Esther D.V., classe 1925, giovane ebrea romana, residente in Via della Reginella n.3, rione S.Angelo.
Famiglia umile e povera, come quasi tutti gli ebrei romani del Ghetto.
Estate 1943.
L’estate romana è afosa e umida. A casa, dentro quattro mura non si può stare.
Fratelli e padre, per le vie di Roma, a vendere poche cianfrusaglie.
Lei e la mamma, fuori dall’uscio, a cucire camicie di signori.
Brave sarte.
La gente passa. I ragazzini urlano.
Esther ha diciotto anni. Fra poco suo padre la farà sposare. Non sa chi sia l’eletto; un poco ha vergogna di parlarne. Lei però non vorrebbe sposarsi. Specialmente di quei tempi, in cui si ha paura della guerra, della gente…
La mamma dice che una brava ragazza fa felice il padre e la madre, sposandosi, secondo la legge di Mosè, dando al mondo una larga progenie…
Esther, però, non è come tutte le altre ragazze. Lei avrebbe voluto studiare e si rammarica di non aver potuto.
È capace. Ha un forte senso pratico e anche tanta arguzia.
Al tempio, nel matroneo, con le altre, lei non parla alle funzioni.
Lei prega, ma non ripetendo ciò che sente o legge.
Lei guarda sempre la volta celeste e pensa a come deve essere Domineddio.
Sua madre la osserva quando cuce.
Si punge sempre perché …sa fare, sì, ma è un fare di malavoglia.
Lei sogna.
Ha sentito dire che se si sposa andrà a fare un viaggio vicino Roma.
Ai Castelli.
Però a lei non interessa, perché nemmeno lo conosce il suo futuro marito.
Settembre. A tavola suo padre e i suoi fratelli parlano e dicono che la situazione a Roma sta peggiorando. Devono decidere cosa fare.
Non si può restare. I giovani vorrebbero scappare. Ma dove? Il padre è più pratico. Non si può mica andare all’avventura! E poi chi lo dice che sia tutto vero quello che giunge alle loro orecchie?
Così giorno per giorno spostano la decisione.
Ogni volta nel piazzale del Tempio si informano da altri più istruiti.
C’è chi dice che non è vero il racconto della gente che viene deportata.
C’è chi dice invece che presto verranno. Ma chi?
I tedeschi.
Esther ha paura. Guarda sempre in cielo. Lei è molto religiosa. Sa che Domineddio non può abbandonare il suo popolo, anche se per secoli il suo popolo ha sofferto.
Esther pensa che forse ci sarà una maledizione su di loro.
Però senz’altro, come sempre si riuscirà ad andare avanti.
***
Ottobre 1943.
Le giornate sembrano tutte uguali. Ogni tanto con le cugine si esce in piazza o si passeggia vicino al Lungotevere. Roma è bellissima di ottobre.
Suo fratello maggiore ha detto a cena che ha incontrato un certo Michele T.
Esther sa che Michele è il promesso, ma non lo ha ancora visto.
Ogni volta che ne parlano a casa, sente il cuore battere forte, ma non per l’emozione.
Ore 5,20 del 16 ottobre.
Lo Shabbat, iniziato la sera prima, porta con sé un senso di tranquillità e di silenzio. Non si lavora. I fratelli e il padre dormono. Lei è sveglia nella sua parte di letto, condiviso con la madre.
In strada ad un certo punto si odono delle voci. Sono le 5.30
Rumori, bambini che piangono, urla. Dalle scale rumore di gente che scende.
Tutti si svegliano.
Esther si mette indosso la sopravveste ed esce verso la cucina. Sua madre parla con il fratello maggiore e suo padre. Non capisce perché parlano piano e fitto fitto.
-Ci sono i soldati …sotto.-
Suo fratello e suo padre svegliano gli altri due più giovani e, mezzi vestiti, salgono sul ballatoio che collega gli edifici. La madre si veste in fretta e anche Esther.
Il cuore le va all’impazzata.
-Esther vai da zi’ Rosina e dille che apra la botola della cantina, che scendiamo.-
Esther scende le scale e c’è gente che va su. Sono i vicini. Salgono per il terrazzo come i suoi fratelli.
