Storia d’Italia dal 1975 al 94
Negli anni Settanta si erano succeduti i seguenti governi: Emilio Colombo, Giulio Andreotti per due volte, Rumor per due volte; Moro per due volte, Andreotti per due volte, Francesco Cossiga per due volte, fino ad arrivare al 1980. Tutti centristi.
Sul piano politico si venne determinando uno stallo per via dell’erosione dei consensi al centro-sinistra, che portò alla fine anticipata di due legislature. Cominciò allora a prendere corpo l’idea di un compromesso storico fra le principali forze politiche del paese, che dalla DC si estendesse al PCI.
Enrico Berlinguer, nel 1976 dichiarò di voler promuovere la cosiddetta linea euro-comunista, cioè un’alleanza col Partito Comunista Francese e quello Comunista di Spagna, che prevedeva un approdo “democratico” al comunismo in Europa, a prescindere dal sostegno dell’Unione Sovietica.
Il compromesso storico nel 1977 vide un ritorno delle agitazioni e dei movimenti di piazza, con scontri molto più feroci di quelli del Sessantotto: le violenze sfociarono in azioni armate con lanci di molotov, uccisioni sia di poliziotti sia di manifestanti, assalti alle sedi del MSI, e strascichi come la strage di Acca Larenzia.
Anche le BR giunsero ad alzare maggiormente il tiro, dopo che la loro nuova guida, Mario Moretti, aveva preso il posto di Cagol, morta nel 1975, e di Curcio, arrestato nel 1976. Moretti diede alla lotta armata l’ordine di «mirare al cuore dello Stato», portando a un incremento degli attentati: nel 1977 le persone uccise ad opera delle BR salirono a trentuno.
Berlinguer, ritenendo che il PCI stesse pagando più di tutti il proprio appoggio al governo Andreotti, con una perdita di consensi, fece pressioni per avervi un maggior coinvolgimento. Fu allora che si ebbe l’episodio più eclatante quando il 16 marzo 1978 le BR rapirono il Presidente della Democrazia Cristiana Aldo Moro, uno dei maggiori sostenitori del compromesso storico, in via Fani a Roma, proprio nel momento in cui il Presidente del Consiglio incaricato, Giulio Andreotti, stava tentando di far nascere il primo governo con i voti diretti del PCI.
Il fronte politico si divise allora tra i fautori della trattativa con le BR (soprattutto il PSI), e i sostenitori della fermezza (democristiani e comunisti), convinti che lo Stato non si dovesse piegare ai loro ricatti; alla fine prevalsero questi ultimi.
Il conseguente omicidio di Moro, il cui cadavere fu fatto ritrovare in via Caetani, a metà strada tra le sedi della DC e del PCI, gettò l’Italia intera nello scompiglio e nel caos.
Il ministro dell’Interno Cossiga, che si era opposto alla trattativa con le BR, fu costretto alle dimissioni. Anche il presidente della Repubblica Leone fu accusato di non aver fatto abbastanza per salvare Moro; sottoposto tra l’altro a una campagna mediatica da parte dell’Espresso e del Partito Radicale, che lo ritenevano coinvolto nello scandalo Lockheed, che in quegli anni stava portando a svariate inchieste giudiziarie, Leone si dimise di lì a poco, nonostante la sua estraneità ai fatti riconosciuta vent’anni dopo dagli stessi radicali.
L’omicidio di Moro accelerò di fatto la fine dei governi di solidarietà nazionale, portando alla fine anticipata della legislatura nel 1979, e lasciando nella Repubblica Italiana la lugubre sensazione di avviarsi verso un inesorabile declino.
