, la cosiddetta fonte Q, risalente a un periodo indefinibile tra il 40-60. Questo testo però, se esistito, è confluito nelle narrazioni dei Vangeli ed è stato dunque in seguito abbandonato e perduto. Gli autori del Nuovo Testamento si presentano, o sono indicati dalla tradizione cristiana immediatamente successiva, come apostoli. Sebbene Paolo di Tarso, autore di 13 lettere, non facesse parte del primordiale nucleo dei 12 apostoli, si considerò tale in quanto a suo dire chiamato e inviato direttamente da Gesù sulla celeberrima via di Damasco (‘apostolo’=inviato in greco).