LA NORMALITA’
Si pensa sempre che la normalità sia fatta di cose straordinarie…invece è fatta di noia e a volte soltanto di emozioni forti.
Io sono una ragazza semplice, cresciuta in un’isola bellissima che sta nel Mediterraneo occidentale. Qui la guerra non è mai venuta, anche perché a nessuno interessa della nostra terra e di noi…
Intanto questo ci permette di vivere anche senza di loro: loro sono gli invasori, sono i continentali, quelli che vengono dal mare e che vogliono imporci una vita e delle regole che non ci riguardano.
Io sono una ragazza semplice, ma non stupida. Anzi, quando ero più piccola, circa ai nove o dieci anni, avevo sotto di me una truppa di maschietti del vicinato, che obbedivano e che mi cimentavano a grandi imprese guerresche. Insomma, tornando al tema della normalità, avevo imparato a fantasticare laddove la vita era noiosa e piatta.
Così nel 1942, anno in cui iniziammo a renderci conto che la libertà dell’isola poteva essere compromessa, io avevo quindici anni e studiavo al ginnasio.
Nell’isola avevo il mio spazio: la mia cameretta in una cittadina piccola ma importante, le mie amiche di vicinato, la mia truppa di maschietti più piccoli da comandare e la voglia di crescere e conquistare il mondo.
Così mio nonno, che allora era militare, anche se in pensione, mi diceva che dovevo essere coraggiosa se davvero fossero venuti gli invasori…ma gli invasori non vennero mai.
Io però, secondo la mia natura guerriera, rimasi coraggiosa e fui io ad attraversare il mare, quel mare che ci divideva dai conquistatori.
Il nonno lesse il giornale e cominciò a dire che stavano arrivando i tempi in cui avremmo dovuto emigrare o lottare. Io non avevo proprio intenzione di emigrare, anche perché stavamo tanto bene a casa nostra. In realtà la paura era quella di dover lasciare la serenità della nostra condizione di eterni rifugiati e affrontare l’ignoto.
Poi io studiavo. Studiavo perché volevo realizzare il mio sogno di essere indipendente e di viaggiare; non certo perché costretta da altri, ma perché desiderosa di conoscere ed evolvermi.
Il sogno si sarebbe infranto se fossero arrivati gli invasori.
Ma chi erano poi gli invasori? Gli Invasori erano le belve, ossia i barbari, quelli che gli antichi chiamavano così.
Gli invasori erano un gruppo di persone dal volto coperto da un velo, dalla cui bocca uscivano urla disumane. Essi non erano capaci di parlare come tutti. Essi erano gli eterni eredi del demonio. La notte non sarebbe mai arrivata se noi ci fossimo sempre rifiutati di cedere alle loro minacce.
Mio nonno mi chiamò da parte e mi disse che da quella nostra conversazione sarei cresciuta di altri quindici anni.
Io ero talmente innocente che non immaginavo certo che davvero la mia vita sarebbe cambiata per loro!
Così ascoltai ma senza tanta convinzione.
Mia nonna era più realista. Disse che se fossero venuti, noi ci saremmo trasferiti nella sua casa dell’infanzia, ossia all’interno dell’isola, laddove nemmeno i Romani erano mai entrati.
Una mattina di domenica, non ricordo bene se fosse di luglio o di agosto, quando era già caldo, però in quella mattina mia nonna decise che saremmo andati a O* per vedere se fosse in buono stato la casa dei bisnonni.
Prendemmo la corriera e alle due del pomeriggio arrivammo con la canicola.
La piazza del paese era deserta, vista l’ora. Dai racconti della nonna, la casa era in fondo al primo viottolo, sulla sinistra della piazza.
Andammo e una volta raggiunto il fondo del viottolo, mia nonna vide che la casa era chiusa e che oramai era stato inutile arrivare lì, avendo l’impressione che la casa non fosse più agibile.
La faccia di mia nonna parlava anche tacendo …era sconfortata ma esprimeva parole positive di incoraggiamento.
Dopo un pomeriggio passato ad O*, riprendemmo la corriera e a sera eravamo già a casa.
Pensai che per la prima volta avevo visto nel volto di mia nonna la paura.
Certamente dopo tanti anni, dopo la guerra e dopo la partenza dalla mia isola, avrei ricordato il volto festoso di mia nonna, ma anche quel momento della sua delusione, al vedere la sua casa d’infanzia inagibile.
Mentre stavamo in classe la nostra insegnante di Latino e Greco ci disse che presto gli Invasori avrebbero fatto chiudere le scuole.