Il pesante clima ideologico degli anni Settanta, che aveva portato a un vertiginoso accrescimento della tensione sociale e politica, cominciò a dissolversi all’inizio degli anni ottanta, durante i quali avvenne la cosiddetta svolta del «riflusso», inaugurata nell’autunno del 1980 dalla marcia dei Quarantamila a Torino, quando tornò alla ribalta l’esistenza di una «maggioranza silenziosa» che si contrapponeva al clamore degli scontri sociali del decennio precedente: il 14 ottobre numerosi quadri intermedi della Fiat, stanchi delle continue proteste dei sindacati, che si opponevano alla cassa integrazione di diversi operai, proposta dall’azienda per rilanciarsi, e che impedivano loro di entrare in fabbrica a lavorare, diedero vita a un corteo “silenzioso” per la città che mise a tacere gli scioperi e le occupazioni.
Ci fu, nel complesso, un ritorno delle persone dalle piazze al privato; cominciò l’era della televisione commerciale, unito a un decollo della pubblicità e a un incremento dei consumi. Crebbe la disaffezione dei cittadini per la politica, ma aumentò il senso di ottimismo e di benessere sociale. A livello politico iniziò a prevalere la personalizzazione sull’appartenenza ideologica; ci fu così un declino del potere dei sindacati e del Partito Comunista Italiano, parallelamente all’ascesa di Bettino Craxi tra le file del Partito Socialista Italiano, chiamato nel 1976 a risollevare le sorti del partito, che allora si trovava ai minimi storici, stretto nella tenaglia del tentativo di compromesso storico tra la DC e il PCI.
Craxi, allontanandosi in maniera sempre più marcata dal PCI, si propose di costruire un’alternativa di sinistra alla DC, che fosse costituita non già da un partito comunista colluso con l’Unione Sovietica, ma da una sinistra riformista.
Craxi cominciò ad attaccare il PCI, rimproverandogli di essere ancora alle dipendenze di Mosca nonostante i proclami di segno opposto. Craxi era riuscito a far eleggere presidente della Repubblica Sandro Pertini, uomo della vecchia guardia del PSI, che durante il suo mandato si proporrà un riavvicinamento più amichevole e sereno dei cittadini alle istituzioni, promuovendo ad esempio incontri e afflussi di scolaresche al Quirinale. Per il suo carisma, il suo modo di fare schietto e ironico, il suo affetto verso i bambini, Pertini sarà ricordato come il presidente più amato dagli italiani.
Nell’estate 1980 avvenne la strage di Ustica, un disastro aereo di un DC-9 dai contorni tuttora non chiariti. Il 2 agosto avvenne poi la strage di Bologna in cui morirono ottantacinque persone e se ne ferirono duecento. I processi che ne seguirono decretarono la colpevolezza di Valerio Fioravanti e Francesca Mambro, membri dei Nuclei Armati Rivoluzionari di ispirazione neofascista. Tra i fatti di cronaca, la disgrazia toccata al piccolo Alfredino Rampi turbò assai l’opinione pubblica. Nel calcio esplose il primo scandalo scommesse di notevole rilievo, che vide la condanna di numerosi calciatori e la penalizzazione di alcune importanti squadre di club.
Si erano avvicendati governi fragili e di breve durata che si rivelarono inadeguati a gestire le conseguenze del terremoto dell’Irpinia del 1980, in occasione del quale Pertini auspicò invano il ricompattarsi di una grande coalizione. Si ripresentò la minaccia della guerra fredda con l’invasione dell’Afghanistan da parte dell’Unione Sovietica e la sua decisione di rivolgere contro l’Europa occidentale una moderna generazione di missili a testata nucleare SS20; tra i paesi NATO si cominciò allora a discutere se installare nuovi euromissili MGM-31 pershing e cruise in risposta.
Nel marzo 1981 una perquisizione nella villa di Licio Gelli da parte della Guardia di Finanza condusse alla scoperta della loggia massonica P2, un’organizzazione clandestina anticomunista con presunti scopi eversivi, che contava tra i suoi iscritti, oltre a Gelli, anche Roberto Calvi, responsabile del fallimento del Banco Ambrosiano trovato misteriosamente impiccato a Londra sotto un ponte, e il banchiere Michele Sindona, ritenuto mandante dell’omicidio del giudice Giorgio Ambrosoli che stava indagando su irregolarità nelle sue operazioni finanziarie. Sempre nel 1981 ci fu l’attentato al Papa polacco Wojtyła, avversario dei regimi comunisti, la cui elezione al soglio pontificio era stata mal vista negli ambienti dell’Est europeo.
