(dal 1966 al 1975)
Le elezioni del 1963 videro un rafforzamento del PCI e dall’altro del PLI.
Fanfani fu costretto a ritirarsi dalla scena politica; il presidente della Repubblica Antonio Segni formò un nuovo governo nell’estate. Fu nell’autunno che si verificò il terribile cedimento della diga del Vajont, nel fondovalle veneto, che provocò la morte di circa 2000 persone.
Nel dicembre del 1963 fu incaricato Aldo Moro di formare il primo vero governo di centro-sinistra “organico”, cioè con l’entrata effettiva dei socialisti al governo.
Nel maggio 1964 il governo Moro cadde per una questione riguardante il finanziamento pubblico alle scuole cattoliche.Ma già il ministro del Bilancio, il democristiano Emilio Colombo, aveva criticato Moro per un’eccessiva arrendevolezza nei confronti di alcune riforme auspicate dai socialisti, come quella sulle Regioni e sull’urbanistica, e su cui Nenni si rifiutava di cedere, sebbene il PSI avesse messo in minoranza il suo esponente più radicale, Riccardo Lombardi.
Di fronte allo stallo venutosi a creare, il presidente della Repubblica Segni convocò il comandante dell’arma dei Carabinieri Giovanni De Lorenzo, il quale partecipò in seguito ad una riunione con Moro e alcuni dirigenti della DC. Qualche anno più tardi si parlerà del tentativo, o piuttosto della minaccia, di attuare un piano eversivo, noto come il “Piano Solo“, per far rientrare nei ranghi la sinistra, e convincerla ad ammorbidire le proprie posizioni. Ci fu una scissione nel PSI da parte della componente più estremista del partito, che diede vita al PSIUP.
Nel 1966 invece il PSI, la cui direzione era passata da Nenni a Francesco De Martino, dopo aver contribuito ad eleggere Saragat presidente della Repubblica, si fonderà con il PSDI, rimarginando la scissione dello stesso Saragat avvenuta nel 1947, andando così a formare il Partito Socialista Unificato. La fusione si rivelerà però fallimentare alle elezioni del 1968, dopo le quali i due partiti torneranno a dividersi.
Il sessantotto e la contestazione
Nell’agosto 1964, a Jalta, moriva Togliatti, leader storico del PCI, che aveva guidato il partito comunista lungo quello che allora si definiva “doppio binario“: della legalità democratica da un lato, e della fedeltà all’Unione Sovietica dall’altro.
Dopo la sua scomparsa, nel 1966 si svolse il primo scontro nel congresso del PCI: l’ala “destra” di Giorgio Amendola, propensa a stimolare il centro-sinistra sul terreno delle riforme, contro quella di “sinistra” di Pietro Ingrao, che cavalcava temi come l’anti-capitalismo e chiedeva più attenzione al dissenso cattolico e ai movimenti giovanili; il compromesso fu trovato nella figura di mediazione, Luigi Longo.
Ma a sinistra dello stesso PCI stavano cominciando anche a formarsi dei movimenti spontanei, che contestavano la guerra americana in Vietnam solidarizzando coi vietcong, simpatizzavano per la Cina maoista che criticava la degenerazione a suo dire “borghese” dell’URSS, e idealizzavano la rivoluzione cubana di Fidel Castro e Che Guevara, il quale aveva coniato lo slogan «Dieci, venti, cento Vietnam».
Negli anni sessanta la stratificazione sociale della popolazione italiana era cambiata dopo il boom economico, l’urbanizzazione creata dai flussi migratori interni aveva aumentato la concentrazione della popolazione, esisteva ormai un ceto medio e si cominciava a delineare un prototipo di italiano medio. L’apertura agli stili di vita e ai fenomeni musicali internazionali, specialmente tra i giovani, portò alla comparsa dei cosiddetti capelloni, già nel 1965. Icona del nuovo costume fu il Piper, storica discoteca di Roma. Guardati sempre più con diffidenza, la nuova Beat Generation italiana tuttavia si guadagnò la simpatia dell’opinione pubblica in occasione della terribile alluvione di Firenze del 4 novembre 1966, quando gli studenti accorsi da tutta Italia per prestare soccorso furono chiamati gli «angeli del fango».