Lei scende al secondo piano.
La porta è aperta, ma zi’ Rosina non c’è.
Lei sa che esiste una seconda botola che dà verso un cunicolo interno al cortile. Invece che quella della cantina, prende quell’altra.
La mamma tarda a venire, però siccome sanno tutte e due la strada, lei va e pensa che presto sua madre sarebbe andata.
Si nasconde nella parte interna della botola.
Si sente poco da lì.
Esther prega.
“Domineddio ma cosa ti abbiamo fatto? Salvaci. Mamma, papà, Marcello, Mauro, Aldo.”
Nel frattempo fuori è un caos. Camion, soldati, cani lupo.
Gente che urla e gente che scappa.
Mitragliatrici. Bambini che piangono.
Esther rimane lì e le sembra una eternità. Non esce perché ha paura e si addormenta.
Svegliatasi ripercorre a ritroso la via della botola e si ritrova nella casa della zi’ Rosina.
Non c’è nessuno. La porta aperta, per terra qualche giacca di donna, quella di Zi’ Rosina e forse delle figlie. C’è un vento strano che viene dal pianerottolo.
Esther osserva e capisce che sono andati via tutti, perchènemmeno si sente nulla da fuori. Risale a casa. Non c’è nessuno. Il padre e i fratelli sono scappati su, li ha visti bene, ma la mamma? Pensa che sia andata con la Zi’ Rosina e le figlie.
Poi si siede in cucina. Chiude la porta d’ingresso. Un brivido di freddo.
Sono le tre. Non si può stare così in eterno: pensa. Mangia un pezzo di pane azzimo, preparato per lo Shabbat. La pentola con le verdure sta sulla stufa, ma tutto è freddo. Cibo e cuore sono freddi.
Che fare? Pensa che forse nel palazzo ci sarà qualcuno ancora, ma non è stupida. Ha capito che i soldati erano per loro. E lì sono tutti ebrei.
Si rannicchia nel letto. Anche le lenzuola e la coperta di lanetta sono fredde. La sensazione della morte.
“Domineddio, dove saranno. Magari papà e i fratelli sono al sicuro. Ma mamma? Mamma non può mica avermi lasciata sola”.
Si addormenta. La mattina successiva, ancora la stessa sensazione di silenzio e di morte. Non c’è nessuno in strada. Il palazzo è deserto. Decide che va a dare uno sguardo alla casa di fronte. Ci sarà certo qualcuno che uscirà da altre botole.
Esce, cammina davanti al palazzo di fronte, guarda in su, sui ballatoi e vede solo roba stesa. Le amiche del vicinato non rispondono. Non passa nessuno.
E allora capisce.
“Hanno portato tutti via!”
Pensa che forse in Piazza può esserci almeno qualche passante. Qualche cristiano, insomma qualcuno che sappia.
La gente non c’è. Le pare un incubo. Arriva fino all’Isola Tiberina, ma non passa il ponte.
Allora decide che sarà meglio inoltrarsi a Trastevere. Là abita una sua insegnante. Una certa Silvina D.
Chissà che lei sappia.
Aspetta dinanzi al portone per un’ora. Dopo appare la donna. Porta della spesa. Non la riconosce quasi.
“Sono Esther D.V., Maestra non mi riconosce?”
Sì la donna la riconosce e la fa entrare in casa, un po’ guardinga. Poi l’abbraccia.
“Che ci fai qui Esther? Non sai che ci sono i tedeschi in giro? E i tuoi?”
“Sono qui per questo. Sono venuti i tedeschi ieri mattina e hanno portato via la gente. Forse mio padre e i miei fratelli sono in salvo. Mia madre non so. Io ero chiusa in una botola.”
La donna guardò con dolce tristezza la ragazza. Le accarezzò i capelli.
“Cara mia, hanno portato via tutti. Dicono che li portano a nord. Ma tu sei qui. Se vuoi per qualche giorno puoi stare. Poi però non potrai e devi cercare altro”.