Tra gli eventi sportivi di rilievo ci fu tuttavia nel 1982 l’inaspettata vittoria della nazionale italiana di calcio guidata da Bearzot ai mondiali di Spagna.
Le forze dell’ordine, intanto, grazie al varo di nuove leggi e ad innovativi metodi di indagine, riuscirono ad arrestare i capi delle Brigate Rosse, finendo per smantellarne l’organizzazione, che ricevette un duro colpo nel gennaio 1982 con la spettacolare liberazione da parte dei NOCS del generale statunitense James Lee Dozier rapito un mese prima.
Nel giugno 1981 riuscì il tentativo di Pertini di mettere alla guida del governo il primo politico non appartenente alle file della DC, il repubblicano Giovanni Spadolini. Sotto la sua presidenza, che inaugurava la formula del pentapartito (alleanza governativa fra DC-PSI-PLI-PSDI-PRI), l’Italia inviò in Libano per la prima volta un contingente militare all’estero. Questo governo fu il preludio della chiamata a Palazzo Chigi del socialista Bettino Craxi, investito da Pertini nel 1983 in seguito ad elezioni anticipate: queste videro un pesante tracollo della DC, una flessione del PCI, e una risalita del PSI.
Quello di Craxi sarà infatti il governo più lungo di tutti quelli finora mai avuti. Esso sarà caratterizzato da un energico decisionismo, con frequente ricorso a decreti-legge, a differenza di quelli precedenti a guida democristiana più inclini alle mediazioni. Tra i suoi primi atti di rilievo, Craxi firmò nel febbraio del 1984 l’accordo di villa Madama, un protocollo aggiuntivo ai Patti lateranensi già stipulati nel 1929 e ratificato in seguito dalla legge 206 del 1985, che ribadiva la sovranità e la reciproca indipendenza di Stato e Chiesa.
Legato in amicizia all’emergente imprenditore Silvio Berlusconi, Craxi inaugurò un nuovo corso economico che trovò una sponda nel liberismo di Reagan e della Thatcher. In particolare egli si propose di combattere la pesante inflazione che si trascinava sin dagli anni settanta, motivo di stagnazione e crescita lenta, individuandone la causa principale nella scala mobile, ossia nel meccanismo di adeguamento automatico dei salari all’aumento del costo della vita. Il Partito Comunista Italiano, in aperta sfida a Craxi, proclamò dei pesanti scioperi insieme alla CGIL.
Poiché Craxi non demorse, Berlinguer fece indire un referendum per sconfiggere il suo decreto convertito intanto in legge, ma morì improvvisamente per un aneurisma nel giugno 1984 durante un comizio in vista delle imminenti elezioni europee.
Negli anni Ottanta si susseguirono i seguenti governi: Forlani, Spadolini per due volte, Fanfani, Craxi per due volte, Fanfani, Goria, De Mita e Andreotti fino al 1991.
Sul versante estero, Craxi da un lato rafforzò i legami dell’Italia con il Patto Atlantico, intensificando i rapporti con l’America di Ronald Reagan, ma dall’altro mantenne una politica filo-araba nella questione israelo-palestinese del Medio-Oriente, spalleggiato dal ministro degli Esteri Andreotti.
Nella seconda metà degli anni ottanta ci fu una crescita significativa del PIL, ossia della ricchezza degli italiani, anche grazie al calo dell’inflazione, che portò l’Italia ad affermarsi come la quinta potenza economica mondiale. Si impose il made in Italy, trascinato dalla moda e dai prodotti alimentari di consumo. Da paese di emigranti l’Italia si scoprì terra di immigrati, provenienti soprattutto dai paesi “extracomunitari” del terzo mondo.