Dentro di me sentii come dei cristalli rompersi. A casa dissi a mio nonno delle parole dell’insegnante e lui divenne paonazzo.
“Mai e poi mai gli Invasori ci prenderanno. Costi quel che costi. E tu ricordati da quale famiglia provieni. Famiglia di militari e servitori della nostra Patria.”
E così passò quell’anno 1942. L’isola non venne invasa.
GLI INVASORI
La nave Jallow Blue era arrivata da Marsiglia sulle coste dell’isola e i marinai erano scesi, prendendo strade diverse: chi era rimasto nelle vicinanze e chi invece era andato verso la zona interna.
Due di loro, erano arrivati nell’interno dell’isola, entrando proprio nel paese dove la mia cara nonna voleva che ci rifugiassimo.
Una cugina della nonna il giorno dopo venne a dirci che quei marinai …così aveva poi capito, venivano dal Continente e che il figlio del dottore del paese aveva capito la lingua. Erano forse inglesi e francesi.
Mia nonna lasciò che sua cugina tornasse al suo paese e poi a tavola disse che non erano loro gli Invasori, che lei lo sentiva che non erano loro…erano troppo buoni per essere definiti così.
L’estate passò senza troppe novità e soprattutto per noi fu un momento di pace.
Mio nonno continuò a maledire gli Invasori e a dire che potevano anche non venire e se venivano…avrebbero fatto una brutta fine.
L’isola era inavvicinabile al suo interno e se nemmeno i Romani vi erano entrati, non si sarebbero nemmeno avvicinati i nuovi Barbari.
A ottobre riprese la scuola e per me fu un grande momento, perché io amavo la scuola e soprattutto amavo andare di pomeriggio nella grande biblioteca del Vescovado che stava a dieci minuti dalla succursale del Ginnasio.
Io non volevo proprio pensare agli Invasori. Io volevo studiare e diventare una donna realizzata e senza paura.
Mio nonno disse che se i nostri non avessero vinto la guerra in corso nel Continente, allora i giovani si sarebbero dovuti arruolare…
A questo punto io chiesi se anche le ragazze come me … e lui disse che a sedici anni e soprattutto in quanto ragazza, non avrei potuto.
Ma perché come ragazza? Questo mi feriva ancora di più dell’età, perché a casa mia ero cresciuta nella perfetta uguaglianza col sesso maschile e potevo dire tutto senza alcun timore.
Io fantasticavo che con i miei amici avremmo creato un battaglione in difesa dell’isola.
Una sera di ottobre, quasi all’imbrunire venne mio nonno in camera e mi disse che mai e poi mai avrei dovuto dire nulla sulla famiglia.
Io già poco sapevo, ma annuii …e rimasi senza dormire chiedendomi che cosa non avrei dovuto dire e a chi.
LA RESISTENZA
Agli inizi del 1943 le cose nel Continente andavano male. A scuola i compagni di classe, ormai quasi diciassettenni, dicevano che sarebbero partiti per andare a combattere con la Resistenza. Nell’isola gli anziani discutevano fuori dalle loro case sul da farsi.
Non volevano che i ragazzi andassero a combattere soprattutto perché nell’Isola non erano avvenute invasioni e nessuno era venuto a reclamare aiuti.
Perché lasciare la propria terra per andare a morire?
Ma si sarebbe lottato, certo, per vincere contro gli Invasori.
La professoressa di latino e greco aveva un figlio, Giovanni, di diciassette anni e quindi stava in apprensione per lui, però ci invitava a pregare e soprattutto a mantenere alta la bandiera della libertà, perché diceva che di fronte agli Invasori non si poteva stare neutrali.
Io guardavo quasi con invidia i miei compagni che si preparavano alle possibili iniziative. Non pensavo certo alla mia età nè al mio sesso…che non mi avrebbe permesso di combattere. Io ero un’idealista! Per me era naturale combattere contro gli Invasori!
Noi non sapevamo molto. Nella nostra mente di ragazzi e ragazze vi era solo ciò che avevamo: la nostra terra, le nostre famiglie e la nostra libertà. Per esse avremmo combattuto e saremmo anche morti.
Passato l’inverno, arrivando la primavera, tutto per noi era uguale. Finché qualcuno ci disse che non si sapeva se a settembre ci sarebbe stata la scuola.
Venne il Direttore a dirci che nel Continente quelli che erano stati gli alleati della patria erano diventati i nemici e che dovevamo prepararci al peggio.
Lo dissi a mio nonno e lui si infuriò dicendo che i Nazisti erano sempre stati dei cani e disse che da quelli non ci si poteva aspettare nulla di buono.
Mio nonno era un nostalgico dell’ordine. Aveva combattuto da giovane ma non aveva mai ucciso nessuno. Era stato anche sotto ufficiale e poi anche ufficiale. Aveva avuto sotto di sè venticinque uomini. Era leale alla Monarchia e al Duce, ma mai avrebbe fatto male a nessuno. Era un uomo forte e coraggioso ed io lo amavo. Lui era il mio nonno adorato e io ero per lui la sua nipote adorata. Tutto avrebbe fatto per me.
LA CONTRO INVASIONE
Nel luglio del 1943 le notizie sulla Guerra, nella nostra Isola, arrivarono come una forza galvanizzatrice.
Infatti, alcuni commercianti che provenivano dalla Grande Isola della Sicilia, arrivarono anche da noi ed, entusiasti, ci dissero che avevano visto dalla loro imbarcazione, delle truppe di inglesi e americani che sbarcavano per combattere contro i Barbari Germanici.
La gente li accoglieva, come eroi o santi o déi, e loro elargivano, a piene mani, cioccolato e latte in polvere, gallette dure e dolciastre che sapevano di bontà, nonostante fossero dure e salate.
A casa mia vennero tutti i vicini a sentire la radio che, da Londra, parlava dello sbarco in Sicilia.
Si bevve vino rosso e si mangiarono dolci.
Il periodo buio e incerto era passato, almeno per noi. Nella nostra isola non c’erano stati Invasori e non erano venuti a salvarci, perché noi ci saremmo salvati da soli!
Fu un’estate calda ma per noi nessuna noia era invincibile. Ogni giorno che passava, aspettavamo notizie.
Dal Continente ci si aspettava solo che mai nessuno avrebbe permesso che i Germanici venissero in casa.
Eppure erano venuti in mezzo alle persone civili e nessuno li aveva scacciati.
Poi a fine ottobre, mentre stavamo a lezione venne il nostro Direttore a dirci che a Roma i Germanici avevano preso dal Ghetto tante persone innocenti. Ammutolimmo. Nella pausa di ricreazione ogni allievo ed allieva si unì al gruppetto dei sediziosi e si discusse aspramente su quanto accaduto. Molti tra quelli più vivaci con i pugni in aria pensavano che avrebbero dovuto fare qualcosa…fare giustizia! Poi venne il suono della campanella per far tornare tutti nelle proprie aule e il discorso si interruppe.
In casa il nonno mi disse che noi avremmo dovuto essere prudenti. Io in cuor mio ero d’accordo con i miei compagni di scuola.
UN LUNGO INVERNO
Novembre 1943. Ho compiuto sedici anni senza regali.
Anche se il nonno mi ha promesso che, se finirà presto la guerra, andremo in crociera nel Mediterraneo, mi mancano i regali.
Sono egoista? Forse sì, un poco. Però desideravo solo un bel diario rilegato e una bella penna stilografica…
Così ci fu la torta e i biscotti, il miele sulla crostata e la presenza della famiglia.
C’era freddo. Noi eravamo abituati al freddo e al vento.
Quando avevo finito i compiti, di solito andavo alla fine del paese, davanti alla Chiesetta della Solitudine e stavo lì… a prendere vento in faccia.
Mi si spaccavano le labbra, le guance diventavano rosse e rugose, però mai avrei rinunciato a quella particolare sensazione di libertà e indipendenza che mi trasmetteva il vento freddo sulla mia persona.
Stavo lì impassibile, pensando ai miei avi, i coraggiosi abitanti della mia Isola.
Poi pensavo a quante vite vissute, a quanto amore e fatica, a quante preghiere…a quanta fedeltà …
Ogni volta che andavo alla Solitudine, tornavo a casa ritemprata.
Io ero felice delle mie origini, ero felice e orgogliosa dei miei sedici anni, dello studio, della mia famiglia.
Insomma non sarebbe stata la guerra a farmi desistere dai miei buoni progetti per il futuro.
Poi io avevo la certezza che con la mia famiglia a fianco, non mi sarebbe successo nulla di insormontabile.
La mia Fede poi era forte. Io venivo da gente credente. Dio ci guida sempre, anche quando crediamo di fare da soli.
Ovvio che non vuole burattini, però fa come un Padre che cerca di stare attento ai passi falsi dei propri figli.
Pregavo che facesse cessare la guerra…soprattutto però non ero molto tollerante. Insomma ero umanamente dura ad accettare tutto.
Ma non mi si poteva dare torto e all’epoca io ed altri non sapevano tutto…