Esther ha capito. Non sa che dire. A casa potrebbe stare. Ma come vivere? Non ha soldi e anche se c’è un po’ di cibo, non durerà. Allora dice alla sua insegnante che andrà a vedere se trova qualcuno e in caso contrario si porterà qualche vestito e sarà lì l’indomani.
Esce, guardinga. Si dirige fino a Piazza Belli. Si vede il ponte. C’è un vento che si porta via tutto…e forse quel vento si è portato via anche i suoi.
A passo svelto con la testa china, verso l’altro lato del Tevere. A metà ponte, guarda giù verso il fiume eterno che scorre. Pensa che, disperata, potrebbe buttarsi giù e farla finita, però una voce dentro le dice di no. Lei crede ancora che Domineddio possa salvarla.
Ripensa alla storia sua, alla gente del Ghetto, a suo padre, a sua madre e ai fratelli.
Poi pensa che qualcuno deve aver fatto la spia, perchèdella botola della cantina sapevano in pochi: quelli del piano terra, la Zi’ Rosina e la sua famiglia. Allora saranno stati quelli del piano terra.
Poi però non si capacita.
Mentre fa veloce, non guarda nessuno. Arriva a casa da vie traverse. Ci metterebbe cinque minuti, ma ora decide meglio andare alla larga.
Non c’è nessuno. Quelli che passano sono gente che va al lavoro e saranno dei Gentili, dei cristiani.
Forse era meglio stare dalla Maestra.
Il giornalaio apre.
“Esterina, che fai in giro? -chiede.
“Sor Ricca’, hanno portato via tutti. Non so che fare.”
“Lo so, lo so, stella mia. Senti se vuoi vieni a casa nostra. Mi’ moglie fa’ spazio e dove mangiamo in nove mangiamo in dieci”.
Esther pensa che sia possibile. Ma prima vuole andare a casa. Ha freddo e non è il freddo esterno a farle male. E’ il freddo dell’anima.
“Grazie Sor Ricca’. Se ho bisogno verrò. Vado a vedere se trovo gente mia.”
Si salutano. Dopo mezz’ora arriva sotto casa. Entra dal portone aperto. Nessuno. Nemmeno un gatto. Sale su. Tutto come quella mattina.
A casa sente ansia a restare.
Decide di andare a casa della zia. Forse fuori quartiere non è successo nulla.
Per strada incontra una lontana conoscente.
“Esterina. Sei qui?”-
“Sor Giudi’…-quasi in lacrime- non ci sta più nessuno”.
“Esteri’. Hanno portato via tanta gente. Vieni da noi. Siamo fuori, verso Centocelle. Lì abbiamo chi ci aiuta”.
Esther pensa a delle suore che stanno vicino a Campo dei Fiori. Lì era andata con sua madre, per portare della roba.
Lei è molto religiosa. Andrà lì. E magari anche chiede di restare. Lei non vuole morire. Se proprio deve, morirà, ma con Domineddio.
“Esteri’, non fare complimenti. Senti, prendi le tue cose e vieni con me. Prendiamo la circolare e andiamo fino a Centocelle.”
Esther guarda la Sora Giuditta e pensa che non può. Lei deve stare in un luogo dove sempre possa pregare Domineddio.
Sora Giuditta guarda la ragazza e pensa che è un peccato se rimane sola. Ma poi, spinta dalla fretta della vita, la saluta, incoraggiandola.
Anni Cinquanta
Esther ha seguito la via del suo cuore. Ha lasciato casa, i ricordi, mamma e papà e i fratelli.
Ha pensato di andare dalle suore di Campo dei Fiori. La madre Superiora l’ha accolta molto bene. Esther ha detto la verità. Lei ha perso tutti ma vuole stare lì. Ha capito che Domineddio salva ancora. Sono gli uomini i cattivi. Sono prigionieri del male e nemmeno tentano di salvarsi.
Leggendo il giornale della portineria, Esther, ormai suora, legge che a tradire il suo popolo è stata una certa Pantera, una certa Celeste Di Porto, che lei ben conosceva, poco più grande, forse di due o tre anni.
La Pantera ha tradito il suo popolo. Ma Domineddio ha salvato Esther.
Esther chiuse il giornale che parlava del processo e iniziò una nuova vita.