Avvenimento epocale fu la caduta del muro di Berlino avvenuta il 9 novembre 1989.
Il 12 novembre 1989 Achille Occhetto, da poco più di un anno divenuto segretario del Partito Comunista Italiano, annunciò la “svolta della Bolognina”, che comportava l’abbandono della tradizione comunista e l’avvio alla socialdemocrazia, pur mantenendo tuttavia la distanza che lo separava dal PSI.
Nel 1990 si celebrò il Campionato mondiale di calcio in Italia.
Avevano cominciato poi a svilupparsi nuovi partiti di protesta nei confronti di quella che è stata definita partitocrazia, che contestavano un eccessivo carico fiscale, ravvisavano malsani rapporti tra politica e imprenditoria, ed esigevano la necessità di riforme. In particolare la Lega Nord, della quale fu nominato Segretario generale Umberto Bossi, già eletto la prima volta in Senato nel 1987 si fece portatrice di una tale protesta, arrivando a prospettare l’autonomia del Nord Italia dal resto del paese.
Con Francesco Cossiga, eletto nel 1985 con una larghissima maggioranza, si assistette a un incremento di interventi nella vita politica: dopo la caduta del muro Cossiga iniziò una fase di conflitto, spesso provocatoria e con una fortissima esposizione mediatica, verso il sistema dei partiti, da lui accusato di immobilismo, e contro la politicizzazione dei magistrati.
Nel novembre 1990, Occhetto annunciò il cambio di nome del suo partito, che si sarebbe chiamato Partito Democratico della Sinistra (PDS), evitando la denominazione “socialista” e prefigurando già in questo modo la chiusura di ogni possibilità di intesa col PSI. Nonostante gli umori contrari della base, il 3 febbraio 1991 il PCI deliberò il proprio scioglimento, provocando la scissione di Armando Cossutta e Fausto Bertinotti che daranno vita al Partito della Rifondazione Comunista.
Il perdurare del gelo nei rapporti tra PSI e PDS continuò a mantenere il sistema politico in una fase di stallo. Da più parti si cominciò a pensare che la paralisi del sistema favorisse la corruzione.
Si era fatto intanto sempre più minaccioso l’attacco della mafia nei confronti dello Stato, un attacco cominciato sin dall’omicidio del generale Carlo Alberto dalla Chiesa nel 1982, e acuitosi a partire dal 10 febbraio 1986, data di inizio del maxiprocesso contro “Cosa nostra”, avviato in seguito alle dichiarazioni dei pentiti Tommaso Buscetta, Totuccio Contorno, e Francesco Marino Mannoia, rilasciate al giudice Giovanni Falcone, e che aveva portato all’arresto di 456 imputati. Tra questi vi erano Luciano Liggio e Michele Greco, esponenti della cosca di Corleone, capeggiata da Salvatore Riina, Leoluca Bagarella e Bernardo Provenzano, che erano saliti al vertice della cupola mafiosa sconfiggendo il clan rivale di Stefano Bontate e Salvatore Inzerillo. All’indomani delle sentenze costoro scatenarono una rappresaglia non solo contro le famiglie dei pentiti, ma anche contro alcuni referenti politici, già sospettati di collusione, presumibilmente per aver fatto mancare la consueta protezione nei loro confronti: nel 1988 uccisero l’ex sindaco di Palermo Giuseppe Insalaco, e nel 1992 il presidente della DC siciliana Salvo Lima.
Furono uccisi anche i magistrati Antonino Saetta nel 1988, Rosario Livatino nel 1990, e Antonino Scopelliti nel 1991. Nel 1992, pochi mesi dopo che la Corte di Cassazione ebbe confermato le condanne del maxiprocesso, due grandi stragi colpirono l’Italia: la strage di Capaci avvenuta sull’autostrada A29, nei pressi dello svincolo di Capaci a pochi chilometri da Palermo, in cui persero la vita il magistrato antimafia Giovanni Falcone, sua moglie Francesca Morvillo e tre agenti della scorta (Vito Schifani, Rocco Dicillo, Antonio Montinaro); e la strage di via d’Amelio in cui morì il giudice antimafia Paolo Borsellino e la sua scorta, avvenuta per l’esplosione di una Fiat 126 contenente circa 100 chilogrammi di tritolo.