I cambiamenti nella mentalità di questi gruppi giovanili esplosero nel 1968, l’anno che vide l’Italia trasformarsi radicalmente sul piano culturale e sociale, in seguito alle migliorate condizioni di vita dovute al boom economico degli anni precedenti, e al sorgere di movimenti radicali, soprattutto di estrema sinistra.
Le proteste partirono da una contestazione studentesca dei metodi di insegnamento nelle università, ritenuti “autoritari”, e si estenderanno fino a saldarsi con i movimenti degli operai. Nel marzo 1968 si svolse la prima “battaglia” a Valle Giulia; seguì un mese di “autogestione” sgombrata dopo un mese dalla polizia.
A Milano fu assalita la sede del Corriere della Sera. Seguirono altri episodi di contestazioni che si protrassero fino a tutto l’anno successivo.
La base ideologica di queste sollevazioni consisteva soprattutto nel “terzomondismo”, ossia nella solidarietà verso le lotte rivoluzionarie dei popoli poveri e lontani dall’Occidente. In Italia però, a differenza delle altre liberaldemocrazie occidentali, la contestazione del ’68 verrà sempre più egemonizzata dall’ideologia comunista.
Si trattava di gruppi per lo più autonomi dai partiti, sorti dalle assemblee, dai collettivi, e dalle occupazioni, che dipingevano gli americani come i nuovi “nazisti”, che giunsero a scavalcare a sinistra lo stesso PCI, ritenendo il filo-sovietismo quasi un tradimento dell’autentico marxismo, di cui consideravano invece degno interprete il dittatore cinese Mao Tse-tung, e contestavano alle radici lo Stato e le istituzioni borghesi.
L’intellettuale Pier Paolo Pasolini fece notare tuttavia come la base sociale dei contestatori italiani fosse costituita proprio da studenti piccolo-borghesi anziché da proletari; a costoro rivolse un’invettiva poetica, intitolata Il Pci ai giovani!!:
«Avete facce di figli di papà. Buona razza non mente. Avete lo stesso occhio cattivo. Siete paurosi, incerti, disperati (benissimo) ma sapete anche come essere prepotenti, ricattatori e sicuri: prerogative piccoloborghesi, amici. Quando ieri a Valle Giulia avete fatto a botte coi poliziotti, io simpatizzavo coi poliziotti! Perché i poliziotti sono figli di poveri. Vengono da periferie, contadine o urbane che siano. »
Tra i nuovi gruppi extra-parlamentari di estrema sinistra, che avevano quasi tutti intenti rivoluzionari, emersero l’Unione Comunisti Italiani, simpatizzante di Mao Tse-tung; Potere Operaio di Oreste Scalzone, che vedeva negli operai la forza propulsiva della rivoluzione; Movimento Studentesco di orientamento leninista; e Lotta Continua di Adriano Sofri, rivolto a tematiche sociali più generiche e dedito a diffondere la cosiddetta “controinformazione“.
Tra i partiti, quello che più di tutti seppe trarre vantaggio dalla contestazione fu comunque il PCI, che guadagnò terreno a spese dei socialisti. Nello stesso anno ci fu tuttavia un sessantotto controcorrente, noto come la primavera di Praga, ossia il tentativo della Cecoslovacchia guidata dal riformista Alexander Dubček di sottrarsi al giogo sovietico, tentativo duramente represso dall’Armata Rossa. Il PCI, con Enrico Berlinguer, criticò e condannò i crimini di Mosca (a differenza del 1956 durante l’invasione dell’Ungheria), senza però giungere ad un’effettiva rottura. Berlinguer anzi rafforzò ancor più i legami del PCI con l’URSS, per non distruggere il mito sovietico di cui si alimentava la base del partito, ritenendo l’invasione della Cecoslovacchia un errore da mettere tra parentesi. Questo atteggiamento suscitò le critiche di un folto gruppo di intellettuali comunisti, riuniti intorno alla rivista Il manifesto, tra cui Luigi Pintor, Aldo Natoli, Lucio Magri, Rossana Rossanda. Il PCI in modo dittatoriale, come suo stile in URSS, decise di espellere i dissidenti del Manifesto.
Anche nel mondo cattolico cresceva il fermento, in particolare si chiedeva alla DC di aprirsi alle nuove rivendicazioni sociali, o di solidarizzare coi vietcong, e di prendere le distanze dagli USA.
Aldo Moro lasciò il campo a Mariano Rumor.
Nel 1969, intanto, sul fronte della prima guerra di mafia, il 10 dicembre ebbe luogo la strage di Viale Lazio, in cui assassini travestiti da finanzieri uccisero sei persone.
La crescita del conflitto sociale portò al cosiddetto autunno caldo del tardo 1969, quando i movimenti studenteschi sessantottini si saldarono con le sollevazioni e le proteste del mondo operaio. Per la prima volta dal 1946, le tre sigle sindacali CGIL, CISL, UIL, si ritrovarono unite. Il movimento ottenne vari successi come le 40 ore lavorative, una regolamentazione degli straordinari, la revisione del sistema pensionistico, il diritto di assemblea; nel 1970 verrà infine approvato lo statuto dei lavoratori.
Nello stesso anno fu approvata da una maggioranza trasversale, con l’esclusione della DC e del MSI, anche la legge sul divorzio, appoggiata dall’emergente leader radicale Marco Pannella, che si distinguerà sempre più per le sue battaglie in materia di diritti civili. Un altro risultato a cui si giunse sulla scia delle agitazioni sociali fu l’istituzione, sempre nel 1970, delle Regioni come enti autonomi, in particolare le regioni rosse: l’Emilia-Romagna, la Toscana e l’Umbria, alla guida dei comunisti.
Gli anni di piombo
Negli anni settanta alcuni dei numerosi movimenti politici si estremizzarono, degenerando nel terrorismo rosso e in quello nero, dando vita ad organizzazioni di estrema sinistra come le Brigate Rosse (BR) e di estrema destra come i Nuclei Armati Rivoluzionari (NAR).
Il nuovo decennio si aprì col cosiddetto “triennio di destra”, ossia con uno spostamento dell’intero quadro politico sul versante conservatore, dovuto sia ad un nuovo protagonismo del MSI guidato da Giorgio Almirante, sia all’emergere della cosiddetta “maggioranza silenziosa“, composta da esponenti del ceto moderato intimoriti dalle contestazioni della sinistra.
I fatti di Reggio Calabria del 1970.
Nel luglio 1970 scoppiò la rivolta di Reggio Calabria, dovuta alla decisione del governo di centro-sinistra di collocare il capoluogo della neonata regione a Catanzaro. La sommossa fu capeggiata dal missino Ciccio Franco, sindacalista della CISNAL, che rilanciò l’espressione «boia chi molla!» di mussoliniana memoria. Dopo tre mesi di scontri violenti, che videro la città di Reggio assediata dall’esercito, i moti furono sedati, ma nel 1972 il MSI diventerà il primo partito della Calabria.
Ancora nel 1971, il MSI si rivelò determinante nell’elezione del nuovo presidente della Repubblica Giovanni Leone. Alle elezioni anticipate dell’anno seguente, il MSI raggiunse il suo massimo storico fino ad allora, grazie anche alla fusione con i Monarchici. A causa dei modesti risultati del PSI, venne formato un governo Andreotti – Malagodi che vedeva un ritorno alla formula centrista con l’esclusione dei socialisti e un ingresso organico dei liberali.
Nel dicembre del 1970 c’era stato un tentativo di colpo di Stato, noto come il Golpe Borghese, organizzato da gruppi neofascisti capitanati da Junio Valerio Borghese, ex-figura carismatica della Repubblica Sociale Italiana. Il golpe sarebbe stato progettato nei minimi dettagli: gli uomini di Borghese avrebbero dovuto occupare il Ministero dell’interno, il Ministero della difesa, le sedi della RAI, e rapire il presidente della Repubblica Giuseppe Saragat e il capo della polizia Angelo Vicari; si parlò anche di un presunto appoggio da parte di organi eversivi ed occulti come la loggia massonica P2. Mentre però l’operazione stava iniziando, Borghese avrebbe annullato l’azione misteriosamente, sancendo il fallimento del golpe.
La notizia del golpe si andava comunque ad inserire in un clima allarmistico di attentati, che connotarono quegli anni detti perciò “di piombo“, attentati inaugurati dall’esplosione di una bomba in Piazza Fontana a Milano il 12 dicembre 1969 che provocò la morte di diciassette persone e ottantotto feriti. Dapprima le indagini seguirono la pista anarchica incriminando Pietro Valpreda; i processi successivi decretarono invece la matrice neofascista dell’attentato, la responsabilità dell’organizzazione eversiva Ordine Nuovo guidata da Franco Freda e Giovanni Ventura e la condanna di Carlo Digilio. Fu accusato anche un amico di Valpreda, Giuseppe Pinelli, in seguito rivelatosi del tutto estraneo all’attentato, che morì in circostanze mai chiarite cadendo da una finestra della questura dov’era interrogato; il Movimento Studentesco, ipotizzando cospirazioni e trame oscure, accusò di omicidio il commissario Luigi Calabresi che stava conducendo l’interrogatorio. Calabresi fu poi assassinato il 17 maggio 1972 da alcuni esponenti di Lotta Continua.
Seguirono altri episodi rimasti tristemente celebri, come l’attentato alla questura di Milano ad opera dell’anarchico Bertoli nel 1973, quello al treno Italicus nel 1974, e nello stesso anno la strage di piazza della Loggia a Brescia, entrambi compiuti da organizzazioni terroristiche neofasciste. Nell’agosto 1970 erano poi comparsi davanti alla Siemens di Milano i primi volantini a firma BR, gruppo terrorista di estrema sinistra, guidato all’inizio dagli esponenti di Movimento Studentesco Renato Curcio e Mara Cagol, che divenne sempre più violento, giungendo a rapire, gambizzare e uccidere personalità del mondo culturale e politico ritenuti “reazionari”, a cominciare dal rapimento di Sossi e dall’omicidio di due missini a Padova nel 1974. La sinistra comunista non riuscì a riconoscere che le BR provenissero dal suo stesso retroterra ideologico.
Crisi energetiche ed austerity
La crisi energetica del 1973 fu dovuta principalmente all’improvvisa e inaspettata riduzione del flusso dell’approvvigionamento di petrolio proveniente dalle nazioni appartenenti all’Organizzazione dei Paesi esportatori di petrolio verso le nazioni importatrici ed al conseguente aumento del prezzo. L’Italia intraprese una politica di risparmio energetico, la cosiddetta “austerity”. Una successiva crisi con caratteristiche analoghe si verificò nel 1979.
Il PCI stava conoscendo una crescita elettorale progressiva e impetuosa, mentre la DC subì nel 1974 la sconfitta al referendum abrogativo della legge sul divorzio. Si trattò di un successo per il movimento femminista, il quale comincerà a battersi per la legalizzazione dell’aborto che riuscirà a ottenere nel 1978. Nello stesso anno sarà emanata la legge Basaglia, con la quale venivano chiusi i manicomi. Negli anni settanta la crescita economica che aveva portato al boom si arrestò, iniziò un periodo di recessione aggravato dalla crisi petrolifera del 1973 dovuta alla guerra dello Yom Kippur tra Israele e mondo arabo. Ne conseguì un periodo di austerity caratterizzato dalle prime “domeniche a piedi” per il divieto di circolazione degli automezzi. Aumentò il disagio sociale e crebbe spaventosamente l’inflazione. Affiorò anche il risvolto negativo del tumultuoso sviluppo industriale dei decenni precedenti, con danni ambientali denunciati dai primi movimenti ambientalisti, e nuove forme di inquinamento; tra i fatti più gravi, da annoverare il disastro di Seveso, un comune della provincia di Milano investito da una nube di diossina nel luglio 1976.