CRITICA AL PENSIERO DEBOLE

IL PENSIERO FORTE CONTRO IL PENSIERO

Badiamo bene che la vita non ci sfugga di mano senza averla amata, vissuta, trasmessa e portata alle nuove generazioni. Credo che la riflessione personale ci possa portare -o perlomeno a me porta- a non ingoiare tutto quello che ci viene proposto come buono e accettabile. Perciò qui metto la mia personale critica al pensiero debole del filosofo Gianni Vattimo (Torino, 4 gennaio 1936 – Rivoli, 19 settembre 2023).

L’espressione pensiero forte proviene da due saggi di Giovanni Cantoni, entrambi intitolati Dottrina Sociale della Chiesa, e si contrappone alle filosofie del pensiero debole, come il pensiero di Gianni Vattimo.

Il pensiero forte vuole offrire certezze, in un’epoca che considera segnata dal tramonto della metafisica e dal diffondersi del relativismo, soprattutto del relativismo etico.

ll pensiero debole, invece, si presenta come una forma particolare di nichilismo, di nulla presente e passato e futuro. Insomma una mancanza di senso assoluto. Poi con il tempo, di fronte alle critiche che gli erano pervenute, Vattimo attenuò questa sua posizione, ma rimangono sempre le scorie e le derive presenti nella nostra società lassista e permissiva, soprattutto senza grandi ideali…

In altri termini, l’era moderna occidentale si sviluppò attraverso la tradizione del pensiero greco e della visione del mondo, giudaico-cristiana, caratterizzate, a seconda di pensatori e correnti, dai seguenti punti:

1.presenza di un ruolo forte del soggetto, sia sul piano dell’etica, sia sul piano della conoscenza; 2.binomio essere-verità, ossia il fondamento forte di tutto ciò che è e la verità come sua manifestazione ed auto-evidenza; 3. ottimismo o realismo di fondo circa la governabilità, la logicità e il fine ultimo della vita; 4. distinzione, in ambito scientifico, fra la spiegazione razionale (propria delle scienze naturali) e l’interpretazione basata sul coinvolgimento comunicativo, sull’interesse rispetto all’oggetto di cui si occupa ( le scienze dello spirito come la filologia).

Da tempo si parla di ” pensiero debole “, cioè di un tipo particolare di sapere caratterizzato dal profondo ripensamento di tutte le nozioni che erano servite da fondamento alla civiltà occidentale in ogni campo della cultura. Secondo questa prospettiva i valori tradizionali sarebbero diventati tali solo a causa di precise condizioni storiche che oggi non sussistono più; per questo motivo deve essere messa in crisi la loro pretesa di verità …

A fondamento del pensiero debole c’è l’idea che il pensiero non è in grado di conoscere l’essere e quindi non può neppure individuare valori oggettivi e validi per tutti gli uomini.

Il maggiore interprete di questa problematica in Italia è Vattimo. Secondo il pensatore torinese, il compito attuale della filosofia non è d’interrogarsi sulla verità, ma di portare alle estreme conseguenze la crisi epocale che si è espressa attraverso il processo di secolarizzazione.

Vattimo teorizza l’avvento di un’età nuova, regolata da un “pensiero debole”, volto alla realizzazione di un soggetto non unitario né subordinato all’autocoscienza logica, ma molteplice e poliedrico.

Ovviamente viene invalidata l’idea della storia come rinnovamento continuo e percorso dotato di senso; anzi, la dissoluzione post-modernistica della categoria del nuovo viene salutata come “fine della storia”. Per Vattimo il pensiero è arrivato alla fine della sua avventura metafisica. Ormai non è più proponibile una filosofia che esiga certezze e fondamenti unici per le teorie sull’uomo, su Dio, sulla storia, sui valori. La crisi dei fondamenti ha fatto vacillare ormai l’idea stessa di verità: le evidenze una volta chiare e distinte si sono offuscate.

Alla luce di questi presupposti, con Vattimo si dissolvono: 1) i fondamenti certi; 2) l’idea di una conoscenza totale del mondo; 3) l’idea di una verità certa di cui noi saremmo capaci.

Pensiero debole in poche parole significa che si sono dissolti i fondamenti ultimi, le idee chiare e distinte, i valori assoluti, le evidenze originarie e le leggi ineluttabili della storia.

In conclusione con il pensiero debole si inizia con una perdita ed una rinuncia: rinuncia a fondamenti certi e destini ultimi.

L’idea-forza della modernità è il progresso, inteso come orientamento a un modello di vita e di azione, come aspirazione a valori ultimi, fondati sulla capacità dell’uomo di esercitare la ragione. Il grido di Nietzsche “Dio è morto” va inteso da Vattimo nel senso della fine di ogni discorso metafisico che pretende darci verità ultime e definitive. 

La tesi di Vattimo è che nel nostro relativo caos risiedono le nostre “speranze di emancipazione” (quali, mi chiedo io, se sarebbero scardinati i capisaldi e l’idea corretta di diversità e di realtà?) … Con la modernità viene dichiarata chiusa un’epoca di fiducia nel progresso continuo dell’umanità, che aveva, a sua volta, ripreso laicizzandola, l’idea cristiana della salvezza (anche qui Vattimo non aveva nemmeno idea di cosa fosse la Salvezza cristiana).

E’ la fine di ogni filosofia della storia, cioè di ogni visione unitaria e compatta della storia, come se fosse dotata di senso.

Come potrebbe essere tollerato un pensiero che, in nome della relatività, distrugge i capisaldi positivi delle nostre esistenze?…Sarebbe la fine, molto materialistica e inutile, per la nostra vita e soprattutto l’assoluta mancanza di senso nel viverla.

Lascio ai posteri l’ardua sentenza (Manzoni, Cinque Maggio, v.31)

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