Nel 1992 le indagini della magistratura milanese, dette Mani pulite, sul fenomeno dilagante delle tangenti (da cui il nome dello scandalo chiamato appunto Tangentopoli), portarono alla scoperta di numerosi intrecci irregolari tra politica e affari, originati da un consociativismo patologico.
Sul piano economico, intanto, l’Italia subì una pesante crisi finanziaria: nel 1992 la lira venne svalutata e uscì dal Sistema monetario europeo avendo superato i margini di fluttuazione consentiti.Cresceva anche il debito pubblico, salito costantemente sin dagli anni settanta per il vertiginoso aumento della spesa pubblica, causato da un oneroso sistema di Stato sociale e dall’attuazione di politiche keynesiane di sostegno alla produzione.
Nelle elezioni politiche del 5 aprile 1992 la DC ottenne il minimo storico con quasi il 30% dei suffragi pur conservando la maggioranza relativa, PDS e PRC assommati ricevettero molti meno voti del vecchio PCI, mentre gli altri partiti di governo rimasero pressoché stabili nelle preferenze; la Lega Nord ottenne un risultato sorprendente vincendo in numerosi collegi settentrionali e ottenendo quasi il 9% a livello nazionale. Anche La Rete e i Verdi riuscirono a fare eleggere alcuni loro candidati: conseguenza del voto fu un parlamento molto frammentato e senza una maggioranza robusta. Quando, a maggio, le Camere appena riunite furono chiamate a votare il nuovo Presidente della Repubblica, fu eletto il democristiano Oscar Luigi Scalfaro, che si rifiutò di concedere incarichi ai politici vicini agli inquisiti: Craxi, che aspirava a tornare alla presidenza del Consiglio, dovette rinunciare in favore di Giuliano Amato. In seguito alla strage di via d’Amelio (19 luglio), in cui rimasero uccisi il giudice Paolo Borsellino e cinque agenti di scorta, il governo Amato diede il via all’Operazione Vespri siciliani, con cui vennero inviati in Sicilia 7000 militari per presidiare gli obiettivi sensibili, e dispose inoltre il trasferimento in blocco di circa cento detenuti mafiosi nelle carceri dell’Asinara e di Pianosa.
La DC ricevette accuse di collusione con la mafia, con l’incriminazione dello stesso Andreotti nel marzo 1993, mentre il 15 gennaio venne catturato dal CrimOr il capo di Cosa nostra Totò Riina, latitante dal 1969. Amato rassegnò le dimissioni e subentrò un governo guidato per la prima volta non da un parlamentare ma da un tecnico indipendente, Carlo Azeglio Ciampi, che avrebbe traghettato il sistema verso la seconda repubblica.
Intanto le bombe di mafia esplosero per la prima volta fuori dalla Sicilia, tramite autobombe nel maggio 1993 furono compiuti l’attentato di via Fauro a Roma e la strage di via dei Georgofili a Firenze, mentre il 27 luglio 1993 avvenne la strage di via Palestro a Milano e quaranta minuti dopo gli attentati alle chiese di Roma infine il 31 ottobre a causa di un malfunzionamento fallì l’attentato allo Stadio Olimpico di Roma. Questa strategia si collocava nell’ambito della feroce risposta di Cosa Nostra all’applicazione di nuovi strumenti legislativi per la lotta alla mafia (articolo 41 bis, legge sui collaboratori di giustizia). Nello stesso periodo scoppiò anche lo “scandalo SISDE”, relativo alla gestione di fondi riservati, che arrivò a coinvolgere il Presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro.